• Mondo
  • Mercoledì 12 giugno 2013

Una lettera da un campo di lavoro cinese

Una donna la trovò in un pacco di decorazioni di Halloween, sei mesi fa: il New York Times forse ha trovato il suo autore

Alla fine di dicembre 2012, molti mezzi di comunicazione in tutto il mondo ripresero la storia di Julie Keith, una donna di Portland, in Oregon, che aveva trovato una lettera all’interno di una scatola di decorazioni di Halloween comprata un anno prima in un supermercato. Un uomo intervistato dal New York Times in Cina, scrive oggi il giornale, ha detto di essere l’autore di quella lettera, che chiedeva aiuto per denunciare le condizioni di detenzione nei campi di lavoro cinesi.

letteracinaIl New York Times ha ripubblicato un’immagine della prima pagina della lettera, che sembra scritta su una pagina strappata da un’agenda, scritta in un inglese che contiene diversi errori e in cui sono inserite diverse espressioni in cinese (la foto accanto si ingrandisce con un clic):

Sir:
If you occassionally buy this product, please kindly resend this letter to the World Human Right Organization. Thousands people here who are under the persicution of the Chinese Communist Party Government will thank and remember you forever.
This product produced by Unit 8, Department 2 Mashanjia Labour Camp, Shenyang, Liaoning, China (serie di circa 20 ideogrammi cinesi).
People who work here, have to work 15 hours a day without Saturday-Sunday break and any holidays. Otherwise, they will suffer torturement (ideogrammi) beat and rude remark (ideogrammi). nearly no payment (10 yuan / 1 month).
People who work here, suffer punishment 1-3 years averagelly, but without Court Sentence (unlaw punishment) (ideogrammi). many of them are Falungong practitioner, who are totally innocent people. only because they have different believe to CCPG (ideogrammi), they often suffer more punishment than others.

Signore,
se per caso ha comprato questo prodotto, per favore sia così gentile da inviare questa lettera all’Organizzazione Mondiale per i Diritti Umani. Migliaia di persone perseguitate dal governo del Partito Comunista Cinese la ringrazieranno e ricorderanno per sempre.
Questo prodotto [è stato] creato dall’Unità 8, Dipartimento 2 del Campo di Lavoro di Mashanjia, [città di] Shenyang, [provincia di] Liaoning, Cina.
Le persone che lavorano qui devono lavorare 15 ore al giorno senza pause per il sabato e la domenica o per qualsiasi festività. Altrimenti vengono torturate, picchiate e insultate. Non c’è quasi pagamento (10 yuan [1,2 euro] al mese).
Le persone che lavorano qui sono punite in media 1-3 anni, ma senza una sentenza di tribunale (punizione illegale). Molti di loro sono fedeli del Falun Gong, persone assolutamente innocenti [che sono punite] solo perché hanno convinzioni diverse rispetto al Partito Comunista Cinese. Spesso loro soffrono punizioni più severe rispetto agli altri.

L’autore della lettera diceva di essere un prigioniero del campo di lavoro di Masanjia, nella provincia nordorientale di Liaoning, a qualche centinaio di chilometri dal confine con la Corea del Nord. Diceva che il prodotto era frutto del lavoro dei prigionieri del campo, che lavoravano 15 ore al giorno senza avere alcun giorno di pausa, ricevendo una paga bassissima e venendo sottoposti a torture e abusi da parte delle guardie.

La lettera ricevette molta attenzione e fece tornare d’attualità le condizioni nei campi cinesi di “rieducazione attraverso il lavoro”, un sistema di colonie penali in cui si può essere imprigionati fino a quattro anni senza un processo. Data anche l’impossibilità di verificarne l’autore, rimasero i dubbi sull’autenticità della lettera e si avanzò l’ipotesi che fosse un gesto dimostrativo di qualche gruppo di attivisti o di un artista che desiderava portare l’attenzione sul caso.

Negli ultimi mesi è in corso in Cina un dibattito definito dal New York Times “insolitamente aperto” sul futuro dei campi di rieducazione, e decine di ex prigionieri hanno raccontato la propria storia. Nel corso di una serie di interviste con gli ex prigionieri, in mezzo alle descrizioni di torture e violenze (pestaggi, detenuti incatenati per ore, giorni di privazione del sonno), un uomo di 47 anni ha detto di aver scritto segretamente una ventina di lettere nel corso di due anni, che ha poi inserito in confezioni con l’imballaggio scritto in inglese, nella speranza che arrivassero in Occidente.

L’uomo, che si è voluto identificare solo con il cognome “Zhang” per timore di ritorsioni, abita a Pechino ed è membro del Falun Gong, un movimento spirituale fondato in Cina nei primi anni Novanta e che è pesantemente perseguitato dal governo cinese. I membri del Falun Gong, insieme agli oppositori politici e ai piccoli criminali, costituiscono gran parte della popolazione del sistema cinese dei “campi di lavoro” e, nel caso di Masanjia, sono circa la metà dei prigionieri. Spesso sono bersagliati più degli altri dalle guardie, in particolare se non rinunciano alla propria fede.

Nel corso della sua prigionia, ha detto l’uomo, ha fantasticato a lungo sulla possibilità che le sue lettere venissero ritrovate all’estero, ma ha aggiunto: «Con il passare del tempo ho smesso di sperare e me ne sono dimenticato». La testimonianza dell’uomo dal campo di Masanjia, scrive il New York Times, è confermata da altre simili di ex prigionieri. La sua calligrafia e la sua scarsa conoscenza dell’inglese sembrerebbero confermare che l’autore delle lettere è lui, aggiunge il giornale americano con molta cautela.

Per scrivere le lettere, Zhang, rilasciato dal campo di prigionia nel 2010, ha lavorato di notte e di nascosto dagli altri detenuti, con carta e penna rubate mentre stava pulendo in alcuni uffici. Tutta la vicenda ha anche un altro risvolto: la scatola di decorazioni di Halloween è arrivata in un supermercato della catena Kmart di Oregon, negli Stati Uniti, in cui è vietato vendere prodotti frutto di lavoro forzato (i rappresentanti di Kmart hanno detto che non hanno riscontrato irregolarità tra i propri fornitori). Il NYT descrive così il lavoro all’interno del campo:

Molto del lavoro consisteva nel produrre abiti per il mercato cinese o uniformi per la Polizia Armata del Popolo. Ma i detenuti dicono che hanno anche prodotto ghirlande natalizie destinate alla Corea del Sud, imbottiture di cappotti con piume d’oca che avevano l’etichetta “Made in Italy” e fiori finti che sarebbero stati venduti negli Stati Uniti, secondo quanto ripetevano le guardie. «Quando stavamo facendo prodotti per l’esportazione, dicevano “È meglio se fate molta attenzione con questi”», ha detto Jia Yahui, 44 anni, un ex prigioniero che ora vive a New York.

Foto: in una foto d’archivio del 2001, membri del Falun Gong guardano un video su un’eclissi solare durante il loro programma di “rieducazione” al campo di Masanjia, Cina nordorientale.
(AP Photo/John Leicester,File)