Che fine hanno fatto i BRIC?

Le economie di Brasile, Russia, India e Cina stanno rallentando: l'Economist prova a spiegare che cosa significa per il futuro dell'economia mondiale

Nel 2001, Jim O’Neill, un economista della banca d’affari Goldman Sachs, pubblicò un documento in cui per la prima volta si utilizzava una sigla destinata a grande fortuna, BRIC. Era formata dalle iniziali dei più grandi e promettenti paesi in via di sviluppo: Brasile, Russia, India e Cina. All’epoca molti predissero che la crescita dei BRIC sarebbe stata inarrestabile e che nel giro di qualche decennio li avrebbe portati a soppiantare Europa e Stati Uniti come principali economie del pianeta. Per circa dieci anni hanno avuto ragione e questi quattro paesi da soli hanno sostenuto circa il 75 per cento della crescita mondiale. Negli ultimi  due anni, però, hanno tutti cominciato a rallentare. Nel suo ultimo editoriale, l’Economist cerca di spiegare cosa significa per il futuro dell’economia mondiale.

Il grande rallentamento
Rallentare, per un’economia come quella cinese, significa che nel 2013 ci vorrà un po’ di fortuna per raggiungere l’obbiettivo del 7,5 per cento di crescita. L’India, negli ultimi mesi, ha dovuto ripetutamente abbassare le sue stime sulla crescita, che probabilmente quest’anno sarà intorno al 5 per cento. Il Brasile – il paese che probabilmente ha subito la frenata più brusca – crescerà del 2,5 per cento, la stessa percentuale della Russia.

Per fare un paragone, le ultime stime per la crescita economica della zona euro parlano di una diminuzione del PIL dello 0,6 per cento circa. La “ripresa” nel 2014 potrebbe portare a una crescita di poco inferiore all’uno per cento. I risultati dei BRIC, in altre parole, non sono da buttare via. Per capire cosa significa esattamente questa “grande rallentamento” bisogna confrontare i dati dei BRIC con le aspettative degli scorsi anni: Cina e India speravano fino a poco tempo fa di raggiungere un livello di crescita a due cifre – e in un anno l’India ha quasi dimezzato le sue aspettative. Il PIL del Brasile, nel 2010, è aumentato del 7,5 per cento, ma nel 2012 la sua crescita è scesa allo 0,8 per cento.

I motivi sono molto vari e sono molto discussi dagli economisti da almeno un anno. Brasile ed India, ad esempio, hanno problemi nel portare avanti le riforme necessarie per ridare slancio alle loro economie. In India la burocrazia è corrotta e inefficiente, mentre il Brasile ha un’industria debole e la sua economia è ancora basata sull’esportazione di materie prime. La Cina è il paese che ha mostrato la capacità maggiore di rispondere al rallentamento con riforme e investimenti – e infatti è il paese con la crescita più solida.

Siamo tutti condannati?
Nei primi anni della crisi, l’economica mondiale è stata aiutata dal fatto che la recessione nei paesi più ricchi venne compensata dalla crescita dei BRIC. La prima conseguenza del grande rallentamento sarà che i paesi emergenti non metteranno più una toppa alle debolezze dei paesi più economicamente sviluppati. Questo significa che, a meno di un’improvviso miglioramento in Europa o in Giappone – dove il primo ministro Shinzo Abe porta avanti una politica economica radicale ma rischiosa – l’economia mondiale nei prossimi anni crescerà difficilmente più del 3 per cento l’anno – negli ultimi anni è quasi sempre stata poco sotto il 5 per cento.

Questo non significa che tutto è perduto. Secondo l’Economist, già ora e ancora di più nei prossimi anni, ci sarà un numero maggiore di paesi emergenti con una crescita economica forte, anche se meno spettacolare di quella dei BRIC negli anni d’oro. La crescita sarà più distribuita, meno concentrata in gradi paesi e quindi, secondo il settimanale, più stabile. Ad esempio, le dieci più grandi economie emergenti, tra cui Thailandia e Indonesia (paese che per i fan del calcio è molto di attualità), hanno un popolazione complessiva inferiore a quella della Cina.

Alcuni paesi sviluppati, che secondo le previsioni di qualche anno fa avrebbero dovuto soccombere alla crescita dei BRIC, torneranno in primo piano. Gli Stati Uniti, ad esempio, grazie al boom dello shale gas in alcune zone del paese, potrebbero presto avere una crescita economica maggiore dei più deboli tra i vecchi BRIC.

In altre parole, il grande rallentamento ha smentito le previsione secondo cui un pugno di paesi emergenti che per dieci anni hanno avuto una crescita incredibile sarebbero continuati a crescere in modo verticale, diventando in pochi decenni i principali motori economici del pianeta, sostituendo Europa e Stati Uniti. La crescita in futuro sarà più distribuita e subirà meno improvvise impennate.

Le sfide per il futuro
Questa situazione metterà i paesi emergenti di fronte a nuovi problemi. Il grande rallentamento ha dimostrato che la crescita per Brasile, Russia, India e Cina non è garantita. Oggi le loro classi dirigenti hanno il potere di favorirla o di farla rallentare. La Cina sembra essere il paese più pronto a fare le riforme necessarie, mentre la Russia, secondo l’Economist, è «una pigra cleptocrazia basata sull’esportazione di materie prime». L’India, con una popolazione giovane e una demografia favorevole, ha bisogno, come il Brasile, di ritrovare lo slancio riformista: oppure finirà con il deludere la classe media che ha recentemente manifestato tanto a Nuova Delhi quanto a San Paolo.

C’è anche un altro effetto da considerare in questo grande rallentamento, che potrebbe spingere i BRIC nella giusta direzione. Negli anni ’90 la politica del Fondo Monetario Internazionale e il cosiddetto Washington Consensus, hanno fatto sì che ai paesi emergenti venisse chiesto – a volte in maniera brusca – di approvare riforme economiche liberalizzatrici come premessa necessaria per avere gli aiuti economici. Negli ultimi anni, con la crisi a Wall Street e l’Europa in recessione, quelle che l’Economist chiama “le vecchie verità liberali”, sono state messe in crisi.

Il capitalismo di stato e le modernizzazioni autoritarie calate dall’alto, conclude il settimanale britannico, sono state a lungo di moda e hanno rappresentato per regimi autoritari e democratici una scusa per abbandonare le riforme. La necessità di ritornare a crescere e una – possibile – ripresa dell’Occidente potrebbero riportare interesse per questo tipo di riforme e spingere i BRIC sul sentiero giusto per conservare la crescita.

Foto: AP Photo/Nelson Ching, Pool