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  • Mercoledì 1 maggio 2013

Com’è fatto il Qatar

La storia e le foto della «fabbrica dell’impossibile reso fattibile dal denaro», grazie a una monarchia assoluta che pratica il soft power e vive di gas e petrolio

The plane carrying U.S. Secretary of State John Kerry descends over Doha, Qatar on Tuesday, March 5, 2013. Qatar is Kerry's final destination on his first official overseas trip as secretary of state. (AP Photo/Jacquelyn Martin, Pool)
The plane carrying U.S. Secretary of State John Kerry descends over Doha, Qatar on Tuesday, March 5, 2013. Qatar is Kerry's final destination on his first official overseas trip as secretary of state. (AP Photo/Jacquelyn Martin, Pool)

Alberto Stabile racconta su Repubblica la rapida e recente crescita del Qatar: grazie agli enormi profitti derivanti dal petrolio e dal gas naturale in trent’anni è passato da essere «una terra desolata, abitata da poveri pescatori di perle e contadini disperati ma orgogliosi» alla «fabbrica dell’impossibile reso fattibile dal denaro», dove le signore girano con velo e tacco dodici e gli uomini si spostano su Rolls Royce e yacht lussuosissimi.

La gondola scivola silenziosa sul canale scavato nel pavimento del grande centro commerciale. Donne in nero dalla testa ai piedi affollano le banchine su cui si affacciano le vetrine incastrate tra i palazzi, i ponti e i campielli di una finta Venezia sovrastata da un finto cielo primaverile. Il gondoliere filippino armeggia con il remo senza tradire fatica. In realtà a muovere l’imbarcazione sulle acque verdine da cui si sprigiona una confortevole frescura è un motorino elettrico, naturalmente “ad emissioni zero”.

Benvenuti in Qatar, la fabbrica dell’impossibile reso fattibile dal denaro, la caverna del tesoro nascosta in un deserto ferocemente ostile, ma inaspettatamente generoso, perché adagiato sul terzo più grande giacimento petrolifero del mondo. Trent’anni fa il Qatar era una terra desolata, abitata da poveri pescatori di perle e contadini disperati ma orgogliosi, combattivi, perennemente in lotta coni loro vicini, domati dagli eserciti d’imperi lontani. oggi, il piccolo emirato (meno di due milioni di abitanti, il 20 per cento nativi, il resto immigrati) è un “new comer”, un nuovo arrivato nel salotto mondiale della ricchezza, che non fa nulla per nascondere la potenza economica acquisita grazie ai doni del sottosuolo.

Anzi, proprio mentre il vecchio, impoverito Occidente si dibatte tra lacrime e sangue, le scorrerie del Qatar sui mercati, l’incessante vorticoso shopping di aziende, immobili, società, pacchetti azionari, che furono a lungo custoditi come intoccabili gioielli di famiglia, non vengono soltanto salutati con invidia verso chi non sembra risentire della crisi devastante, ma sono spesso invocati come generosi interventi di “soccorso” delle disastrate economie europee.

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