Sei canzoni di Sergio Endrigo

Avrebbe compiuto oggi ottant'anni: suggerimenti su cosa canticchiare tutto il giorno in suo onore

Oggi Sergio Endrigo avrebbe compiuto ottanta anni. Era nato il 15 giugno 1933 e morì il 7 settembre 2005, dopo una lunga malattia. Se siete troppo giovani per ricordare le sue canzoni di certo saprete fischiettare il verso “Per fare un tavolo ci vuole il legno”, scritto da Endrigo per il 45 giri Ci vuole un fiore. Ma Endrigo scrisse alcune delle più belle canzoni italiane di sempre. Queste sono quelle che ha scelto nel suo libro Playlist il peraltro direttore del Post Luca Sofri.

Sergio Endrigo
(1933, Pola, Croazia – 2005, Roma)
Prima della generazione dei cantautori, quella famosa, c’era stata una pre-generazione dei cantautori: Tenco, Paoli, Endrigo, Bindi. Endrigo era nato a Pola e aveva una sua sobria eleganza. Quando ebbe finito con le canzoni bellissime, fece delle cose per bambini e delle cose più colte, ma non perse mai il suo stile.

Aria di neve
(Sergio Endrigo, 1962)
Meteorologia sentimentale, con stupenda apertura del ritornello: “È una vita impossibile, questa vita insieme a teeeeee!”. La relazione tira avanti, benché finita, tesa e glaciale: ma quella che passa più per stronza è lei. L’ha cantata poi Battiato nel suo primo Fleurs.

Io che amo solo te
(Sergio Endrigo, 1962)
Meraviglia delle meraviglie: “c’è gente che ha avuto mille cose…”. Splendida e umile dichiarazione d’amore in faccia a voi viziati mai contenti e mai soddisfatti. “Io ho
avuto solo te, e non ti perderò, non ti lascerò, per cercare nuove avventure”. Certo, se fossero stati tutti come te, ancora pensavamo che il mondo fosse piatto.

Canzone per te
(Endrigo, 1968)
Roba da antologia del linguaggio contemporaneo: “la festa appena cominciata è già finita”, sta nello stesso capitolo di “la musica è finita, gli amici se ne vanno” (Umberto Bindi, poi per Ornella Vanoni). Una canzone d’amore con i piedi per terra: il concetto è “oggi voglio bene a te, domani vediamo”. Il ritornello se ne va via col vento, “chissà se finirà, se un nuovo sogno la mia mano prenderàaaa…”.

Teresa
(Endrigo, 1968)
Omonima della fumìna Teresa di Buscaglione (quella del fucile), questa si spaccia per più candida, ma non ce la racconta: “non sono mica nato ieri, per te non sono stato il primo, nemmeno l’ultimo sarò”.

Lontano dagli occhi (1969)
“C’è nell’aria qualcosa di freddo che inverno non è”: siamo sempre ad “Aria di neve”, a livello de metafora. Ma poi arriva il refrain, che sarebbe drammatico – “lontano dagli occhi, lontano dal cuore, e tu sei lontana lontana da me” – ma riempie il cuore e i polmoni sotto la doccia, e fa alzare in piedi tutto il loggione. La cantò a Sanremo nel 1969 assieme a Mary Hopkin.

L’arca di Noè (1970)
“L’arca di Noè” ha un certo successo tra i bambini, per via del ritornello nautico-zoologico, ma i versi sono cupi e apocalittici ritratti di futuro snaturato: “un toro è disteso sulla sabbia, il suo cuore perde cherosene”. Forse la prima canzone ecologista della musica leggera italiana, a Sanremo la cantò con Iva Zanicchi.