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  • Giovedì 1 agosto 2013

La nuova guerra in Iraq

Soltanto a luglio ci sono stati quasi 1000 morti: a due anni dal ritiro americano gli attentati e le divisioni aumentano, secondo molti è un'altra guerra civile

An Iraqi police man guards a wrecked vehicle following an explosion in Aziziyah, south of the Iraqi capital Baghdad on June 16, 2013. At least 10 vehicles rigged with explosives went off in eight cities in Iraq's Shiite Muslim-majority south during morning rush hour, leaving around 100 people wounded, while the main northern city of Mosul witnessed a deadly shooting. AFP PHOTO/AHMAD AL-RUBAYE (Photo credit should read AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)
An Iraqi police man guards a wrecked vehicle following an explosion in Aziziyah, south of the Iraqi capital Baghdad on June 16, 2013. At least 10 vehicles rigged with explosives went off in eight cities in Iraq's Shiite Muslim-majority south during morning rush hour, leaving around 100 people wounded, while the main northern city of Mosul witnessed a deadly shooting. AFP PHOTO/AHMAD AL-RUBAYE (Photo credit should read AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)

Soltanto nel mese di luglio in Iraq sono morte quasi 1000 persone, fra ribelli, civili, poliziotti e militari, mentre i feriti sono stati oltre 1500: il numero più alto per un singolo mese dall’aprile del 2008. Da diversi anni molte città del paese, tra cui la capitale Baghdad, sono colpite quasi quotidianamente da attentati terroristici, frutto delle divisioni settarie del paese e dell’attivismo di diversi gruppi di al Qaida in Iraq. Gli Stati Uniti hanno ultimato il ritiro delle loro truppe nel 2011.

Il governo iracheno, guidato dal maggio 2006 dal primo ministro sciita Nuri al Maliki, non è riuscito a stabilizzare e pacificare il paese. Alcune province, specie quelle nord occidentali al confine con la Siria, sono rimaste in parte controllate da al Qaida, che da lì fa partire anche il flusso di armi, uomini e aiuti di vario tipo ai gruppi radicali che stanno combattendo in Siria contro il presidente siriano Bashar al Assad. Al Maliki non è riuscito nemmeno a fermare le violenze settarie nel paese, portate avanti soprattutto dai sunniti – la setta dell’islam a cui apparteneva Saddam Hussein e che gli Stati Uniti hanno contribuito a indebolire attraverso l’intervento militare del 2003 – contro gli sciiti. Infine, al Maliki è rimasto in balia delle influenze esterne: dai legami con l’Iran, anch’esso sciita, alla guerra in Siria, che è stato il motivo più importante dell’intensificarsi delle violenze negli ultimi mesi.

Mappa Iraq

Al Qaida in Siria e in Iraq
Secondo molti esperti l’attivismo di al Qaida in Iraq è uno dei motivi più importanti della destabilizzazione del paese. Da diversi mesi uno dei gruppi più violenti è lo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, che è nato all’inizio del 2013 da una fusione tra jihadisti iracheni e siriani. Questo gruppo, come la totalità di al Qaida, appartiene alla setta dell’Islam che fa riferimento al sunnismo – o almeno così è stato fino ad ora, anche se è molto difficile capire i cambiamenti che avvengono all’interno di al Qaida, specie per la sua particolare struttura “a ombrello” e decentrata in diversi paesi islamici. L’obiettivo dello “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, come di altri gruppi della regione, è creare un califfato islamico e imporre la sharia, la legge islamica, ai territori che ne fanno parte.

Più nello specifico, al Qaida in Iraq combatte apertamente le strutture amministrative e le forze di sicurezza del paese, che rispondono al primo ministro – sciita – al Maliki. Al Maliki è stato eletto primo ministro nel dicembre del 2005, il primo del paese dopo il governo di transizione che aveva governato ad interim a seguito della caduta di Saddam Hussein. Lo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, scrive Reuters, è stato il responsabile degli attacchi terroristici degli ultimi giorni, che hanno ucciso più di 80 persone dall’inizio di questa settimana, e dell’incredibile evasione di massa da due importanti prigioni irachene.

Gli attacchi alle prigioni dell’Iraq
La scorsa settimana centinaia di detenuti sono stati liberati dopo degli attacchi simultanei a due prigioni irachene di massima sicurezza, Abu Ghraib e Taji. Gli attacchi sono stati rivendicati dallo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” e hanno dimostrato l’incapacità delle forze di sicurezza dell’Iraq di contrastare al Qaida sul territorio nazionale. Gli attacchi sono stati compiuti esattamente un anno dopo che il leader del ramo iracheno di al Qaida, Abu Bakr al-Baghdadi, ha lanciato una campagna per liberare i qaedisti detenuti nelle prigioni irachene.

Le ricostruzioni dell’evasione di massa dal carcere di Abu Ghraib sono impressionanti. Secondo Reuters i detenuti hanno dato fuoco a dei vestiti e hanno iniziato una rivolta nelle celle della prigione. Le telecamere di sorveglianza interne sono state messe fuori uso dalle stesse guardie carcerarie, e i residenti della zona circostante erano stati avvertiti due giorni prima che ci sarebbe stato l’assalto. Da fuori i militanti qaedisti hanno attaccato la struttura con delle granate, mentre un uomo ha guidato un veicolo fin contro il cancello principale facendosi esplodere. Le forze di sicurezza, con l’aiuto di diversi elicotteri militari, hanno ripreso il controllo della prigione solo la mattina seguente, quando però più di 500 detenuti erano scappati, e tra questi diversi importanti militanti di al Qaida.

Brutti segnali
Negli ultimi anni, specie con l’inizio della strategia statunitense in Iraq del “surge” – basata su un aumento del numero di soldati americani e una loro maggiore collaborazione con la popolazione locale – le cose sembravano andare meglio. L’Iraq sembrava in qualche modo normalizzarsi, gli attentati si verificavano a cadenza di qualche settimana, il numero dei morti scendeva e la produzione di petrolio stava aumentando. Durante il “surge” i soldati statunitensi avevano collaborato con le autorità locali per creare alcune milizie sunnite, le cosiddette “Sahwa”, che erano impegnate a cacciare al Qaida da alcune province del paese in cui i terroristi erano piuttosto forti, come nelle regioni nord-occidentali. Il ritiro dei soldati statunitensi si è concluso alla fine del 2011, dopo che – almeno sulla carta – era terminata anche la fase di addestramento delle forze di sicurezza irachene.

Con l’inizio della guerra in Siria la situazione in Iraq è cambiata di nuovo. Gruppi estremisti sunniti hanno iniziato a riorganizzarsi e al Qaida è tornata a controllare diverse zone del paese, specie quelle al confine con la Siria. Uno dei problemi più grandi sembra essere diventato la corruzione di buona parte delle forze di sicurezza del paese, come dimostra anche l’evasione di massa da Abu Ghraib. Diversi funzionari iracheni hanno spiegato che il numero degli “uomini invisibili” sta crescendo sempre di più: gli “uomini invisibili” sono i soldati che hanno abbandonato la loro unità ma il cui nome è rimasto sul libro paga dell’esercito, in modo che il comandante possa continuare a intascare il loro stipendio.

Il problema in Iraq potrebbe non riguardare solo l’insurrezione dei sunniti, come è stato finora. Diverse milizie sciite, per lo più anti-statunitensi, erano state disarmate e smantellate nel 2008, anche con l’aiuto del governo sciita di al Maliki. Quelle più vicine al religioso Moqtada al Sadr, ha scritto Reuters citando una sua fonte, sono pronte per essere riattivate, nel caso in cui le forze di sicurezza del paese fallissero nella protezione delle comunità sciite irachene.

foto: (AHMAD AL-RUBAYE/AFP/Getty Images)