Un passo alla volta, sulla cittadinanza

Secondo Gian Antonio Stella il ministro Kyenge dovrebbe mettere da parte "una certa euforica loquacità" ed evitare annunci vaghi sullo "ius soli", magari aprendo a un sistema misto

Cécile Kyenge, ministro per l’Integrazione del governo Letta, domenica ha detto di avere intenzione di proporre presto un disegno di legge sullo ius soli, cioè il diritto di accedere alla cittadinanza italiana per chi è nato in Italia. Le sue dichiarazioni sono state molto criticate dal centrodestra e oggi Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, pur sostenendo che sia giusto dare “a chi è nato sul luogo la certezza di diventare cittadino per un diritto e non per concessione di questa o quella autorità”, suggerisce un approccio più cauto e diretto a un sistema misto tra ius soli e ius sanguinis.

Una delle proposte più serie presentate nella scorsa legislatura sulla cittadinanza – quella dei deputati Sarubbi (PD) e Granata (FLI) – era volta proprio a introdurre uno “ius soli temperato” e prevedeva l’acquisizione della cittadinanza per nascita attraverso alcuni requisiti: essere maggiorenni, trovarsi in Italia da almeno cinque anni, superare un test di integrazione civica e linguistica e fare un giuramento sulla Costituzione. Poteva diventare italiano, poi, chi era nato da genitore soggiornante in Italia da almeno cinque anni o un minore straniero che avesse completato un ciclo di studi. In questa riforma, dunque, contava la condizione di nascita in Italia più della discendenza. La cittadinanza italiana è oggi basata sullo “ius sanguinis”, il diritto di sangue.

Cécile Kyenge, che vive la nomina a ministro dell’Integrazione con una certa euforica loquacità, è riuscita a farsi bacchettare perfino dal presidente dei medici stranieri in Italia, Foad Aodi. Il quale le ha raccomandato di muoversi «con cautela». Un passo alla volta. Partendo «dalle cose che uniscono e non da quelle che dividono». Parole d’oro. A mettere troppa carne al fuoco, com’è noto, si rischia di bruciare tutto.

Il tema centrale, gli altri vengono dopo, è quello sollevato da Giorgio Napolitano quando si augurò che «in Parlamento si possa affrontare la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Verissimo. Ed è uno dei temi che possono unire. Purché, appunto, lo si faccia nel modo giusto. Annunciare genericamente il passaggio dallo ius sanguinis allo ius soli, cioè dalla cittadinanza ereditata dai genitori a quella riconosciuta automaticamente a chi nasce qui, senza spiegare bene «come» e con quali regole, è un errore.
Per carità, le reazioni isteriche di razzisti del web o della politica come Mario Borghezio, che si è spinto a parlare di un «governo bongo bongo» e a dire che gli africani «non hanno mai prodotto grandi geni, basta consultare l’enciclopedia di Topolino», ignorando che erano neri ad esempio Esopo e Alexandre Dumas, cioè due dei più grandi e dei più tradotti scrittori di tutti i tempi, andavano messe in conto. I razzisti sono quella roba lì…

Il guaio è che il modo con cui la Kyenge ha annunciato, insieme con tante altre cose, un disegno di legge in «poche settimane» per lo ius soli è stato così spiccio e insieme vago da creare una reazione di inquietudine, se non di ostilità, anche tra molti che danno per ovvia la necessità di cambiare la legge attuale. In realtà, come hanno spiegato Graziella Bertocchi e Chiara Strozzi nel saggio L’evoluzione delle leggi sulla cittadinanza: una prospettiva globale, non esiste una ricetta universale.

(continua a leggere sulla rassegna stampa del ministero della Difesa)

foto: Giorgio Napolitano, Matteo Renzi e Sergio Chiamparino con un gruppo di bambini durante i festeggiamenti per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. (LaPresse)