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  • Giovedì 6 giugno 2013

Le nuove foto dalla Turchia

I manifestanti hanno incontrato il vice di Erdogan e hanno fatto quattro richieste, mentre a Istanbul e in altre città proseguivano le proteste

Turkish protesters light a lantern during riots in a restaurant district of Ankara June 5, 2013. Thousands of striking workers took to the streets of Turkey's cities today, loudly joining calls for Prime Minister Recep Tayyip Erdogan to step down as mass protests against his rule intensified. Bellowing to the din of drums and wailing Turkish pipes, teachers, doctors, bank staff and others marched in a sea of red and yellow labour union flags in the capital Ankara and in Istanbul, where they converged on Taksim Square, the cradle of nearly a week of violent clashes. AFP PHOTO / MARCO LONGARI (Photo credit should read MARCO LONGARI/AFP/Getty Images)
Turkish protesters light a lantern during riots in a restaurant district of Ankara June 5, 2013. Thousands of striking workers took to the streets of Turkey's cities today, loudly joining calls for Prime Minister Recep Tayyip Erdogan to step down as mass protests against his rule intensified. Bellowing to the din of drums and wailing Turkish pipes, teachers, doctors, bank staff and others marched in a sea of red and yellow labour union flags in the capital Ankara and in Istanbul, where they converged on Taksim Square, the cradle of nearly a week of violent clashes. AFP PHOTO / MARCO LONGARI (Photo credit should read MARCO LONGARI/AFP/Getty Images)

Per il sesto giorno consecutivo in Turchia ci sono state proteste e scontri tra la polizia e i manifestanti che da giorni criticano duramente il primo ministro Recep Tayyip Erdogan e il suo governo, accusati di gestire il potere in modo sempre più autoritario e di mettere a rischio la laicità dello stato attraverso un progressivo processo di islamizzazione.

Nel pomeriggio di ieri, mercoledì 5 giugno, migliaia di manifestanti si sono riuniti in diverse città insieme alla Confederazione dei sindacati dei lavoratori pubblici (KESK), uno dei quattro sindacati più importanti della Turchia, e la Confederazione dei sindacati rivoluzionari dei lavoratori (DISK) che rivendica 420mila iscritti. Le manifestazioni più numerose si sono svolte a Istanbul, dove è stata occupata per alcune ore piazza Taksim, e ad Ankara dove nel parco Kizilay si sono riunite più di 10mila persone. Molti hanno sfilato con le immagini della persona che viene considerata la fondatrice della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk.

Nella notte tra mercoledì e giovedì le manifestazioni sono state per lo più pacifiche: i manifestanti si sono ritrovati nel parco Gezi, nel centro di Istanbul, divenuto ormai simbolo della protesta, indossando magliette contro Erdogan e a favore della libertà di comunicazione: finora almeno 25 persone sono state arrestate con l’accusa di avere fatto disinformazione e avere incitato alla violenza tramite i social network. Domenica 2 giugno, Erdogan aveva definito Twitter una minaccia, sostenendo che «i migliori esempi di menzogne si possono trovare lì». Qualche violenza si è verificata ad Ankara e a Rize, una città sulle rive del Mar Nero. Le forze dell’ordine, come nelle cinque notti precedenti, hanno usato i cannoni ad acqua, hanno abbattuto delle barricate e hanno spento i roghi appiccati dai manifestanti.

Ieri una delegazione del movimento di protesta ha incontrato il vice premier Bulent Arinc, che qualche giorno fa si era scusato per la reazione eccessiva della polizia e che aveva usato parole concilianti a differenza di Erdogan, le cui posizioni contro le manifestazioni sono sempre rimaste piuttosto rigide.

Dopo l’incontro, uno dei portavoce del movimento ha tenuto una conferenza stampa e ha spiegato di aver consegnato a Arinc una lista con una serie di richieste: il rilascio dei manifestanti arrestati, la fine dell’uso di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine, la cancellazione del progetto che ha portato all’inizio delle proteste – e che prevede la distruzione del parco vicino a piazza Taksim – e soprattutto le dimissioni dei capi della polizia di Ankara ed Istanbul: «Arinc ha ricevuto la nostra lista e ha detto che l’avrebbe valutata», ha detto. Il governo non ha fatto alcun commento: Erdogan rientrerà oggi nel tardo pomeriggio dalla Tunisia e si attende che dica la sua sulle richieste.

Finora sono state confermate due morti legate alle proteste. Un ragazzo è morto dopo essere stato colpito da alcuni colpi di arma da fuoco ad Antiochia, e non è stato ancora identificato l’autore dell’omicidio. Un altro manifestante è morto a Istanbul dopo esser stato investito da un’auto che ha travolto il gruppo di persone con cui stava marciando per la città. Si stima che i feriti siano oltre 3000 (secondo i dati delle organizzazioni in difesa dei diritti umani), che ci siano state centinaia di arresti e che gli agenti di polizia turchi abbiano già interrogato più di 1.700 persone. Questi dati non sono stati però confermati dalle autorità. Dopo Istanbul e Ankara, le proteste si sarebbero diffuse in altre 60 città del paese.