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  • Martedì 4 giugno 2013

Che ne è di Julian Assange?

È ancora rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, da un anno: il ministro degli Esteri ecuadoriano vuole incontrare il suo collega britannico per decidere come risolvere la questione

di Rossella Quaranta

LONDON, ENGLAND - DECEMBER 20: Wikileaks founder Julian Assange parts the curtains as he starts to speak from a balcony at the Ecuadorian Embassy on December 20, 2012 in London, England. Mr Assange has been living in the embassy since June 2012 in an attempt to avoid extradition to Sweden where he faces allegations of sexual assault. (Photo by Peter Macdiarmid/Getty Images)
LONDON, ENGLAND - DECEMBER 20: Wikileaks founder Julian Assange parts the curtains as he starts to speak from a balcony at the Ecuadorian Embassy on December 20, 2012 in London, England. Mr Assange has been living in the embassy since June 2012 in an attempt to avoid extradition to Sweden where he faces allegations of sexual assault. (Photo by Peter Macdiarmid/Getty Images)

Il Ministro degli Esteri dell’Ecuador, Ricardo Patino, ha annunciato che volerà nel Regno Unito il prossimo 16 giugno e ha chiesto di incontrare il Segretario di Stato per gli Affari Esteri britannico, William Hague, per trovare un accordo sulla posizione di Julian Assange. Il fondatore di Wikileaks si è infatti rifugiato da quasi un anno all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, per sfuggire alle richieste di estradizione in Svezia (la Svezia vorrebbe arrestarlo per le accuse di molestia sessuale da parte di due attiviste di Wikileaks, relative ad episodi che risalirebbero al 2010) e al rischio di essere consegnato agli Stati Uniti, dove è accusato di tradimento per aver diffuso documenti diplomatici riservati nella sua attività con Wikileaks.

Assange, che è cittadino australiano, ha ottenuto ufficialmente asilo politico dall’Ecuador nell’agosto 2012. Si era rifugiato all’ambasciata a giugno, pochi giorni dopo il rifiuto del suo ricorso contro l’estradizione da parte della Corte Suprema britannica. Le autorità del Regno Unito vorrebbero consegnarlo alla Svezia, ma Assange teme un processo per spionaggio negli Stati Uniti che può costargli l’ergastolo e addirittura una condanna a morte, anche se la Corte europea per i diritti umani vieta l’estradizione in Paesi che applichino la pena capitale per i reati contestati.

L’Ecuador ha offerto ad Assange ospitalità nel paese, ma il governo britannico non vuole concedergli un salvacondotto per raggiungere l’aeroporto e minaccia di arrestarlo non appena uscisse dall’ambasciata. In risposta, l’Ecuador sta preparando un documento per dimostrare che la Gran Bretagna è legalmente obbligata a permettere ad Assange di partire per il Sudamerica. Assange non può uscire dall’ambasciata, ma riceve giornalisti, intellettuali e celebrità (lo scorso aprile, è andato a fargli visita anche Roberto Saviano), e progetta la sua candidatura alle elezioni australiane del 2014, forte di alcuni sondaggi che gli attribuiscono il 26% delle preferenze.

Con il viaggio a Londra di questo mese, il Ministro ecuadoriano Patino punta a sbloccare la situazione. La posizione del Regno Unito non è semplice. Nei mesi scorsi, si era parlato della possibilità che la polizia irrompesse nell’ambasciata utilizzando una legge del 1987 (il Diplomatic and Consular Premises Act), che permette di sospendere in casi eccezionali lo status di territorio diplomatico, creando un precedente. Precedente che si creerebbe però anche continuando a consentire ad Assange di rifugiarsi nell’ambasciata senza alcuna opposizione.

Secondo un portavoce del Ministero degli Esteri britannico, dall’inizio della vicenda le autorità di entrambi i paesi hanno discusso regolarmente del “caso Assange”, e il ministro William Hague sta prendendo in considerazione la richiesta di incontro.

Intanto, è cominciato ieri negli Stati Uniti il processo davanti alla Corte marziale contro Bradley Manning, il militare americano 25enne che ha passato a Wikileaks 700mila documenti riservati, di cui era venuto in possesso lavorando come analista informatico per l’esercito in Iraq. Tra questi, c’era la copia di un video che mostrava l’uccisione di dodici civili (inclusi due giornalisti della Reuters) da parte di soldati statunitensi. Manning si è dichiarato colpevole per 10 capi d’accusa, incluso quello di aver trasmesso illegalmente informazioni riservate (in totale, rischierebbe 20 anni di carcere). Non ha ammesso, però, le colpe più gravi: aver violato l’Espionage Act (la legge del 1917 contro lo spionaggio) e aver aiutato il nemico, ossia Al Qaeda. Per quest’ultimo caso la pena prevista è l’ergastolo.

Wikileaks non ha mai rivelato che Manning fosse la sua fonte. Fu lui stesso a farsi scoprire, confidando a un amico ex hacker, via chat, di essere stato lui a passare i documenti riservati a Wikileaks. Ha sempre sostenuto che il suo scopo fosse informare l’opinione pubblica statunitense sulla gestione delle guerre in Afghanistan e Iraq: di tutti i media contattati in quell’occasione, soltanto Wikileaks decise di diffondere il video della strage di civili e gli altri documenti riservati. Il 19 agosto scorso, Assange ha parlato in pubblico da un balcone dell’ambasciata dell’Ecuador, lanciando un appello per la liberazione di Manning e aggiungendo che gli Stati Uniti “devono finire la guerra contro chi rivela i misfatti di chi governa”.

(Foto Peter Macdiarmid/Getty Images)