Berlusconi può chiedere la grazia?

Un ripasso su chi può presentare la richiesta, chi decide e quante ne ha concesse Napolitano fin qui

Da venerdì si parla molto della possibilità che, dopo la condanna di Silvio Berlusconi a quattro anni per frode fiscale confermata dalla Cassazione, venga concessa la grazia all’ex PresdelCons. Diversi esponenti importanti del Popolo della Libertà, in primo luogo Renato Schifani e Renato Brunetta, hanno detto che andranno dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e presenteranno la richiesta.

L’idea di una grazia a Berlusconi non è nuova: se ne parla in ambienti del centrodestra almeno dai primi di luglio – Libero ci fece alcuni titoli di prima pagina – quando si stava avvicinando la sentenza della Cassazione. Venerdì 2 agosto tutti i mezzi di comunicazione hanno riportato una dichiarazione di “fonti del Quirinale” che hanno dichiarato che “è la legge a stabilire quali sono i soggetti titolati a presentare la domanda di grazia”: il messaggio sottinteso è che Schifani e Brunetta non sono riconosciuti tra i “soggetti titolati”.

Oggi l’ipotesi è sulle prime pagine di tutti i giornali: ad ogni modo, è impensabile che allo stato delle cose Napolitano dia la grazia a Berlusconi, molto a ridosso della sentenza, con diversi altri processi allo stesso Berlusconi che sono ancora in corso e senza che esistano elementi di giustizia o di umanità che la suggeriscano. Senza contare la questione maggiore, ovvero quello del significato politico che avrebbe una grazia. La discussione, insomma, è piuttosto accademica, e di attualità soprattutto per le ipotesi e richieste fatte da esponenti del PdL.

Cosa dice la Costituzione
Come avevamo spiegato qualche mese fa, in occasione del caso Sallusti (ci torniamo), l’articolo 87 della Costituzione italiana prevede, tra i poteri del presidente della Repubblica, che questi possa «concedere grazia e commutare le pene». Il sito del Quirinale spiega più nel dettaglio i poteri del presidente e gli effetti della sua azione:

Si tratta di un istituto clemenziale di antichissima origine che estingue, in tutto o in parte, la pena inflitta con la sentenza irrevocabile o la trasforma in un’altra specie di pena prevista dalla legge (ad esempio la reclusione temporanea al posto dell’ergastolo o la multa al posto della reclusione). La grazia estingue anche le pene accessorie, se il decreto lo dispone espressamente; non estingue invece gli altri effetti penali della condanna (art. 174 c.p.).

Nello specifico, il procedimento della concessione della grazia è regolato dall’articolo 681 del codice di procedura penale.

Chi può chiederla
Tutti i condannati possono chiedere la grazia al presidente della Repubblica, anche se la stragrande maggioranza delle richieste viene respinta. Chi può presentare materialmente la richiesta è il condannato stesso oppure alcune altre persone a lui vicine, specificate dalla legge: un suo prossimo congiunto, il suo convivente, il suo tutore o curatore oppure il suo avvocato. Non rientrano tra queste categorie, evidentemente, Renato Schifani e Renato Brunetta.

Nel caso in cui un condannato sia detenuto, il presidente del consiglio di disciplina del penitenziario – solitamente il direttore o il vicedirettore – può fare richiesta della grazia per meriti particolari. È possibile anche che il presidente della Repubblica conceda la grazia a un condannato senza che nessuno ne faccia richiesta: durante il primo mandato di Napolitano questo è successo cinque volte.

A chi viene richiesta
La domanda di grazia va presentata al ministero della Giustizia ed è diretta al Presidente della Repubblica. Se chi ne fa richiesta è detenuto, può essere presentata al magistrato di sorveglianza.

La procedura
Il primo passo è che si apra un procedimento per valutare il singolo caso. Questo è curato dal procuratore generale presso la corte di appello oppure dal magistrato di sorveglianza (se il condannato è detenuto). Il sito del Quirinale spiega che nel procedimento si raccoglie «ogni utile informazione relativa, tra l’altro, alla posizione giuridica del condannato, all’intervenuto perdono delle persone danneggiate dal reato, ai dati conoscitivi forniti dalle Forze di Polizia, alle valutazioni dei responsabili degli Istituti penitenziari». Infine, chi cura il procedimento esprime il proprio parere e trasmette tutto al ministro della Giustizia.

Il ministro della Giustizia riceve il fascicolo, dà il parere favorevole o contrario al procedimento e poi lo trasmette a sua volta al Presidente della Repubblica. Il sito del Quirinale precisa che «come stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 200 del 2006, al Capo dello Stato compete la decisione finale».

Infine, se la decisione finale del Presidente della Repubblica è positiva, questa viene concessa con un decreto presidenziale.

Napolitano e la grazia
Alcuni aspetti della concessione della grazia sono cambiati – o meglio, si sono precisati – durante la presidenza di Giorgio Napolitano. Tre giorni dopo il suo insediamento, il 18 maggio 2006, la Corte costituzionale depositò la sentenza numero 200 e chiarì che la decisione ultima sulla grazia spettava al Presidente della Repubblica.

La questione era nata nel 2005 e riguardava Ovidio Bompressi, condannato a 22 anni per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi. L’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi era favorevole alla concessione della grazia mentre il ministro della Giustizia Roberto Castelli era contrario e, concretamente, rifiutava la firma del provvedimento. Ciampi sollevò un conflitto e la Corte costituzionale decise che la firma del provvedimento da parte di Castelli era un atto dovuto, anche se al ministro spettava ancora di seguire la fase di istruttoria e di trasmettere il fascicolo al presidente della Repubblica con il suo parere. Se poi il presidente è in disaccordo con il ministro, emana il provvedimento di grazia e nel documento motiva anche il suo parere diverso.

Napolitano, dopo la sentenza, decise l’istituzione dell’Ufficio per gli Affari dell’Amministrazione della Giustizia che, tra le sue competenze, ha anche la gestione delle richieste di grazia (con l’apposito Comparto grazie).

Come informa il sito del Quirinale, dal 2006 a oggi Giorgio Napolitano ha concesso 20 volte la grazia e tre volta la commutazione della pena da detentiva a pecuniaria. L’attuale Presidente della Repubblica ha concesso la grazia in quasi tutti i casi in cui il ministro era favorevole, mentre solo in tre casi ha deciso di non concederla. Cinque volte la grazia è stata concessa senza che venisse presentata una domanda da parte del condannato.

La grandissima parte delle richieste di grazia viene rifiutata e diverse centinaia sono state archiviate in seguito all’indulto: nei sei anni dal 2006 al 2012 ne sono state presentate oltre 2.100. Circa due terzi delle richieste proviene da persone condannate per omicidio, mafia o traffico di droga.

In tutta la storia della Repubblica italiana, i presidenti hanno concesso molte migliaia di provvedimenti individuali di grazia e commutazione della pena: circa 42.500. Il presidente che ne ha concessi di più (oltre quindicimila, un terzo del totale) è stato Luigi Einaudi, il primo della storia della Repubblica, mentre chi ne ha concessi meno è stato finora Napolitano.

L’ultima volta che la grazia è stata al centro di un caso nazionale avvenne pochi mesi fa, a dicembre 2012, quando ad Alessandro Sallusti, il direttore del Giornale condannato in via definitiva a 14 mesi per omesso controllo e diffamazione, venne commutata la pena dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una multa da 15.500 euro: ma allora molti parlarono di grazia, anche perché una domanda di grazia era stata effettivamente presentata dall’avvocato di Sallusti e parlamentare del PdL Ignazio La Russa.

Nella foto: l’allora PresdelCons Silvio Berlusconi con Giorgio Napolitano durante le celebrazioni per il 2 giugno, nel 2010 a Roma.
(FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)