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  • Lunedì 29 luglio 2013

I nuovi negoziati tra Israele e Palestina

Iniziano oggi con due giorni di incontri preliminari a Washington, si erano interrotti nel 2010 (per una questione ancora irrisolta)

Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu is silhouetted as he arrives to deliver a statement to the media at the Knesset, Israeli parliament, in Jerusalem, Monday, July 22, 2013. Israel's premier announced Monday he is fast-tracking legislation that would allow him to put any future peace deal with the Palestinians to a national referendum. Netanyahu said a referendum is needed to prevent a rift in Israeli society. Polls have suggested a majority of Israelis support the establishment of a Palestinian state alongside Israel, but many groups are vehemently opposed, including hard-liners among Israel's West Bank settlers. (AP Photo/Baz Ratner, Pool)
Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu is silhouetted as he arrives to deliver a statement to the media at the Knesset, Israeli parliament, in Jerusalem, Monday, July 22, 2013. Israel's premier announced Monday he is fast-tracking legislation that would allow him to put any future peace deal with the Palestinians to a national referendum. Netanyahu said a referendum is needed to prevent a rift in Israeli society. Polls have suggested a majority of Israelis support the establishment of a Palestinian state alongside Israel, but many groups are vehemently opposed, including hard-liners among Israel's West Bank settlers. (AP Photo/Baz Ratner, Pool)

Nella sera di lunedì 29 luglio i rappresentanti di Israele e Palestina si incontreranno a Washington, negli Stati Uniti, per riprendere formalmente i colloqui di pace che si erano fermati nel 2010 a causa del rifiuto del governo israeliano di sospendere la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. Questi nuovi incontri dureranno fino a martedì 30 luglio e saranno preliminari a ulteriori negoziati che si svolgeranno nei prossimi nove mesi.

Lo ha fatto sapere, con un comunicato stampa, il dipartimento di Stato americano, dopo che l’annuncio della ripresa dei negoziati era stata fatta la scorsa settimana dal Segretario di Stato americano John Kerry: sia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che il presidente palestinese Mahmoud Abbas hanno concordato che i colloqui «serviranno come un’opportunità per sviluppare un piano di lavoro procedurale su come le parti possono proseguire con le negoziazioni nei prossimi mesi». I palestinesi saranno rappresentati dal capo negoziatore Saeb Erekat e dall’alto funzionario Mohammed Shtayyeh. Per Israele ci saranno il ministro della Giustizia e capo negoziatore Tzipi Livni e l’inviato speciale del primo ministro Benjamin Netanyahu, Yitzhak Molcho.

In vista della ripresa dei colloqui di pace il governo israeliano ha approvato ieri, domenica 28 luglio, la decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu di rilasciare 104 prigionieri palestinesi dalle carceri di Israele. La liberazione avverrà in quattro fasi nel corso dei mesi, ogni volta a fronte di progressi nei negoziati di pace. Molti dei prigionieri che saranno rilasciati sono responsabili di attacchi a civili israeliani e hanno ricevuto condanne fino a 30 anni di carcere. Tra gli altri, scrive il quotidiano israeliano Haaretz, ci sono anche Mohammed Tus, che uccise cinque cittadini israeliani, e Mahmoud Harbish e Jomaa Adham, che nel 1988 lanciarono una bomba incendiaria contro un bus, uccidendo una cittadina israeliana e i suoi tre figli.

Insieme all’annuncio della liberazione dei prigionieri è stata presa un’altra decisione importante e dalle conseguenze potenzialmente maggiori. Il Consiglio dei ministri ha infatti approvato la bozza di una nuova “legge fondamentale”, un tipo di legge che, in poche parole, ha la funzione di legge costituzionale: in Israele non esiste una costituzione scritta ma una serie di “leggi fondamentali” approvate nel corso dei decenni. Secondo la bozza, qualunque accordo di pace con i palestinesi dovrà essere sottoposto a un referendum popolare prima di entrare in vigore. Si tratterebbe dunque, secondo alcuni commentatori interpellati da BBC, di un gesto di conciliazione da parte del primo ministro nei confronti dei membri più conservatori del governo, che temono le eventuali concessioni che Israele potrebbe fare ai palestinesi nel corso dei colloqui di pace.

La soluzione dei “due popoli-due Stati” (cioè la creazione di due stati separati) è ancora la posizione ufficiale dei negoziatori che si sono succeduti nel tempo per provare a trovare una soluzione. La questione che finora ha ostacolato i colloqui è quella relativa ai confini esistenti tra il 1949 e il 1967. Nel 1967, con la Guerra dei Sei Giorni, Israele occupò tutta l’attuale Cisgiordania, compresa l’intera Gerusalemme, oltre a Gaza, il Golan e il Sinai (quest’ultimo venne restituito diversi anni dopo all’Egitto in cambio del trattato di pace).

(Guida al trattato di pace fra Israele e Palestina)

Al contrario delle precedenti, queste nuove conquiste territoriali non vennero mai riconosciute dalle Nazioni Unite. L’ONU, nelle risoluzioni 242 e 338, chiese a Israele di ritirarsi ai territori precedenti al ’67 riconoscendo invece le conquiste del ’48. Israele, al contrario, cominciò a costruire sempre più insediamenti sui territori occupati al di fuori della legalità internazionale, dove vivono attualmente circa 500 mila cittadini israeliani. Mercoledì 17 luglio il governo israeliano ha approvato la costruzione di più di 700 nuove case a Modiin Ilit, tra Gerusalemme e Tel Aviv. Questi insediamenti, e la questione dei confini, sono ancora oggi il principale ostacolo al trattato di pace. In Palestina rimangono inoltre forti divisioni tra il movimento politico-militare di Hamas – che controlla la Striscia di Gaza e ha detto di essere contrario ai colloqui di pace – e Fatah, il partito del presidente Abbas che controlla la Cisgiordania.

Foto: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, 22 luglio 2013 (AP Photo/Baz Ratner, Pool)