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  • Giovedì 30 maggio 2013

Perché parliamo di sciiti e sunniti?

Le divisioni tra i due principali rami dell'Islam spiegano molte delle cose che succedono in Medio Oriente: per esempio perché la guerra in Siria coinvolge tutti

A general view of the Sheikh Zayed Mosque in Abu Dhabi, the capital of the United Arab Emirates (UAE), on April 28, 2013. The mosque is named after Sheikh Zayed bin Sultan al-Nahayan the founder and the first president of the UAE. AFP/PHOTO KARIM SAHIB (Photo credit should read KARIM SAHIB/AFP/Getty Images)
A general view of the Sheikh Zayed Mosque in Abu Dhabi, the capital of the United Arab Emirates (UAE), on April 28, 2013. The mosque is named after Sheikh Zayed bin Sultan al-Nahayan the founder and the first president of the UAE. AFP/PHOTO KARIM SAHIB (Photo credit should read KARIM SAHIB/AFP/Getty Images)

Soprattutto negli ultimi mesi, ma in generale quasi sempre quando si parla di cosa succede in Medio Oriente, si discute della rivalità e degli scontri tra sciiti e sunniti, i due principali rami dell’Islam. La questione è diventata di grande interesse per la stampa occidentale soprattutto da quando è iniziata la cosiddetta “primavera araba” nei paesi mediorientali e nordafricani, che ha visto spesso uno dei due rami dell’Islam contrapporsi all’altro per la conquista del potere.

Ancora oggi se ne sta parlando per la situazione molto instabile dell’Iraq, per esempio, e ancora di più per quello che sta succedendo in Siria. Da diverso tempo la guerra siriana si è trasformata da “primavera araba” di carattere nazionale – come lo era nei primi mesi della rivoluzione – a scontro regionale che si combatte sulla linea di divisione sciiti-sunniti: il regime del presidente siriano Bashar al Assad, che fa parte della setta degli alawiti, affiliati agli sciiti, è sostenuto dall’Iran e da Hezbollah, entrambi sciiti; i ribelli siriani, che sono sunniti, sono sostenuti dai paesi del Golfo, tutti governati dai sunniti tranne l’Iraq, e da gruppi jihadisti anch’essi sunniti. Questo è il risultato di una lunga rivalità, sia religiosa che politica, iniziata nel 632 d.c. e proseguita e intensificata nei secoli successivi.

Un po’ di storia
Le divisioni tra sciiti e sunniti risalgono alla morte del fondatore dell’Islam, il profeta Maometto, nel 632 d.c.: la maggioranza di coloro che credono nell’Islam, che oggi noi conosciamo come sunniti e che sono circa l’80 per cento di tutti i musulmani, pensavano che l’eredità religiosa e politica di Maometto dovesse andare ad Abu Bakr, amico e padre della moglie di Maometto. C’era poi una minoranza, oggi la minoranza sciita, che credeva che il successore dovesse essere un consanguineo del profeta: questo gruppo diceva che Maometto aveva consacrato come suo successore Ali, suo cugino e genero.

Il gruppo che riuscì a imporsi fu quello dei sunniti, anche se Ali governò per un periodo come quarto califfo, il titolo attribuito ai successori di Maometto. La divisione tra i due rami dell’Islam divenne ancora più forte nel 680 d.c., quando il figlio di Ali Hussein fu ucciso a Karbala, città del moderno Iraq, dai soldati del governo del califfo sunnita. Da quel momento i governanti sunniti continuarono a monopolizzare il potere politico, mentre gli sciiti facevano riferimento al loro imam, i primi 12 dei quali erano discendenti diretti di Ali.

Con il passare degli anni le differenze tra i due gruppi sono aumentate e oggi ci sono alcune cose condivise e altre dibattute. Tutti i musulmani sono d’accordo che Allah sia l’unico dio, che Maometto sia il suo messaggero, e che ci siano cinque pilastri rituali dell’Islam, tra cui il Ramadan, il mese di digiuno, e il Corano, il libro sacro. Mentre però i sunniti si basano molto sulla pratica del profeta e sui suoi insegnamenti (la “sunna”), gli sciiti vedono le figure religiose degli ayatollah come riflessi di dio sulla terra, e credono che il dodicesimo e ultimo imam discendente da Maometto sia nascosto e un giorno riapparirà per compiere la volontà divina (questo è il motivo per cui, tra l’altro, il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad in molte riunioni di governo lascia una sedia vuota accanto a sé: per aspettare il ritorno del Mahdi, l’imam nascosto).

Questa differenza ha portato i sunniti ad accusare gli sciiti di eresia, e gli sciiti ad accusare i sunniti di avere dato vita a sette estreme, come gli wahabiti più intransigenti: tuttavia le due sette dell’Islam non hanno mai dato vita a una guerra delle dimensioni ad esempio della Guerra dei Trent’anni, che tra il 1618 e il 1648 mise le diverse sette cristiane una contro l’altra in Europa.

La divisione nella politica, e cosa c’entra la Siria
La rivalità tra sciiti e sunniti è scoppiata a livello politico a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran del 1979, che ha portato alla cacciata dello scià iraniano, che fino a quel momento era stato tra le altre cose anche filo-americano, e all’instaurazione di una teocrazia islamica, sciita, in forte contrapposizione con tutti i paesi governati dai sunniti nel Golfo Persico. Dal 1979 le alleanze nella regione si modificarono, e i cambiamenti furono notevoli e con grandi conseguenze: si rafforzò l’inimicizia dei sunniti contro la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che dall’Iran passa al regime alawita di Assad in Siria e arriva fino a Hezbollah in Libano.

Questa divisione si sta realizzando concretamente in diversi paesi del Medio Oriente. In Iraq, per esempio, ci sono ogni giorno attentati di natura settaria che provocano la morte di decine di persone: nelle ultime settimane la violenza nel paese è aumentata, ma è da diversi anni che gli scontri tra iracheni sunniti e governo sciita vanno avanti, più per ragioni politiche di controllo del potere che per ragioni ideologiche. I paesi che dal 1979 stanno guidando i due fronti dell’Islam, l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, sono entrati da diverso tempo nella guerra siriana: la prima finanziando i ribelli sunniti, il secondo mandando dei propri uomini della Guardia Rivoluzionaria e i combattenti di Hezbollah a combattere in alcune zone della Siria.

Le conseguenze di quella che è stata definita da più parti come “regionalizzazione” della guerra siriana sono già molto visibili: la violenza del conflitto ha raggiunto livelli altissimi e ci sono sempre più testimonianze di brutalità e violazioni gravi dei diritti umani che ogni giorno vengono compiute in Siria. Il recente coinvolgimento di Hezbollah, confermato per la prima volta qualche giorno fa dal leader del movimento Hassan Nasrallah, ha radicalizzato ancora più lo scontro e ha permesso al fronte di Assad di recuperare molti villaggi e città nella zona della Siria che oggi viene considerata più importante dal punto di vista strategico: quella a nord del confine con il Libano, che dalla capitale siriana Damasco porta alla costa occidentale del paese.