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  • Mercoledì 10 aprile 2013

L’esercito torturò i civili in Egitto?

Lo scrive il Guardian dicendo di aver letto il rapporto di una commissione istituita da Morsi: parla di violenze e sparizioni nei 18 giorni delle proteste

Egyptian protestors take part in a demonstration on February 1, 2011 at Cairo’s Tahrir Square as massive tides of protesters flooded Cairo for the biggest outpouring of anger yet in their relentless drive to oust President Hosni Mubarak's regime. AFP PHOTO/MOHAMMED ABED (Photo credit should read MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)
Egyptian protestors take part in a demonstration on February 1, 2011 at Cairo’s Tahrir Square as massive tides of protesters flooded Cairo for the biggest outpouring of anger yet in their relentless drive to oust President Hosni Mubarak's regime. AFP PHOTO/MOHAMMED ABED (Photo credit should read MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)

Il quotidiano britannico Guardian ha pubblicato oggi in esclusiva alcune informazioni contenute in un rapporto sugli scontri che si verificarono in Egitto durante i primi 18 giorni della cosiddetta “primavera araba”, che portarono alle dimissioni dell’allora presidente Hosni Mubarak l’11 febbraio 2011. Il rapporto, che secondo il Guardian è stato redatto da una commissione di 16 membri nominata lo scorso luglio dal presidente egiziano Mohamed Morsi, dimostrerebbe il coinvolgimento dei militari egiziani in molti episodi di violenza, tortura e sparizione di civili che si verificarono fin dall’inizio delle proteste. Il Guardian sostiene che il rapporto era già stato concluso nel gennaio di quest’anno, ma il suo contenuto era rimasto completamente riservato fino ad oggi.

Finora i militari egiziani si sono rifiutati di commentare le rivelazioni del Guardian. Una fonte interna all’ufficio di presidenza di Morsi ha detto che le informazioni ottenute dal Guardian in realtà non sono autentiche e che non esiste ancora alcun rapporto definitivo, visto che le indagini della commissione sono ancora in corso.

Se dovessero essere confermati i risultati dell’inchiesta sarebbero molto importanti, perché raccontano una parte della primavera araba egiziana che fino a oggi era rimasta poco conosciuta, o per lo meno nascosta dai vertici del governo del Cairo. Secondo quanto riporta il Guardian più di 1000 persone, compresi molti detenuti delle carceri egiziane, sparirono durante questi 18 giorni delle rivolte, senza che le autorità del paese sapessero (o volessero) dare spiegazioni ai loro familiari. Alcuni di essi vennero in seguito identificati negli obitori egiziani: la maggior parte presentava segni di violenza e di tortura sul corpo.

Mohsen Bahnasy, avvocato che si occupa di diritti umani e membro della commissione, ha dichiarato al Guardian che diverse sparizioni sarebbero avvenute anche durante le proteste che si tennero durante i primi giorni della rivolta a piazza Tahrir. Bahnasy ha sostenuto che alcuni agenti dei servizi segreti militari egiziani prenotarono delle camere in un grande albergo adiacente alla piazza, da cui avrebbero scattato delle fotografie di quanto stava succedendo e delle violenze dell’esercito sui civili: «L’intelligence militare aveva le prove di quello che stava succedendo, ma le ha nascoste alle indagini della commissione», ha aggiunto Bahnasy.

Il Guardian riporta anche la testimonianza di Radia Atta, una donna che ha testimoniato di fronte alla commissione istituita da Morsi. Atta ha raccontato al quotidiano britannico che suo marito, Ayman Issa, scomparve il 30 gennaio 2011, dopo avere lasciato la sua casa ad Ashmet, un villaggio rurale nel governatorato di Ben Suef, per andare al lavoro. Issa venne fermato e arrestato a un posto di blocco militare lungo un’importante autostrada nel deserto a sud del Cairo, vicino alle piramidi di Dahshour. Dopo essere stata chiamata da alcuni testimoni, Atta lo stesso pomeriggio andò nel sito del posto di blocco, dove vide un numero impressionante di civili fermati dai militari e fatti sdraiare a terra con le mani e i piedi legati.

Le autorità del posto di blocco dissero ad Atta di andare a una stazione di polizia a Giza, quartiere occidentale del Cairo, dove avrebbe potuto trovare il marito arrestato. Quando arrivò a Giza, i militari le riconsegnarono il passaporto di Issa, sostenendo di averlo fermato con l’accusa di avere partecipato alle sommosse di piazza. Poco tempo dopo Atta ottenne finalmente il permesso di visitare il marito a Hykestep, una prigione all’interno di una grande base militare nella periferia orientale del Cairo, ma non lo trovò. Denunciò il fatto alle autorità, tra cui il ministero della Difesa e dell’Interno, ma non ebbe più notizie del marito. In quel posto di blocco, sostiene il Guardian, si verificarono altri episodi simili, in cui diversi civili vennero fermati e arrestati, prima di sparire.

Le informazioni del rapporto ottenuto dal Guardian contengono anche alcune raccomandazioni che la commissione avrebbe fatto al governo egiziano, tra cui quella di avviare delle indagini sulla responsabilità delle forze armate nei crimini commessi contro i civili nel 2011. I suggerimenti del rapporto, però, potrebbero essere facilmente disattesi: in qualità di presidente lo stesso Morsi era diventato il capo delle forze armate lo scorso giugno, in coincidenza della sua vittoria alle elezioni del giugno 2012, e nonostante molte richieste provenienti dai famigliari delle vittime di torture e violenze si era sempre rifiutato di indagare oltre e perseguire i presunti colpevoli. Inoltre, secondo molti attivisti per i diritti umani, la situazione si è aggravata ancora di più con l’approvazione della nuova Costituzione il dicembre scorso, che prevede, tra le altre cose, che siano solo i militari a poter investigare su crimini commessi da altri militari.

foto: Piazza Tahrir durante le proteste il 1 febbraio 2011 (MOHAMMED ABED/AFP/Getty Images)