La mafia a San Marino

Un nuovo libro racconta l'arrivo della crisi e della criminalità organizzata, che trabocca intorno in Romagna e nelle Marche

di Davide Maria De Luca e Davide Grassi

WITH "UNESCO-France-Germany-Italy-Slovakia-Croatia-heritage" - SAN MARINO HISTORIC CENTRE AND MOUNT TITANO A picture taken on May 23, 2003 of the main fort, La Guaita, guarding over the walled enclosure of historic San Marino. The San Marino Historic Centre, with its fortification towers, walls, gates and bastions, dates back to the foundation of the republic as a city-state in the 13th century. AFP PHOTO MARCEL MOCHET (Photo credit should read MARCEL MOCHET/AFP/Getty Images)
WITH "UNESCO-France-Germany-Italy-Slovakia-Croatia-heritage" - SAN MARINO HISTORIC CENTRE AND MOUNT TITANO A picture taken on May 23, 2003 of the main fort, La Guaita, guarding over the walled enclosure of historic San Marino. The San Marino Historic Centre, with its fortification towers, walls, gates and bastions, dates back to the foundation of the republic as a city-state in the 13th century. AFP PHOTO MARCEL MOCHET (Photo credit should read MARCEL MOCHET/AFP/Getty Images)

È il primo aprile del 2012, il giorno in cui si insediano i Capitani Reggenti della Repubblica di San Marino, il micro Stato che sorge arroccato sul Titano, la montagna che ha finito col diventarne sinonimo. Quel giorno splende il sole e in macchina si viaggia con i finestrini abbassati, ma sulla cima del monte sembra che sia ancora novembre. I merli delle fortezze sono avvolti dalla nebbia, cade una pioggia leggera e fredda e le strade sono deserte. Per andare a vedere la cerimonia, parcheggiata la macchina, bisogna salire ancora, oltrepassare le mura medioevali, salire le stradine su cui si affacciano i negozi per turisti, arrivare alla piazza del Consiglio. Il palazzo non è grande, ma è severo: un parallelepipedo di pietra chiara, la cima merlata. Di solito, alle sue spalle, si vede la pianura romagnola e in fondo il mare. Oggi no: tutto è grigio e ovattato. Spirali di nebbia passano davanti alla facciata portate dal vento. Sembra un castello dei Carpazi.

«Non è nebbia – dice qualcuno – sono nuvole basse», ma fa poca differenza: l’effetto è lo stesso. Nella piazza c’è parecchia gente: il primo aprile non è un giorno qualunque per la Repubblica. Oggi San Marino celebra se stessa in un evento più simbolico e importante della festa del Santo Patrono, che per i sammarinesi non è mica uno scherzo. I Capitani Reggenti, che sono come due presidenti della Repubblica, si alternano ogni primo aprile e ogni primo ottobre. Possono scoppiare guerre e crisi economiche, ma San Marino rimane sempre lì. Ancora indipendente e orgogliosa dopo ottocento anni che fanno del Titano la più antica Repubblica del mondo. La primavera è arrivata da pochi giorni e il Titano sembra voler dire: «Anche io ancora una volta sono rinato», ma sembra che il tempo, anche quello atmosferico, congiuri contro di lui.

Nella piazza è radunata la Guardia del Consiglio Grande e Generale. Hanno uniformi blu con bottoni d’oro, spade al fianco e speroni agli stivali. Sono schierati in due file, davanti alle porte del palazzo. Poco più in là c’è la banda della Milizia, giacche blu e pantaloni azzurri. Non suonano per ora e si muovono un po’ a disagio: non gli piace stare sotto la pioggia. Vicino alla Milizia c’è la Guardia di Rocca, casco nero, giacca verde e pantaloni rossi. I turisti russi e ucraini, i nuovi tedeschi della riviera, fanno fotografie. A tenerli d’occhio, anche se non ce n’è bisogno, ci sono gli uomini della Gendarmeria, giacca nera e cravatta. Si capisce subito che al Titano piacciono molto i pennacchi e i galloni: il suo piccolo esercito ha più corpi militari che soldati. Un’anziana signora seduta al bar dice all’amica: «Da quarant’anni io vengo sempre a vedere la cerimonia». Anche a lei piace pensare che oggi sia tutto come sempre. Come se nulla potesse cambiare per il Titano che siede nella sua fortezza, apparentemente immutabile.

Quando i Capitani Reggenti escono, la banda comincia a suonare e la pioggia si fa più fitta. I Donzelli, servitori dei Capitani vestiti con tuba e marsina, aprono gli ombrelli per riparare i quattro magistrati. Il corteo sale ancora, verso la Basilica di San Marino. Dietro ai Capitani e alla Guardia ci sono gli ambasciatori e i consoli. In mezzo spicca il decano del corpo diplomatico, il Nunzio Apostolico e l’ambasciatore russo che ha due basette degne di un personaggio di Tolstoj. A guardarli sfilare, i Capitani Reggenti in abiti del Cinquecento, i militari, gli ambasciatori, viene quasi da crederci. Forse il Titano è davvero immortale e immutabile nonostante il mondo attorno a esso, e lui stesso, sia cambiato per sempre. È un gendarme a spezzare la magia. La piazza è vuota ora e anche i turisti se ne sono andati. «La crisi qua è più dura che in Italia – dice –. Non so come faremo».

L’arida verità è che negli ultimi quattro anni una crisi economica senza precedenti e una classe politica impreparata e su cui aleggiano da anni sospetti di corruzione, hanno distrutto la ricchezza di San Marino, che era una specie di Svizzera all’italiana, pulita e ordinata, incastonata nel Centro-Nord dell’Italia, quasi altrettanto ricco e prospero. Non solo: questa crisi e questa classe politica hanno finito per consegnare il Paese alla mafia. San Marino non solo è un Paese molto diverso dai luoghi dove tradizionalmente si è stabilita la mafia. Era, ed è ancora in qualche modo, un Paese ricco e benestante; con una lunghissima storia di libertà e di indipendenza e per secoli è stato un simbolo, quasi un faro, per tutti i progressisti, i liberali e i democratici.

Ma è una storia che riguarda anche l’Italia, e in particolare il Nord, che come San Marino fino a poco tempo prima, sente di avere una robusta dose di anticorpi, una difesa iscritta nel suo codice genetico che lo proteggerà dalla mafia e che lo tutelerà dal destino che è capitato a tante regioni del Sud. La caduta del Titano colpisce sia direttamente che indirettamente anche l’Italia. Come il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia-Romagna, anche San Marino pensava di essere immune dal contagio mafioso. Pensava di essere troppo benestante, magari persino troppo civile per poter essere infiltrata dalla criminalità organizzata. Si sbagliavano i sammarinesi, così come sbagliano tuttora i veneti, i lombardi e gli emiliano-romagnoli. Ci ritorneremo, per ora restiamo sul Titano, saliamo sul monte e guardiamo da vicino com’è fatta questa strana creatura, dal lontano Medioevo.

San Marino è uno Stato piccolo, uno dei più piccoli del mondo: trentamila abitanti sparsi su 60 chilometri quadrati, a un tiro di sasso dalla riviera romagnola, ma senza sbocchi al mare. Nonostante le sue piccole dimensioni, San Marino ha una storia orgogliosa. Naturalmente non è una storia di guerre, conquiste o colonizzazioni, ma è una storia di fiera e pacifica indipendenza. In questo piccolo fazzoletto di terra la Repubblica è sopravvissuta per ottocento anni resistendo a tutti i suoi più grandi e potenti vicini.
Secondo la leggenda San Marino fu fondata mille e settecento anni fa da un gruppo di profughi. Ma anche volendo separare la storia dal mito, i documenti provano che già nel 1200 a San Marino esisteva una Repubblica.

Una Repubblica che è sempre riuscita a mantenersi indipendente dal suo grande vicino, lo Stato Pontificio, che provò a occupare San Marino nel 1700. Fu un’occupazione di breve durata i sammarinesi si liberarono delle guarnigioni pontificie non con una guerra o con un’insurrezione, ma grazie a un incessante lavorio diplomatico.
San Marino sopravvisse alla grande restaurazione che seguì al Congresso di Vienna. Tutte le repubbliche che aveva instaurato Napoleone furono spazzate via e vennero sostituite con i vecchi regnanti o, a volte, con nuovi monarchi creati appositamente. San Marino si mantenne libera e indipendente e qualche anno dopo dette ospitalità a Garibaldi che stava fuggendo a nord dopo il fallimento della Repubblica romana.
Quando venne il tempo di modernizzarsi e abbandonare il sistema repubblicano oligarchico e medioevale e diventare una democrazia moderna, San Marino lo fece senza una rivoluzione e senza bisogno di tagliare teste o spargere sangue, ma con una semplice decisione del suo popolo. Si mantenne indipendente anche dal fascismo e durante la Seconda guerra mondiale dette asilo a rifugiati, perseguitati ed ebrei.

San Marino è sempre stata una terra pacifica, legata alla libertà: il suo motto è una sola parola, Libertas, libertà, appunto. E di questo i sammarinesi sono sempre stati orgogliosi. Quando nel 1861 Abraham Lincoln fu eletto presidente degli Stati Uniti con un programma basato sull’abolizione della schiavitù, i Capitani Reggenti gli scrissero una lettera per congratularsi. E Lincoln rispose loro scrivendo che tra tutte le genti quelle di San Marino erano le più ammirate per la loro incessante lotta per la libertà. Nel 2011, nell’anniversario dei 150 anni di quello scambio, i Capitani Reggenti celebrarono la ricorrenza tornando a scrivere al Presidente degli Stati Uniti. Per uno curioso caso del destino, alla Casa Bianca sedeva il primo presidente afroamericano della storia. Non era l’unica cosa a essere cambiata. Pochi mesi prima di quella lettera il Titano si era bruscamente svegliato scoprendo che il pane che mangiavano i bambini lo faceva la camorra.
La notizia uscì su tutti i giornali nel marzo 2011: un forno gestito da uomini vicini a un clan di mafiosi aveva ottenuto l’appalto per le mense scolastiche di mezza Repubblica. Fino al giorno prima la mafia, ufficialmente, non esisteva: San Marino e la riviera romagnola avevano «gli anticorpi». In un certo senso fu come nella favola: i bambini furono i primi a dire che il re era nudo. Prima di quel giorno a volte qualcuno ammetteva a mezza voce che, forse, i soldi della mafia c’erano, ma i mafiosi no: quelli non potevano essere arrivati fin lassù, in cima al monte del Titano.

Invece c’erano ed erano lì da anni. Spesso in giacca e cravatta e con valigie piene di soldi da investire. Altrettanto spesso con pistole e bastoni, con bombe incendiarie ed estorsioni. I mafiosi avevano portato a San Marino tutta la panoplia di armi e di metodi della mafia. E quei metodi avevano attecchito sorprendentemente bene.
Ma non sono stati i mafiosi a dare la prima spinta al corpaccione antico del Titano. È stata la crisi a scavare le prime ferite e da queste ferite il Titano non perde sangue, ma soldi. Un torrente di miliardi di euro che scende dal monte per non farvi più ritorno. Quando tra il 2007 e il 2008 San Marino fu costretta a cambiare la sua legislazione, ad abbandonare il segreto bancario e l’anonimato societario che erano i due capisaldi che avevano permesso alla Repubblica di San Marino di attirare ingenti capitali dall’Italia e dal resto d’Europa, diventò un luogo dove non era più così vantaggioso portare il proprio denaro.

Nel 2008 San Marino era riuscita a concentrare nel proprio sistema bancario sistema bancario qualcosa come 14 miliardi di euro: una cifra mai raggiunta negli anni passati. 14 miliardi di euro. Con quei soldi le banche potevano fornire prestiti alle aziende che a loro volta potevano pagare in anticipo i fornitori, investire e pagare gli stipendi ai loro dipendenti. Anche lo Stato aveva grossi vantaggi da questi depositi: bastava tassare le banche con una piccola aliquota e si potevano finanziare tutte le spese dello Stato.
Nel corso del solo 2009, anche a causa dello scudo fiscale di Tremonti, che molti a San Marino considerano ancora un nemico dello Stato, il sistema finanziario di San Marino perse 7 miliardi, la metà di tutta la raccolta.
Le imprese si trovarono in difficoltà. Le banche non concedevano prestiti con la stessa facilità di prima, alcune aziende finirono col chiudere e molti operai persero il lavoro. Per San Marino fu la prima recessione della sua storia recente: dal 2008 al 2012 il pil della Repubblica calò di 300 milioni di euro, una perdita di oltre il 20% in soli quattro anni. La disoccupazione, che era una delle più basse d’Europa, raddoppiò, arrivando quasi al 6% alla fine del 20111. Una situazione peggiore anche di quella dell’Italia, che in questi quattro anni ha goduto almeno di due anni di pausa dalla recessione – il 2010 e il 2011 in cui l’economia, seppur di poco, è tornata a crescere.
Quando le aziende chiudono, gli operai vengono licenziati e le banche perdono depositi e lo Stato raccoglie meno tasse. Dal 2009 il governo del Titano si è trovato in difficoltà a far fronte alle spese. Per la prima volta la Repubblica ha speso più di quanto ha incassato e il primo debito pubblico si è accumulato sui suoi bilanci.

In molti a San Marino pensano che questa crisi non sia soltanto un male per il Titano. Potrebbe essere la sferzata che permette un cambiamento epocale. Forse il sistema creato negli ultimi trent’anni non era così efficiente come si poteva pensare. È vero che senza sangue non si può vivere, ma a morire prima della testa saranno le articolazioni, quelle inutili che è salutare lasciare morire di inedia.
Un esempio di queste articolazioni è la pubblica amministrazione, che a San Marino conta 10 mila impiegati: un terzo dell’intera popolazione. È l’eredità di quando l’economia di San Marino era florida e sul Titano depositavano i loro soldi molti degli evasori fiscali d’Italia. Con questo sistema la classe politica degli ultimi trent’anni, o almeno una sua parte, ha comprato il consenso elettorale. In ogni famiglia di San Marino c’è almeno un dipendente della pubblica amministrazione: non c’è un indizio più eclatante del fatto che San Marino sia uno specchio fedelissimo dei vizi italiani. Usare la crisi per tagliare questo enorme corpaccione burocratico e rendere più efficiente e produttiva la spesa pubblica sarebbe una panacea per i mali di San Marino.
Un’altra articolazione che sarebbe utile ridimensionare è il sistema finanziario che conta oggi undici banche e più di trenta società finanziarie con centinaia di sportelli e dipendenti: un altro corpaccione goffo e inutile che serviva soltanto quando sul Titano andavano in pellegrinaggio gli evasori fiscali con buste della spesa piene dell’incasso della settimana. Razionalizzare il sistema del credito, creando pochi operatori, ma grandi abbastanza da sopravvivere anche senza i soldi degli evasori, senza società di comodo nate solo per emettere fatture, potrebbe essere la molla per trasformare il Titano in un Lussemburgo italiano.

Ma queste articolazioni oramai inutili non vogliono saperne di essere ridimensionate e cercano in tutti i modi di sopravvivere. Spariti i soldi degli evasori, della borghesia italiana che cerca di fuggire dal fisco, queste articolazioni hanno cominciato a pompare nelle vene del Titano nuovo sangue. Ma chi è che in tempo di crisi ha il denaro necessario a riattivare la circolazione del Titano morente? La mafia.
La criminalità organizzata ha tonnellate di soldi sporchi che ha bisogno di riciclare e poi investire. Il Titano è ancora un posto dove questo può avvenire in relativa tranquillità. Dalla Campania, dalla Calabria, dalla Puglia arrivano soldi sporchi a volte anche in senso letterale, in scatole da scarpe o sacchetti dell’immondizia. La mafia, in realtà, ha sempre usato il Titano come una lavatrice, ma quando per le banche e le finanziarie sammarinesi la raccolta era facile potevano scegliere quali soldi accogliere e senza troppi rischi potevano dire di no alle transazioni più palesemente criminali. Quando invece l’acqua gli è arrivata alla gola, la tentazione di acconsentire anche alle richieste più impresentabili diventa difficile da scacciare. In totale si parla oggi di 3 miliardi, su 7 totali di raccolta, che avrebbero un’origine inconfessabile.

Per il corpo del Titano questo nuovo sangue è un veleno. Perché la mafia non si accontenta di depositare il suo denaro in banche compiacenti, di ripulirlo e poi di investirlo. Quando queste operazioni si moltiplicano e le cifre cominciano a diventare importanti, la mafia ha bisogno di qualcuno che tenga d’occhio questi procedimenti. Così, dopo il denaro, sul Titano cominciano ad arrivare gli uomini. Non sono molti i criminali di alto profilo che arrivano a San Marino e in ogni caso non ci si stabiliscono: controllano le operazioni, ma poi tornano in Campania, a Napoli, in Calabria. I pezzi grossi hanno interessi al Sud, territorio che controllano e nel quale devono sempre ritornare se vogliono ruolo e autorevolezza. San Marino invece è una terra di nessuno.
Le operazioni più diventano complicate più hanno bisogno di qualcuno che risieda sul posto in maniera permanente per controllarle. Così accanto a pezzi grossi cominciano a salire anche i soldati, i mazzieri, criminali con un profilo molto più basso. Arrivano a San Marino e si stabiliscono. Sorvegliano da vicino le operazioni di riciclaggio, il comportamento dei prestanome e si occupano direttamente di investire i capitali e di gestire le attività acquisite con questi capitali. Poi, naturalmente, finiscono con l’andare oltre. Con questi soldi, puliti e riciclati si possono fare investimenti, comprare bar, ristoranti, negozi e aziende. Oppure si possono “prestare”.
I soldati e i mazzieri però desiderano a loro volta diventare padrini e scalare la gerarchia criminale e questo obiettivo non si può raggiungere prestando i soldi come farebbe una banca. Bisogna farlo con tassi da usura e poi quel denaro va riscosso naturalmente senza guardare troppo alla forma. Quando la vittima non ha più un soldo si prendono la sua attività, il suo negozio, la sua azienda.

Con l’arrivo dei soldati, dei mazzieri, che si stabiliscono all’inizio soltanto come sorveglianti, comincia a svilupparsi una criminalità nuova: fatta di estorsioni, di pestaggi, di racket e poi di truffe, di commercio di banconote false, di spaccio di droga: tutte attività tipiche della mafia. Una mafia ancora in embrione, di basso profilo, formata da uomini che con la Campania non hanno legami così forti: più che criminali prezzolati sono appaltatori, terzisti che forniscono un servizio ai grandi clan e ai pezzi grossi che restano in Campania.
Con la camorra però hanno dei collegamenti e soprattutto vorrebbero importarne il modello: diventare loro stessi dei padrini. Ma a San Marino manca quel fenomeno tipico di tutte le mafie che è il controllo del territorio. Un mafioso rispettoso può fare una mappa di chi è chi e sapere perfettamente dove non andare per non fare sgarbi a nessuno.
Nel far west del monte Titano manca ovviamente quella stratificazione mafiosa che c’è nei rioni di Napoli che dopo secoli di radicamento ha dato vita a entità territoriali definite e riferibili al potere di un individuo o di un clan. Una realtà dove un mafioso rispettoso sa bene come orientarsi se non vuole fare sgarbi a nessuno. Il Titano invece è un territorio libero, ancora aperto allo sfruttamento. I criminali di basso profilo, i mazzieri senza confini e aree di influenza perimetrate, in assenza di una qualche “tradizione”, finiscono con lo scontrarsi in piccole guerricciole che li vedono continuamente costretti a ricorrere ai pezzi grossi in Campania in qualità di giudici e di arbitri. Il Titano è diventato così un territorio autonomo della camorra, ma non ancora indipendente. È diventato una colonia.

Se la caduta del Titano fosse solo questo – crisi economica e arrivo di bande criminali –, saremmo di fronte a un problema tutto sommato semplice che potrebbe essere risolto con qualche riforma e con qualche azione di polizia: una questione di San Marino, sigillata dentro i suoi confini. Ma il punto è che questa caduta è contagiosa come una cancrena. In questa spirale discendente finiscono coinvolti anche personaggi insospettabili. Grossi imprenditori, con aziende da milioni di euro di fatturato, cominciano a pensare che utilizzare queste bande di criminali può essere utile. Può essere utile avere ai propri ordini persone che con metodi sbrigativi riscuotono crediti che non si riescono a ottenere con metodi legali. Può essere utile avere un «faccendiere» con una rete di conoscenze che può aiutare ad avere gli appalti che interessano. Ma non solo i grandi imprenditori: anche le persone più comuni trovano dei vantaggi in questa situazione. Spesso ne finiscono travolti, credono di poter sfruttare questi mafiosi, ma in realtà ne sono sfruttati.
Non ci sono solo gli imprenditori, anche pezzi della classe politica finiscono con il pensare che da queste bande potrebbero avere dei vantaggi. Così nelle intercettazioni dei mafiosi vediamo affiorare discorsi a proposito delle elezioni, di voti di scambio, di accordi con i politici. E in questo clima pericolosamente inquinato e prosperano anche altri soggetti. Si tratta di faccendieri, uomini legati ai servizi segreti, ex militari, soggetti che vivono al margine di questo sistema, offrendo servizi di spionaggio, dossieraggio oppure le loro relazioni, le loro “amicizie”.

Non è un problema solo di San Marino: questa gente non riesce a stare confinata in quei sessanta chilometri quadrati. I mafiosi non sono schizzinosi, non vanno soltanto dagli imprenditori di San Marino. Cominciano con loro, ma poi si allargano, arrivano prima da quelli più vicini, gli imprenditori di Rimini, poi da quelli di Pesaro, Riccione e così via.
Quegli imprenditori che prendono i mafiosi al loro servizio non hanno interessi soltanto a San Marino. E così accade che l’imprenditore mandi il suo guardaspalle a Roma, a gestire i suoi affari, ad esempio.
In una sorta di effetto domino, gli stessi imprenditori italiani che si trovano ad aver a che fare con i loro colleghi di San Marino che usano metodi spregiudicati si domandano retoricamente: «perché io no?». E così quello che è cominciato a San Marino si trasferisce in Italia: l’imprenditore di Ancona, assume la sua guardia del corpo di pretoriani campani.

Poi si sale, inesorabilmente il contagio raggiunge sfere sempre più altre. Si arriva alla polizia, ai giudici, alle questure. In questo aiuta il fatto che tra San Marino e le forze di polizia e magistratura italiana che dovrebbero controllarlo c’è sempre stato un rapporto ambiguo. Da Rimini le autorità italiane sono competenti anche per San Marino e per loro le porte che li separano dalla Repubblica sono sempre state porte girevoli. È un fenomeno molto conosciuto a Wall Street: gli uomini che lavorano per le grandi banche d’affari spesso finiscono a fare i regolatori di quelle stesse banche che prima dirigevano, per esempio entrando nella sec, l’equivalente della consob italiana, l’autorità che sorveglia le società quotate in borsa. E così spesso avviene a San Marino: meta ambita anche per magistrati o uomini delle forze dell’ordine che possono attraversare il confine è andare a dirigere la polizia del Titano o entrare nella sua magistratura, ricevendo stipendi tre o quattro volte più alti.
Quando però il Titano comincia a cadere e il contagio si diffonde nel suo corpo succede che questi funzionari passino, a volte magari senza volerlo o senza saperlo, al servizio dei mafiosi o dei loro complici. E così accade che funzionari della polizia italiana in aspettativa, che dirigono le forze di polizia di San Marino, passino informazioni a queste bande oppure agli uomini per cui queste bande lavorano. Sfruttando magari anche le conoscenze che sono loro rimaste nella polizia o nei carabinieri da quando lavoravano in Italia.

A questo punto la caduta del Titano si rivela in tutta la sua drammatica epicità. Non è solo la caduta, la triste fine oramai difficile da scongiurare di un Paese con una storia gloriosa di ricchezze, di libertà e di indipendenza. La caduta del Titano è un campanello d’allarme per tutta quella parte d’Italia ancora sana, che ancora non è compromessa. San Marino è in una crisi profonda, ma anche l’Italia è in crisi e questa crisi ci sta rivelando quanto siamo vulnerabili e quanto sia falsa la credenza che certe parti dell’Italia abbiano degli anticorpi che la terranno al sicuro.
Tutti i protagonisti delle storie che racconteremo sono stati fermati, arrestati e forse molti di loro saranno condannati e passeranno anni in prigione. Non è un problema di polizia. Queste bande criminali sono state fermate, non hanno avuto molto tempo per svilupparsi. Anche perché non sono composte da uomini astuti: non è questo il modo in cui vengono selezionati i criminali. Sono uomini selezionati per il loro coraggio e la loro faccia tosta: in una parola solo perché hanno le palle. Non è arrestarli il problema: non sono loro il problema. Loro sono solo la febbre che compare quando comincia la cancrena, ma la cancrena non si cura con l’aspirina.

Il problema è che per quanti se ne possano arrestare, gli incentivi che permettono ai mafiosi di prosperare e che hanno portato queste persone a intraprendere la carriera mafiosa restano ed è questo il campanello d’allarme che ci lancia la caduta del Titano. Finché resteranno le cause della crisi economica, finché sarà difficile ottenere la restituzione di un credito con mezzi legali, finché sarà difficile ottenere prestiti da una banca, questi criminali troveranno sempre un mercato per le loro attività. E non esistono anticorpi che ci possano proteggere. Perché con il tempo, per quanto le galere possano essere riempite, con il passo lento di una goccia d’acqua che scava la roccia, la mafia avrà la meglio.

San Marino SPA” è un nuovo libro dedicato alla crescita della presenza della criminalità organizzata nella Repubblica di San Marino, scritto da Davide Maria De Luca e Davide Grassi, e pubblicato dall’editore Rubbettino.