Che cosa c’è nei “Kissinger Cables”

Wikileaks ha raccolto e organizzato una serie di documenti diplomatici americani (non segreti): si parla, tra le altre cose, di un visto negato a Napolitano

Wikileaks ha pubblicato oggi 1.707.499 documenti della diplomazia statunitense che vanno dal 1973 al 1976 e che riguardano le comunicazioni tra Henry Kissinger, prima consigliere per la sicurezza nazionale e poi Segretario di Stato, e le ambasciate di tutto il mondo. A differenza dei cablogrammi pubblicati per la prima volta da Wikileaks nel 2010, questi documenti sono stati desecretati dallo stesso governo americano: il gruppo di Julian Assange si è limitato ad assemblarli in un database, chiamato “PlusD” (che sta per “Public Library of the United States Diplomacy”) e a renderli cercabili per parole chiave. Wikileaks ha fornito accesso esclusivo a questi documenti a un gruppo di 19 media internazionali, tra cui l’Espresso in Italia, Pagina 12 in Argentina, l’Hindu in India e The Age in Australia.

Il fatto che i documenti fossero già desecretati non rende inutile il lavoro di Wikileaks. Se il governo americano ritiene che certi documenti possono danneggiare gli interessi nazionali, infatti, può decidere di secretarli di nuovo, anche se le informazioni contenute sono già finite nei libri di storia o sui giornali di tutto il mondo. Questo successe per esempio nel 2006 quando l’amministrazione di George W. Bush decise di secretare oltre 55.000 documenti che erano stati diffusi anni prima.

In realtà si sta parlando poco dei “Kissinger Cables”, sulla stampa internazionale, anche se alcune delle testate contattate da Wikileaks hanno riportato diversi documenti che riguardano i loro paesi. I documenti visionati dall’Espresso riguardano per lo più i difficili rapporti tra gli americani e il Partito Comunista Italiano (PCI).

La vicenda del visto negato a Giorgio Napolitano
Nell’agosto del 1975 l’allora ambasciatore americano in Italia, John Volpe, scriveva: «Nell’aprile scorso abbiamo raccomandato di non rilasciare un visto a Giorgio Napolitano, che voleva recarsi negli Stati Uniti per tenere conferenze in quattro università». In quegli anni la diffidenza americana nei confronti del PCI era nota, anche se meno marcata rispetto all’immediato dopoguerra. Nel 1976 fu lo stesso Kissinger a scrivere però che «i comunisti non sono tutti uguali», e distinguere gli intellettuali comunisti che non disprezzavano lo stalinismo da quelli come Napolitano, che «ha confessato le proprie perplessità su come sviluppare il socialismo all’interno di uno stato democratico, tenuto conto della specificità dell’esperimento sovietico».

Nonostante l’apertura di Kissinger, però, il visto a Napolitano non venne concesso. Fu lo stesso Kissinger a spiegare che in base alla legge “Immigration and Nationality Act” del 1952, i membri di tutti i partiti comunisti erano impossibilitati a ricevere un visto di entrata negli Stati Uniti. Esistevano eccezioni, aggiunse Kissinger, ma nel caso di Napolitano non venne concessa alcuna deroga. I motivi di questa scelta non sono mai stati chiariti ufficialmente, anche se l’ambasciatore Volpe fornì una spiegazione molto credibile dell’intera vicenda: concedere i visti a esponenti del PCI poteva essere vista come “una sorta di presunta indicazione del fatto che il governo americano ha accettato le credenziali democratiche del PCI”.

Indro Montanelli sulla Democrazia Cristiana
Era il 1975, si erano appena concluse le elezioni regionali del 15 e 16 giugno, quelle in cui la DC si fermò al 35 per cento e il PCI arrivò a oltre il 33 per cento. Montanelli era molto deluso, credeva nella possibilità che l’Italia finisse sotto un regime stalinista. Scrisse agli americani le sue impressioni sulla Democrazia Cristiana: «I democristiani sono senza leader. È un partito che non ha mai capito la democrazia e dopo De Gasperi, che invece la capiva, è semplicemente diventato un parassita nel corpo della politica». Montanelli aggiunse: «Fanfani aveva il merito di avere le palle, gli altri manco quelle».

Gli americani e Comunione e Liberazione di don Giussani
Nel dicembre 1975, lo stesso anno delle elezioni regionali in cui il PCI guadagnò moltissimi consensi, gli americani incontrarono don Giussani, fondatore del movimento Comunione e Liberazione (CL). Giussani spiegò che il braccio politico di CL era il “Movimento Unitario Popolare”, il MUP, fondato tra gli altri da Roberto Formigoni, che in quegli anni raccoglieva molte adesioni da parte soprattutto di giovani e militanti della DC. Il MUP però non aveva soldi, e Giussani chiese al console americano a Milano un aiuto per rafforzare il braccio mediatico di CL e del MUP: «C’è disperatamente bisogno di un settimanale non cattolico», disse Giussani, perché Famiglia Cristiana si rifiutava di sostenere il suo gruppo. «La forza trainante dietro il Movimento Unitario Popolare è Formigoni con don Scola e Santo Bagnoli della Jaca Book».

Il Vaticano e il colpo di stato in Cile di Pinochet
Dopo il colpo di stato di Pinochet in Cile dell’11 settembre 1973, la stampa internazionale riportò le atrocità compiute dalla nuova giunta militare cilena. Una delle poche istituzioni che non credettero alle ricostruzioni sulla natura del nuovo governo cileno fu il Vaticano. L’ambasciata americana a Roma scrisse un messaggio al Dipartimento di Stato che riferiva il contenuto di una conversazione con l’arcivescovo Benelli, vice segretario di stato della Santa Sede. Benelli etichettava le “esagerazioni” della stampa come “probabilmente il più grande successo della propaganda comunista”, sottolineando che perfino i circoli conservatori e moderati sembravano piuttosto disposti a credere alle più grosse bugie sugli eccessi della giunta cilena.

Tre anni dopo il colpo di stato di Pinochet, riporta l’Espresso, l’isolamento del Cile era fortissimo, l’Inghilterra aveva ritirato il suo ambasciatore dal paese, e perfino il governo americano non poteva più essere annoverato tra quelli che appoggiavano il Cile della giunta militare. Ma il Vaticano era ancora lì, con la sua «pressione esercitata con discrezione».

I rapporti tra il Vaticano e la dittatura della giunta militare argentina
Sui rapporti tra la dittatura argentina e il Vaticano Wikileaks non riporta molte informazioni, perché il colpo di stato della giunta militare di Videla venne fatto il 24 marzo 1976, e i cable si fermano al dicembre 1976. I documenti dei “Kissinger Cables” dimostrano però un rapporto molto stretto – anche questo già molto noto e famoso – tra il nunzio apostolico Pio Laghi e l’ammiraglio Massera, uno dei responsabili del golpe. In un rapporto del novembre 1975 l’ambasciata americana di Buenos Aires informò il Dipartimento di Stato che «secondo l’analisi del nunzio, la signora Peron se ne deve andare il prima possibile o con un congedo, o dimettendosi, oppure con un colpo di stato. Neppure i militari vogliono l’ultima opzione e la implementeranno come ultima risorsa». La signora Peron era Isabel Peron, moglie dell’ex presidente argentino Juan Peron morto nel 1974, che venne effettivamente destituita da un colpo di stato nel marzo 1976.