Che cos’è il “caso Stamina”

La storia di un trattamento a base di cellule staminali di cui si discute da settimane, tra appelli televisivi, interventi del governo e Nobel preoccupati

di Emanuele Menietti – @emenietti

Mercoledì 10 aprile il Senato ha approvato la conversione in legge del decreto legge con “disposizioni urgenti in materia sanitaria” emesso lo scorso marzo su iniziativa del ministro della Salute, Renato Balduzzi. L’articolo 2 del decreto è una norma transitoria che riguarda i pazienti che seguono terapie con cellule staminali mesenchimali, quelle del cosiddetto “caso Stamina”, una complicata vicenda sanitaria che riguarda diverse famiglie italiane e che va avanti da anni. La legge, che dovrà essere approvata anche dalla Camera, consente alle persone che avevano iniziato questo tipo di trattamento di proseguirla, anche se non è stata ancora provata la sua efficacia e la sua sicurezza, cosa che ha suscitato grandi polemiche soprattutto all’interno della comunità scientifica.

Il caso Stamina
La vicenda delle terapie con cellule staminali è diventata particolarmente discussa in Italia in seguito a una serie di servizi, messi in onda dalle Iene, in prima serata su Italia 1. La trasmissione si è occupata dell’appello dei genitori di Sofia, una bambina con una malattia neurodegenerativa (leucodistrofia metacromatica) non curabile, che nella forma infantile porta alla morte a circa cinque anni di distanza dalla comparsa dei primi sintomi. Secondo i suoi genitori, Sofia avrebbe tratto giovamento dal “metodo” Stamina, una soluzione che prevede la somministrazione di un “cocktail” di cellule staminali ideato da Davide Vannoni, fondatore della Stamina Foundation. Come vedremo, Le Iene hanno raccolto l’appello della madre di Sofia, che ha chiesto aiuto per consentire alla figlia di proseguire le cure, dopo la decisione del ministero della Salute di sospenderle.

Stamina Foundation
La fondazione è una onlus costituita nel 2009 da Vannoni e che, stando al suo sito, “si pone come obiettivo principale quello di riunire ricercatori di differenti paesi altamente specializzati nell’ambito delle cellule staminali adulte”. Vannoni non è un medico: è laureato in lettere e insegna Psicologia generale presso l’Università di Udine. Non ha mai pubblicato ricerche scientifiche sul proprio “metodo” e sugli effetti sui pazienti, nella cura di particolari malattie.

Cellule staminali
Per capire che cos’è il “metodo” Stamina è opportuno un breve ripasso di biologia. Le cellule staminali sono cellule non ancora specializzate, e sono quindi in grado di trasformarsi in un’ampia gamma di tipi di cellule del corpo attraverso il processo di differenziamento cellulare. Ognuno di noi nelle prime fasi della propria esistenza era sostanzialmente fatto di questo tipo di cellule, che durante la gravidanza si differenziano, sulla base del codice genetico, dando forma alle strutture e agli organi del nostro organismo.

Le cellule staminali esistono anche negli adulti e sono fondamentali per la produzione di particolari cellule, come i 200 miliardi di globuli rossi di cui abbiamo bisogno giornalmente. Semplificando, possiamo dire che sono meno versatili rispetto a quelle embrionali, ma sono facilmente ricavabili da diversi tessuti dell’organismo, compresi gli strati adiposi (la ciccia, insomma). E proprio per la relativa facilità con cui possono essere ricavate, le cellule staminali adulte mesenchimali sono molto studiate, perché potrebbero offrire soluzioni per curare particolari malattie grazie al fatto che possono generare nuovi tessuti. Hanno inoltre il vantaggio di porre meno problemi etici rispetto alle staminali embrionali, che si ottengono attraverso la distruzione degli embrioni, che non si potranno quindi evolvere in feti e successivamente in individui. In Italia, inoltre, la legge vieta di utilizzare le cellule embrionali a scopi di ricerca o cura.

Il “metodo” Stamina
Stando al suo stesso promotore, il “metodo” Stamina (usiamo le virgolette perché non appare così metodico) consiste nella somministrazione di cellule staminali mesenchimali per la cura di particolari patologie. La gamma di malattie che secondo Vannoni possono essere curate è molto ampia e ne comprende anche di tipo neurodegenerativo, proprio come la leucodistrofia metacromatica.

Vannoni dice di avere sviluppato il “metodo” dopo avere trattato con le cellule staminali una emiparesi facciale causata da una infezione virale nel 2004 in Russia. Successivamente invitò in Italia un ricercatore russo e uno di origini polacche, che lo aiutarono a sviluppare un sistema, che sarebbe poi diventato il “metodo”, fino a ora applicato su circa 80 pazienti. Tra le persone sottoposte al trattamento ce ne sono state alcune affette da Parkinson, altre da Alzheimer e altre ancora da patologie che colpiscono il sistema nervoso e l’apparato muscolare.

Le cellule utilizzate da Vannoni sono ottenute attraverso espianti dal midollo osseo, ma come è stato spiegato di recente sulla rivista scientifica Nature, molti dettagli sul suo “metodo” continuano a essere ignoti. Alla scarsa trasparenza contribuisce anche l’assenza di pubblicazioni scientifiche che illustrino metodologie, protocolli e risultati ottenuti attraverso la somministrazione delle staminali. Vannoni dice di utilizzare cinque diversi tipi di cellule nel proprio “cocktail”, le cui quantità sono calibrate a seconda dei risultati che si vogliono ottenere, dalla rigenerazione di tessuti danneggiati a soluzioni – anche in questo caso alquanto misteriose – per ridurre le infiammazioni attraverso somministrazione cellulare.

Inchieste e ispezioni
Da quando esiste, la Stamina Foundation si è dovuta confrontare più volte con le autorità sanitarie italiane ed europee. La fondazione ha sede a Torino e oggi si appoggia su una struttura pubblica di Brescia, ma in passato ha avuto difficoltà per operare in Italia. Nel 2007, per esempio, in seguito a una direttiva europea che imponeva alle società che realizzano terapie con cellule staminali di seguire le stesse norme cui devono sottostare le aziende farmaceutiche – proprio per evitare sperimentazioni fuori controllo e dagli esiti incerti – Vannoni stabilì il proprio laboratorio presso la Repubblica di San Marino.

Negli anni seguenti Stamina ebbe altri problemi in seguito ad alcune iniziative giudiziarie. Tra le più note ci fu quella del pubblico ministero Raffaele Guariniello della procura di Torino, che avviò un’inchiesta con l’ipotesi che quel tipo particolare di terapie potesse essere pericoloso per la salute pubblica. Vannoni non ebbe molte alterative se non quella di lasciare San Marino e stabilire un nuovo laboratorio a Trieste, dove il suo lavoro sarebbe stato fermato da un’altra inchiesta giudiziaria.

Successivamente, grazie ad alcune conoscenze e contatti non ancora del tutto chiari, Stamina avviò una collaborazione con la struttura sanitaria degli Spedali Civili di Brescia. Ai primi di maggio 2012, il pubblico ministero Raffaele Guariniello dispose un sopralluogo da parte del gruppo dei NAS dei Carabinieri agli Spedali Civili, per verificare le condizioni in cui erano prodotte e somministrate ai pazienti le cellule staminali in collaborazione con Stamina Foundation. Al sopralluogo parteciparono anche alcuni ispettori dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), che rilevarono numerose carenze igieniche, la scorretta conservazione di alcuni prodotti e l’assenza di misure di sicurezza adeguate.

D’accordo con il ministero della Salute, che poco dopo avviò un’indagine sugli Spedali Civili, fu disposta la sospensione dell’attività di Stamina Foundation. Successive indagini fecero anche emergere la carenza di protocolli di terapia chiari, e la mancanza di un adeguato controllo sui pazienti. Dato che molti pazienti coinvolti sono bambini, valse un ulteriore principio di precauzione nel timore che le terapie, effettuate senza rigidi controlli, potessero arrecare loro dei danni.

Terapie compassionevoli
Prima di essere somministrata, una terapia medica deve avere superato numerosissimi controlli, test di laboratorio e clinici. Il “metodo” Stamina, come molti altri sistemi basati sulle staminali, è ancora lontano dal dimostrare la propria efficacia ed essere quindi considerato una terapia a pieno titolo. A rigor di logica, quindi, il “metodo” sviluppato da Stamina non dovrebbe essere utilizzato su pazienti, ma c’è un’eccezione. Una legge del 2003, infatti, regolamenta le cosiddette “terapie compassionevoli”. In pratica, la legge stabilisce che per particolari patologie che non hanno cura è possibile utilizzare terapie ancora non certificate, a patto che rispettino alcuni principi fondamentali: devono essere in avanzata fase di sperimentazione e devono portare un tangibile beneficio al paziente.

Al momento, il “metodo” Stamina non sembra rispettare le basi poste dalla legge per potere fare ricorso alle “terapie compassionevoli”. Non è stata ancora sperimentata a sufficienza, non ha alle spalle ricerche scientifiche solide e comprovate da altri ricercatori, e da quanto è emerso fino a ora non è stata accompagnata da una adeguata documentazione sulla sua efficacia e sulla sua sicurezza. Non è quindi ancora del tutto chiaro come mai questo “metodo” sia stato adottato dalla struttura sanitaria di Brescia.

La storia di Sofia
In seguito alla sospensione del trattamento con “metodo” Stamina imposta dalle autorità sanitarie italiane, molte famiglie di pazienti hanno fatto ricorso presso la magistratura per ottenere permessi per proseguire le “terapie compassionevoli” con le staminali. Di questa materia si occupano i giudici del lavoro, non un organismo centrale, e quindi in pochi mesi sono state emesse sentenze anche molto diverse tra loro per autorizzare o meno la prosecuzione delle terapie. In oltre 25 casi, i giudici hanno dato il loro consenso per la ripresa, definendo non applicabile la sospensione imposta dal ministero della Salute, mentre in quattro casi altrettanti tribunali hanno dato ragione alle autorità sanitarie, dando quindi parere negativo alla ripresa delle cure.

Uno di questi quattro casi era quello di Sofia, la bambina del servizio delle Iene: ha tre anni e una malattia neurodegenerativa molto grave, e secondo i suoi genitori aveva iniziato a trarre benefici dal trattamento col “metodo” Stamina. L’appello della madre di Sofia al ministro Balduzzi ha suscitato grande interesse intorno al caso Stamina, amplificato anche dagli interventi di diversi personaggi dello spettacolo, a partire da quello di Adriano Celentano sul Corriere della Sera. Dopo un incontro non risolutivo con il ministro Balduzzi, i genitori di Sofia sono ricorsi nuovamente alla magistratura dopo un cambio di residenza, ottenendo infine una sentenza a favore della ripresa del trattamento.

Il decreto
A quasi un anno dalle ispezioni delle autorità sanitarie agli Spedali Civili, e a diversi mesi dalla relazione di un gruppo di esperti commissionata dal ministero della Salute, è diventato evidente che la sospensione del “metodo” Stamina e le sentenze a favore o contro la sua ripresa avevano portato a molta confusione, e a decisioni poco eque per i singoli pazienti. Il ministro Balduzzi a fine marzo ha provato a porre rimedio al problema con un decreto urgente in materia sanitaria. Il provvedimento “concede eccezionalmente la prosecuzione di trattamenti [con cellule staminali] non conformi alla normativa vigente per i pazienti per i quali sono stati già avviati alla data di entrata in vigore del decreto”.

In questo modo, almeno sulla carta, tutti i pazienti che erano già trattati con il “metodo” Stamina (oltre 30 persone, molti bambini) hanno potuto riprendere le somministrazioni di cellule staminali. La decisione ha portato a enormi polemiche soprattutto all’interno della comunità scientifica, dove si continuano ad attendere prove chiare, verificabili e riproducibili sui presunti benefici del sistema messo a punto dalla fondazione di Vannoni.

Pochi giorni dopo l’approvazione del decreto, a Roma è stata organizzata una manifestazione per chiedere che il trattamento di Stamina sia messo a disposizione di tutte le persone con malattie incurabili che ne facciano richiesta, seguendo il meccanismo previsto dalla legge delle “terapie compassionevoli”. In seguito al grande seguito mediatico, infatti, Stamina dice di avere ricevuto in breve tempo circa 9000 richieste da altrettanti pazienti per iniziare il trattamento. Il decreto risolve, in un certo senso, il problema di chi era già trattato con le staminali, ma non prevede che possano essere avviate terapie per nuovi pazienti.

La conversione in legge
Mercoledì 10 aprile il Senato ha votato la conversione in legge del decreto, e altrettanto dovrebbe fare nei prossimi giorni la Camera. In seguito all’approvazione, il premio Nobel Shinya Yamanaka, presidente della Società Internazionale per la Ricerca sulle Cellule Staminali (ISSCR), ha detto di essere molto preoccupato per il “fatto che trattamenti basati sulle cellule staminali non sperimentati in modo adeguato siano immessi sul mercato”. Yamanaka ha ricordato che “non è chiaramente affermato nella letteratura scientifica che le cellule staminali mesenchimali abbiano alcuna efficacia nel migliorare le conduzioni neurologiche”.

In seguito alle dichiarazioni di Yamanaka, alle dure critiche da parte della comunità scientifica e a diversi articoli pubblicati sui giornali, il ministero della Salute ha diffuso un comunicato per precisare che “non ha autorizzato alcuna terapia non provata a base di staminali”, confermando che il decreto ha concesso in via eccezionale il proseguimento delle terapie solo per chi le aveva già iniziate. Il ministero ha anche ricordato che il decreto impone un monitoraggio clinico molto accurato per tutti i pazienti sottoposti al “metodo” Stamina. Il disegno di legge di conversione del decreto contiene regole più chiare, e strette, sulle modalità di sperimentazione, produzione e somministrazione delle staminali.

Il “metodo” Stamina funziona?
È la domanda delle domande e non è facile dare una risposta definitiva. I dubbi principali legati al sistema della fondazione di Vannoni sono dati dal fatto che, per realizzarlo, non sono state seguite le procedure classiche di ricerca e test clinici tipici nello studio e nello sviluppo di nuove terapie sanitarie. I promotori del “metodo” non hanno pubblicato a oggi lavori di ricerca chiari, che descrivano i modi in cui sono ottenute le staminali per le terapie e i protocolli seguiti.

L’unica pubblicazione scientifica esistente in merito è stata realizzata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto per l’infanzia ed ospedale specializzato pediatrico regionale “Burlo Garofolo” di Trieste. Lo studio è stato realizzato su cinque bambini affetti da atrofia muscolare spinale (SMA) di tipo 1, cui sono state somministrate cellule staminali per valutare la loro reazione ed eventuali miglioramenti. I ricercatori hanno concluso che il trattamento non ha portato ad “alcun cambiamento nel decorso della malattia”. La ricerca è stata contestata da Vannoni, secondo cui i medici non hanno utilizzato il mix di cellule corretto per le terapie. Vannoni sostiene, inoltre, di avere fornito tutta la documentazione necessaria alle autorità sanitarie, quando furono eseguite le ispezioni a Brescia, ma che parte di quei documenti non sono mai stati presi in considerazione.

A oggi non è scientificamente provato che il “metodo” Stamina funzioni, né che sia completamente sicuro per la salute dei pazienti, problema che del resto hanno molte altre terapie basate sulle cellule staminali ancora in fase di test clinici. È opinione comune tra i ricercatori che l’utilizzo delle staminali possa portare a grandi opportunità per realizzare nuove terapie più efficaci e meno invasive rispetto ad alcuni farmaci oggi in commercio, ma saranno necessari ancora anni di ricerche in laboratorio e test clinici prima di arrivare a protocolli efficaci, certificati e riconosciuti.

E quindi?
Fino a quel momento è opportuno che prevalga il principio di precauzione e che non si proceda in maniera improvvisata, lontana dal metodo scientifico, specialmente se ciò può comportare rischi per i pazienti. A oggi, infatti, non è nemmeno chiaro quale sia la portata dei benefici di un simile trattamento rispetto ai potenziali danni che potrebbe causare. La legge sulle “terapie compassionevoli” non equivale a un “proviamo anche questa, visto che non ci sono cure”: prevede rigidi controlli e garanzie irrinunciabili per la tutela del paziente.

In casi come quello Stamina, o in passato la vicenda Di Bella, le autorità sanitarie si trovano spesso a doversi confrontare con parte dell’opinione pubblica, che in buona fede e con una certa dose di emotività ripone grandi speranze in terapie che si vendono come miracolose, anche se in assenza di prove certe sulla loro efficacia. Entro certi limiti, la libertà di scelta della cura deve essere tutelata, ma le istituzioni hanno anche il dovere di proteggere e informare i propri cittadini su terapie non verificate e potenzialmente pericolose per la salute.

Come ha ricordato sul Corriere il direttore del Laboratorio cellule staminali della Sapienza di Roma, Paolo Bianco, questo principio vale fortemente in un paese come l’Italia dove l’assistenza sanitaria è pubblica e viene pagata da tutti i contribuenti: «L’onere economico derivante dall’uso in decine di migliaia di pazienti di terapie inefficaci e mai sottoposte a sperimentazione ricadrebbe sul Servizio sanitario nazionale e dunque sui cittadini». Infine, è bene ricordare che intorno al caso Stamina, come in molti altri casi simili in giro per il mondo complice anche la mancanza di leggi adeguate, circolano grandi interessi commerciali legati alle sponsorizzazioni, alle approvazioni dei brevetti e alla loro vendita.