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  • Martedì 9 luglio 2013

Jeff Bauman, dopo le bombe

La vita del ragazzo della foto simbolo dell'attentato alla maratona di Boston, tre mesi dopo (e la storia pazzesca dell'uomo che lo ha salvato)

di Francesco Costa – @francescocosta

AP10ThingsToSee - An emergency responder and volunteers, including Carlos Arredondo in the cowboy hat, push Jeff Bauman in a wheel chair after he was injured in an explosion near the finish line of the Boston Marathon Monday, April 15, 2013 in Boston. At least three people were killed, including an 8-year-old boy, and more than 170 were wounded when two bombs blew up seconds apart. (AP Photo/Charles Krupa, File)
AP10ThingsToSee - An emergency responder and volunteers, including Carlos Arredondo in the cowboy hat, push Jeff Bauman in a wheel chair after he was injured in an explosion near the finish line of the Boston Marathon Monday, April 15, 2013 in Boston. At least three people were killed, including an 8-year-old boy, and more than 170 were wounded when two bombs blew up seconds apart. (AP Photo/Charles Krupa, File)

Poco prima di finire ritratto in una delle fotografie più viste al mondo degli ultimi mesi, Jeff Bauman stava aspettando la sua fidanzata.

L’aveva accompagnata alla partenza della maratona di Boston, il 15 aprile 2013, poi l’aveva incrociata di nuovo a metà del percorso, insieme alle sue due coinquiline, e si erano salutati dandosi appuntamento al traguardo. Bauman arrivò sul posto con un taxi e cercò di piazzarsi in modo da vedere l’arrivo della la sua fidanzata. C’era già molta folla, però, e alla fine restò in fondo sul marciapiede, dietro cinque o sei file di persone. Le due coinquiline, invece, sgomitando erano riuscite a trovare un angolino vicino alla strada. Bauman oggi racconta di aver notato un ragazzo stranamente molto coperto, considerata la bella giornata, che non sorrideva, portava con sé un grosso zaino e sembrava disinteressato alla gara. Racconta di aver distolto gli occhi da lui per qualche secondo, il tempo di controllare che la sua fidanzata non si vedesse già all’orizzonte sul rettilineo finale, e che quando si era voltato di nuovo il ragazzo non c’era più: era rimasto però il suo zaino, a terra. Subito dopo, neanche il tempo di elaborare un pensiero riguardo quello zaino, racconta di aver sentito un gran botto, e aver visto come un lampo.

Bauman si ritrovò sdraiato a terra sul marciapiede, stordito. Si tirò su, c’erano puzza e fumo. Vide a terra anche una delle coinquiline della sua fidanzata: lei fece come per muoversi verso di lui ma le sue gambe erano messe malissimo e non rispondevano. Si guardarono, dall’alto verso il basso e poi di nuovo verso l’alto, e inorridirono, tutti e due. Dalle ginocchia in giù le gambe di Bauman non esistevano più: c’erano brandelli sfilacciati di muscoli, tessuti e ossa. Si gettò indietro, contorcendosi, e poco dopo fu trovato da Allan Panter, un medico che era tra il pubblico della maratona ed era rimasto illeso. Panter tirò su Bauman, gli rimise dentro le gambe quello che era finito fuori, gli strinse un pezzo di stoffa attorno alla gamba destra, che era quella messa peggio, e gli diede una giacca. Poi scappò verso un’altra ragazza, le cui condizioni gli sembravano ancora più gravi: era immobile, con gli occhi aperti e vuoti. Bauman resto lì e pensò: sto morendo.

Poi arrivò Carlos Arredondo. Lo sollevò, lo mise su una carrozzina e lo spinse verso un’ambulanza: è l’uomo col cappello da cowboy nella foto che ha fatto il giro del mondo. Ma qui bisogna fare un salto, e raccontare questa storia da un altro lato.

La vita di Carlos Arredondo
Carlos Arredondo ha 53 anni, viene dal Costa Rica, vive a Boston. È arrivato negli Stati Uniti da “clandestino”, da irregolare, poi ha sposato una donna americana, ha avuto due figli. Il primo, Alexander, si arruolò nei marines nel 2001 e morì a Najaf, in Iraq, nel 2004. Quando un paio di soldati arrivarono a casa sua per dargli la notizia – nel giorno del suo 44esimo compleanno – lui ebbe una crisi isterica: pianse, prese a pugni il furgone dei marines rompendone i finestrini con le mani, si chiuse dentro, trovò della benzina, se la gettò addosso e si diede fuoco.

Bauman

Passò parecchi giorni in ospedale, coperto di ustioni di secondo e terzo grado sul 20 per cento del corpo. Volle essere presente comunque al funerale di suo figlio, su una barella, con accanto due paramedici. Si riprese del tutto in un anno, e ha iniziato da allora una seconda vita da attivista pacifista e sostenitore delle associazioni di veterani di guerra. Ha partecipato a centinaia di picchetti contro la guerra, ha aderito ai movimenti a favore dell’impeachment di Bush, è stato arrestato decine di volte per aver manifestato senza autorizzazione, è stato intervistato in un paio di documentari, è diventato nel decennio scorso una piccola celebrità della sinistra movimentista americana, ha una pagina su Wikipedia, nel 2006 ottenne la cittadinanza statunitense grazie all’aiuto di Ted Kennedy. Nel 2011 il suo secondo figlio, Brian, si suicidò: soffriva di depressione ed era tossicodipendente da quando suo fratello era morto in Iraq.

Jeff e Carlos
Il 15 aprile 2013 Carlos Arredondo era alla maratona di Boston. Distribuiva bandiere americane in ricordo di suo figlio e di tutti i militari americani morti in guerra: una cosa che faceva spesso durante eventi grandi e affollati come quello. Quando scoppiò la prima bomba, quella su Boylston Street proprio all’altezza del traguardo, mentre moltissimi scappavano Arredondo fu tra i pochi a correre nella direzione opposta. Si vede in molte immagini immediatamente successive all’esplosione – il cappello da cowboy aiuta a identificarlo – e lo si riconosce anche nel video più visto dell’esplosione, a partire dal minuto 1:54.

Carlos Arredondo vide Jeff Bauman a terra, lo raggiunse, urlò chiedendo aiuto, arrivò poco dopo una donna con una sedia a rotelle. Arredondo mise Bauman sulla carrozzina e insieme alla donna iniziarono a correre verso l’ambulanza. Poco dopo il pezzo di stoffa che rallentava la perdita di sangue dalla gamba destra di Bauman si impigliò nelle ruote. Se ne accorse un poliziotto a cui passarono accanto, e il poliziotto iniziò a correre con loro tenendo premuta la sua mano sulla gamba destra. Bauman stesso teneva con le mani quello che restava nella gamba sinistra. Arredondo mentre corre stringe in mano quella che sembra essere l’arteria femorale di Bauman.

In quel momento Charles Krupa di Associated Press scatta la foto che tutti abbiamo visto. L’immagine, nella versione in cui la conosciamo, è tagliata. Lo scatto originale mostra brandelli di tessuti e ossa penzolare da quello che rimane delle gambe di Jeff Bauman.

Bauman

I quattro arrivarono nei pressi di una tenda allestita come pronto soccorso. Di lì a poco un’ambulanza portò Bauman in ospedale – i soccorsi furono efficaci e rapidissimi, e non solo in questo caso: è uno dei motivi per cui due forti esplosioni in un’area così affollata hanno ucciso “solo” tre persone. Bauman racconta di aver iniziato a sentire dolore appena salito sull’ambulanza, mentre una donna gli faceva domande principalmente per tenerlo sveglio e cosciente. Bauman si accorse inoltre che non sentiva quasi niente. Il suo timpano destro era stato distrutto dall’esplosione, quello sinistro aveva un buco considerevole.

Tim Rohan, sul New York Times, ha raccontato quello che è successo dopo.

Gambe che ci sono, gambe che non ci sono
Il giorno delle bombe Bauman fu sottoposto a un’operazione lunga due ore, per separare i tessuti recuperabili da quelli irrecuperabili. Appena sveglio chiese carta e penna e scrisse in un biglietto:

“bag, saw the guy, looked right at me”

“zaino, ho visto il tizio, mi ha guardato”

Successivamente rese una descrizione più completa agli agenti dell’FBI, che gli mostrarono le foto dei sospettati chiedendogli conferme prima di diffonderle pubblicamente.

Due giorni dopo gli furono amputate entrambe le gambe sopra il ginocchio. Fu dimesso dall’ospedale quattro settimane dopo. Poco dopo gli tolsero i punti di sutura, 25 dalla gamba sinistra e 24 dalla destra: un’operazione piuttosto dolorosa. Continua a sentire poco – è come se qualcuno gli tenesse sempre tappate le orecchie con le mani, dice – ma non vuole sottoporsi a un quarto intervento chirurgico, come i medici gli hanno consigliato per tentare di recuperare un po’ del suo udito.

Dorme poco e male, a causa del dolore: gli fa male quello che resta delle sue gambe ma soprattutto quello che non c’è più, per via di un fenomeno molto comune tra chi subisce amputazioni agli arti, la sindrome dell’arto fantasma. La sua schiena si sta ancora riprendendo dalle ustioni. Spesso si sveglia di cattivo umore. Passa le giornate principalmente a casa dai suoi, a guardare la tv o in compagnia dei tantissimi che vanno a trovarlo, o in un centro medico specializzato, dove parla con uno psicologo di tanto in tanto, fa fisioterapia per migliorare i movimenti delle gambe ed esercizi per rafforzare le braccia. Avere braccia forti gli serve parecchio: i suoi movimenti ormai sono condizionati dalla sua capacità di spingere la carrozzina e sollevare il suo corpo per spostarsi da un posto all’altro, da una sedia al letto, dal letto alla carrozzina, dalla carrozzina al bagno. Bauman prende molti farmaci e antidolorifici: ogni giorno almeno 1200 milligrammi di gabapentin (per il dolore alle gambe che non ha), 1000 milligrammi di parecetamolo e 5 milligrammi di ossicodone. Se il dolore non va via, prende altro ossicodone.

Riesce a fare una doccia solo poche volte ogni settimana, a causa della difficoltà dell’intera operazione: anche in ospedale “la sua stanza ha il suo odore”, scrive Rohan. La sua fidanzata, Erin Hurley, lo raggiunge ogni pomeriggio quando finisce di lavorare e spesso si ferma a dormire. Stanno insieme da un anno. Sua madre fa la cameriera e non va molto d’accordo con suo padre, con cui ha divorziato quando Jeff Bauman era bambino. I suoi amici più stretti di solito vanno a trovarlo a casa, giocano con lui ai videogiochi, suonano la chitarra. Molti indossano braccialetti con scritto sopra “Bauman Strong”. Capita che Bauman stesso scherzi sulle sue gambe, anche per mettere a suo agio chi ha davanti, ma soffre il fatto di non poter sfuggire alla pietà di queste persone: come se le bombe avessero in qualche modo interrotto le loro relazioni e dopo ne siano cominciate delle altre, nuove e un po’ diverse. A volte si sente confinato a letto o sulla carrozzina, “in mostra”, stanco e vulnerabile.

Quando esce lo riconoscono in molti. Quando mangia fuori praticamente non paga più il conto. Fa molta fatica a guardare le foto degli attentati, e in particolare quelle che lo riguardano, ma è consapevole dell’effetto che la sua storia – e la sua foto – ha avuto su Boston. È stata mostrata sul maxischermo del Fenway Park, lo stadio dei Red Sox di Boston, prima che lui e Carlos Arredondo – tutti adorano rivederli insieme – facessero il tradizionale e cerimoniale primo lancio.

Bauman

Ogni tanto qualcuno chiede a Bauman un autografo, dicendogli che la sua storia e la sua forza sono motivo di ispirazione per tutti. Il giorno dopo la partita dei Red Sox, Bauman e la sua fidanzata andarono alle prove di un concerto di beneficenza: avrebbe suonato James Taylor, i fondi raccolti sarebbero andati alle vittime degli attentati. Bauman suonava la chitarra, Taylor evidentemente lo aveva letto da qualche parte e così gli fece un paio di battute sul tema. Bauman annuì ma non gli disse che ormai suona pochissimo, dato che non sente bene.

Alla stessa altezza
Prima degli attentati Bauman – che ha 27 anni – lavorava da Costco, una grande catena di ipermercati. Intende tornare a lavorare lì quando starà meglio, anche se lo spaventa un po’ l’idea di stare in piedi tutto il giorno. La sua assicurazione sanitaria ha coperto quasi tutte le spese mediche, che sono considerevoli: soltanto le protesi costeranno 100.000 dollari l’una. Senza contare anni di fisioterapia, manutenzione, sostituzioni. Potrà permettersele solo grazie alle donazioni raccolte – 800.000 dollari soltanto quelle online – e a una fondazione che si chiama “Wiggle Your Toes“.

Bauman ha indossato le protesi per la prima volta il giorno dopo il concerto di James Taylor, alla fine di maggio. Durante le visite precedenti, che servivano principalmente per prendere le “impronte” delle sue cosce, i medici gli avevano spiegato che sono prodotte da Ottobock, un’azienda tedesca, e che grazie a un microprocessore sono programmate per seguire i suoi movimenti. Prima Bauman ha preso le protesi in mano, notando come fossero più pesanti di quanto credeva. Poi le ha indossate, lo hanno aiutato a tirarsi su. Nel video del New York Times lo si vede muovere pochi passi – “ognuno più cauto del precedente” – e poi finalmente guardare, baciare e abbracciare Erin, la sua fidanzata: entrambi in piedi, per la prima volta dal giorno della maratona.

baumaninpiedi

Il 24 giugno, due settimane fa, Jeff Bauman e Carlos Arredondo hanno salutato i tifosi dei Boston Bruins prima della finale della Stanley Cup di hockey contro i Chicago Blackhawks. Jeff Bauman è entrato in campo sulla carrozzina insieme alla fidanzata, e poi si è alzato in piedi.

Bauman