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  • Venerdì 24 maggio 2013

Obama, il terrorismo, i droni

Il presidente USA ha detto che la guerra al terrorismo «deve finire», che l'uso dei droni sarà limitato e che Guantanamo deve chiudere (ed è stato contestato)

US President Barack Obama leaves after speaking about his administration's drone and counterterrorism policies, as well as the military prison at Guantanamo Bay, at the National Defense University in Washington, DC, May 23, 2013. AFP PHOTO / Saul LOEB (Photo credit should read SAUL LOEB/AFP/Getty Images)
US President Barack Obama leaves after speaking about his administration's drone and counterterrorism policies, as well as the military prison at Guantanamo Bay, at the National Defense University in Washington, DC, May 23, 2013. AFP PHOTO / Saul LOEB (Photo credit should read SAUL LOEB/AFP/Getty Images)

In un atteso discorso alla National Defence University – qui il testo integrale – il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha parlato delle politiche contro il terrorismo e dell’uso di droni, dicendo che a 12 anni dagli attentati dell’11 settembre è giunto il momento di restringere l’obiettivo delle operazioni e iniziare la transizione verso un futuro in cui non ci si debba più considerare in guerra. «I nostri sforzi sistematici per smantellare organizzazioni terroristiche devono continuare, ma questa guerra, come tutte le guerre, deve finire. Questo dice la Storia. Questdo chiede la nostra democrazia». Nel discorso di Obama, questo si traduce in tre cose: concludere l’operazione militare in Afghanistan nei tempi previsti, come già fatto in Iraq; limitare l’uso letale dei droni, gli aerei militari senza pilota; chiudere il carcere militare di Guantanamo, a Cuba.

Le nuove policy annunciate da Obama rimangono coperte da segreto, ma molte cose del suo discorso spiegano con sufficiente chiarezza com’è cambiato il suo approccio a queste questioni.

A che punto è al Qaida
In uno dei passaggi che è stato più contestato dai repubblicani, Obama ha detto – come aveva fatto più volte in passato – che al Qaida è diretta verso la sconfitta: l’organizzazione militare ha subito delle dure perdite in Afghanistan, in Pakistan e in Yemen e quindi oggi la minaccia più concreta per gli Stati Uniti è rappresentata dagli attacchi cosiddetti “interni”, portati avanti da estremisti nati o vissuti a lungo in America (come nel caso delle bombe di Boston) se non addirittura cittadini americani. La nature delle minacce contro gli Stati Uniti «si è evoluta ed è cambiata», ha detto Obama.

«Né io né nessun presidente può promettere la totale sconfitta del terrorismo: non cancelleremo mai del tutto il male dal cuore di alcuni esseri umani, né elimineremo ogni potenziale pericolo per la nostra società. Quello che possiamo fare – quello che dobbiamo fare – è smantellare organizzazioni che ci minacciano e rendere più complicato per loro muoversi e darsi da fare, mantenendo gli ideali e le libertà che difendiamo». Per questo Obama ha chiesto al Congresso di «rivedere e poi abolire» i poteri speciali sull’uso della forza conferiti alla presidenza degli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. «Dobbiamo definire i nostri sforzi non come una “guerra al terrorismo” senza confini, bensì come una serie di azioni continue e mirate».

Cosa cambia sui droni
La nuova policy, secondo quanto descritto da Obama, limita gli omicidi mirati con i droni agli obiettivi che pongono «una continua e imminente minaccia agli americani», che non possono essere catturati dagli Stati Uniti o da un loro alleato, e solo se c’è la ragionevole certezza che non saranno coinvolti civili nell’attacco (se non fosse chiaro, ecco un utile diagramma di flusso fatto dall’Atlantic). La nuova policy trasferisce la responsabilità degli attacchi dalla CIA all’esercito, salvo che per il Pakistan, anche se questa eccezione sarà riesaminata ogni sei mesi dal governo, sulla base dei passi avanti compiuti nella lotta ad al Qaida nel paese.

La questione dell’uso di aerei senza pilota per uccidere sospetti terroristi fuori dai confini degli Stati Uniti è controversa legalmente e politicamente da alcuni anni – ancora di più quando vengono uccisi cittadini americani che non hanno ricevuto un regolare processo – e successive inchieste giornalistiche avevano rivelato i particolari delle scelte dell’amministrazione Obama a questo proposito.

E con Guantanamo?
La mancata chiusura del carcere di Guantanamo rappresenta probabilmente la più grande promessa mancata da Barack Obama fin qui. Uno dei suoi primi atti da presidente fu proprio la firma di un ordine esecutivo di chiusura del carcere ma la proposta venne bocciata dal Congresso: principalmente per la mancanza di alternative soddisfacenti rispetto al dove mandare le 166 persone che oggi vi sono detenute.

Obama ha detto che circa la metà dei detenuti può tornare nei suoi paesi d’origine e che autorizzerà quelli che devono tornare in Yemen a farlo, grazie alle garanzie fornite dal nuovo governo yemenita: gli Stati Uniti si prendono così un rischio, perché il costo politico di un eventuale attentato compiuto da un ex detenuto di Guantanamo sarebbe enorme, e perché in alcuni paesi gli ex detenuti di Guantanamo potrebbero essere a loro volta detenuti e torturati.

Per gli altri però serve un voto del Congresso. Obama ha chiesto nuovamente ai deputati e ai senatori di autorizzare il trasferimento dei prigionieri nelle carceri di massima sicurezza degli Stati Uniti, ricordando come da tempo nessuno riesca a fuggirne e come già oggi abbiano al loro interno persone sospettate o condannate per atti terroristici. Una volta portate all’interno del sistema legale statunitense, ha detto Obama, queste persone dovrebbero essere processate. Si è molto parlato di Guantanamo in queste settimane perché molti detenuti – sembra fino a 100 – hanno iniziato uno sciopero della fame e per questo vengono alimentati in modo forzato. Obama ha detto che «non ci sono ragioni, eccetto quelle di opportunismo politico, per non chiudere una struttura che non avrebbe dovuto mai essere aperta».

Le contestazioni
Proprio mentre Obama parlava della necessità di chiudere il carcere di Guantanamo il prima possibile, appellandosi al Congresso, una donna lo ha interrotto più volte contestandolo. Per diversi minuti la voce della donna si è sovrapposta a quella di Obama, che ha chiesto ripetutamente alla contestatrice di prestare ascolto e di lasciarlo finire, dato che stava parlando proprio di Guantanamo. A un certo punto Obama ha proprio smesso di parlare. La donna è stata poi portata fuori dalla stanza, dopo diversi minuti: era Medea Benjamin, co-fondatrice del gruppo “pacifista” Code-Pink.

Le reazioni
In sintesi: i repubblicani hanno accusato Obama di dichiarare vittoria troppo presto e sottovalutare un pericolo ancora molto grave, i liberal – l’ala sinistra dei democratici – hanno detto che Obama intende fare troppo poco per allontanarsi dagli eccessivi poteri dell’amministrazione Bush. Diversi osservatori hanno notato però l’insolita prosa articolata del discorso di Obama, che è stato giudicato da alcuni persino troppo vago. Il New York Times l’ha definito «il più vasto discorso sul terrorismo» da quando Obama è presidente, evidenziando come a lungo Obama abbia presentato entrambe le posizioni su ogni argomento di discussione, pesandone i pro e i contro in un modo razionale ma poco assertivo che raramente i presidenti utilizzano: probabilmente a dimostrazione della delicatezza della materia.

foto: (SAUL LOEB/AFP/Getty Images)