Due anni dopo i referendum sull’acqua

Francesco Costa spiega su IL che cosa è cambiato (poco) e come funziona la storia dei rimborsi sulle tariffe

NICE, FRANCE - NOVEMBER 03: As the leaders of the world's richest nations discuss the global economy in nearby Cannes a man sits and looks out to sea on Promenade des Anglais on November 3, 2011 Nice, France. The Eurozone crisis and the Greek economy are dominating the first day of the G20 summit in Cannes after Greek Prime Minister George Papandreou called for a referendum on the Brussels bailout package of the Greek economy. (Photo by Christopher Furlong/Getty Images)
NICE, FRANCE - NOVEMBER 03: As the leaders of the world's richest nations discuss the global economy in nearby Cannes a man sits and looks out to sea on Promenade des Anglais on November 3, 2011 Nice, France. The Eurozone crisis and the Greek economy are dominating the first day of the G20 summit in Cannes after Greek Prime Minister George Papandreou called for a referendum on the Brussels bailout package of the Greek economy. (Photo by Christopher Furlong/Getty Images)

Sul numero di IL di aprile, in edicola da oggi col Sole 24 Ore, Francesco Costa spiega che cosa è cambiato a quasi due anni dai referendum sull’acqua del 12 e 13 giugno 2011.

Il 12 e il 13 giugno del 2011, più o meno due anni fa, gli elettori italiani hanno abrogato quattro norme con quattro referendum. Oggi di quei referendum potreste avere due ricordi molto diversi tra loro, secondo la salute della vostra memoria e l’attenzione con cui seguiste la questione. Chi la seguì poco pensa probabilmente che quei referendum sancirono una volta per tutte che in Italia l’acqua è un bene pubblico e che avremmo fatto a meno di centrali nucleari e legittimi impedimenti. Se invece all’epoca la storia vi appassionò, sapete che le cose sono molto più complicate.

Per cominciare, due dei quattro referendum furono sostanzialmente inutili. Le norme sul nucleare oggetto del terzo referendum furono abrogate dal governo Berlusconi un mese prima del voto, costringendo la Corte costituzionale a una vuota e acrobatica riscrittura del quesito. Le norme sul legittimo impedimento, invece, furono parzialmente abrogate prima del voto dalla Corte costituzionale, che poi dovette cambiare in corsa pure quel quesito. Restano quindi i referendum sull’acqua, che però non erano sulla “privatizzazione dell’acqua” – l’acqua era e sarebbe rimasta in ogni caso un bene pubblico – bensì sull’eventuale privatizzazione, parziale o totale, delle società che in alcuni casi, per conto degli enti locali, ne gestiscono la rete e la distribuzione: il servizio.

(continua a leggere sul sito del Sole 24 Ore)

foto: Christopher Furlong/Getty Images