La megainchiesta sui paradisi fiscali

Giornalisti di mezzo mondo hanno lavorato per mesi su una massa enorme di documenti riservati: c'entrano dittatori, truffatori e dirigenti di grandi aziende

US dollar notes are pictured at a currency exchange shop in Quetta on February 11, 2013. The Pakistani rupee on Monday sank to an all-time low against the US dollar over forex reserve fears as the country repayed $146 million to the International Monetary Fund. AFP PHOTO/Banaras KHAN (Photo credit should read BANARAS KHAN/AFP/Getty Images)
US dollar notes are pictured at a currency exchange shop in Quetta on February 11, 2013. The Pakistani rupee on Monday sank to an all-time low against the US dollar over forex reserve fears as the country repayed $146 million to the International Monetary Fund. AFP PHOTO/Banaras KHAN (Photo credit should read BANARAS KHAN/AFP/Getty Images)

Circa 2,5 milioni di documenti segreti relativi a oltre 120.000 società off-shore e fondi fiduciari privati in diversi paradisi fiscali del mondo sono finiti nelle mani di un gruppo di 86 giornalisti provenienti da 46 paesi diversi, coordinati dall’International Consortium of Investigative Journalist (ICIJ). L’inchiesta, che è probabilmente la più grande mai effettuata dai media internazionali su banche e società off-shore, riguarda le ricchezze segrete, e spesso accumulate illegalmente, di tantissimi politici e uomini d’affari conosciuti in tutto il mondo. I giornali internazionali l’hanno già chiamata “Offshoreleaks”.

Si definisce società off-shore una società registrata in uno stato estero che sviluppa il suo business al di fuori di quella giurisdizione. I vantaggi sono legati a una minore imposizione fiscale, a una maggiore protezione del patrimonio personale e, il più delle volte, a una grande semplificazione burocratica. Si utilizza molto questo termine per quelle società che offrono condizioni fiscali favorevolissime nei cosiddetti “paradisi fiscali”, ovvero quegli ordinamenti che prevedono scarsi controlli e pochi adempimenti contabili (qui la mappa disegnata da Le Monde sui paesi indagati).

Secondo quando riportano oggi i siti del ICIJ e del Guardian, l’inchiesta riguarda professionisti americani, famiglie e collaboratori di diversi dittatori, truffatori di Wall Street, miliardari dell’est Europa e dell’Indonesia, dirigenti di grandi aziende russe, commercianti internazionali di armi e anche una società che secondo l’Unione Europea sarebbe coinvolta nello sviluppo del programma nucleare iraniano. Si tratta di transazioni legali e illegali, che coinvolgono individui singoli e intere aziende, e che sono state alimentate dalla crisi finanziaria degli ultimi anni. Le transazioni analizzate sono collegate a più di 130.000 persone di 140 paesi diversi. Gli intermediari coinvolti sono circa 12.000, che avrebbero agito principalmente per collocare le ricchezze dei loro clienti al riparo dalle leggi fiscali dei loro paesi di appartenenza.

L’inchiesta
È partita dopo che un piccolo pacco anonimo era stato recapitato per posta a un indirizzo australiano (il cui intestatario non è stato reso pubblico). Dentro il pacchetto c’era un hard disk, che è finito all’ICIJ: sul disco c’erano milioni di dati – contratti, fax, copie di passaporti, e-mail, corrispondenza bancaria eccetera – tutti provenienti da due società specializzate in domiciliazioni off-shore: Commonwealth Trust Limited, delle Isole Vergini britanniche, e Portcullis Trustnet, con base a Singapore, operativa alle Isole Cayman, Isole Cook e Samoa, tutte giurisdizioni off-shore fra le meno trasparenti al mondo.

Per dare un’idea dell’enorme mole di dati e documenti recuperati, l’ICIJ ha usato come riferimento la quantità di documenti diffusi da Wikileaks nel 2010: in termini di gigabytes, si tratta di una quantità di dati 160 volte più grande di quella che l’organizzazione di Julian Assange aveva reso pubblica 3 anni fa. L’inchiesta è stata portata avanti per 15 mesi da giornalisti di molte testate di tutto il mondo: i britannici Guardian e BBC, il francese Le Monde, i tedeschi Süddeutsche Zeitung e Norddeutscher Rundfunk, l’americano Washington Post, la Canadian Broadcasting Corporation (CBC) e altri 31 giornali in giro per il mondo. Arthur Cockfield, professore di diritto ed esperto fiscale alla Queen University del Canada, ha esaminato alcuni dei documenti dell’inchiesta, e durante un’intervista alla CBC ha detto: «Non ho mai visto nulla di simile. Questo mondo segreto è stato finalmente rivelato».

I casi più importanti e strani dell’inchiesta
Tra questi ci sono conti e transazioni segrete o illegali che coinvolgono uomini politici, importanti uomini d’affari e grandi aziende operanti in diversi settori, come quello dell’edilizia. Alcune delle persone citate sono già state condannate in passato per svariati reati, tra cui frode e corruzione. Questi sono alcuni dei casi più notevoli:

– Individui e società legate al cosiddetto “affare Magnitsky”, un caso che aveva incrinato le relazioni tra Russia e Stati Uniti e che aveva portato il presidente americano Barack Obama a sostenere l’approvazione del Magnitsky Act, che aveva limitato l’ingresso negli Stati Uniti dei cittadini russi accusati di violazione dei diritti umani.

– Un uomo d’affari venezuelano accusato di utilizzare conti off-shore per arricchirsi grazie a uno “schema di Ponzi”, ovvero un sistema di truffa – ad oggi in realtà diversi sistemi con molte varianti – messo a punto dal famigerato Charles Ponzi, lo stesso utilizzato dall’ex presidente del NASDAQ Bernard Madoff per la sua mega truffa scoperta nel 2008.

– Un importante uomo d’affari dell’Azerbaigian che ha vinto grossi contratti nel campo dell’edilizia e delle costruzioni per miliardi di dollari grazie ai suoi personali legami con il presidente Ilham Aliyev e con sua figlia.

– Miliardari indonesiani con forti legami con l’ultimo dittatore del paese, Suharto, che ha guidato l’Indonesia dal 1967 al 1998.

– La figlia maggiore dell’ex dittatore filippino Ferdinand Marcos, Maria Imelda Marcos Manotoc, identificata come una delle beneficiarie di un conto alle Isole Vergini. Dopo la rivelazione, i funzionari filippini hanno detto di volere approfondire le indagini per scoprire se le attività di Maria Imelda sono legate a quelle del padre, accusato in patria di avere accumulato illegalmente 5 miliardi di dollari.

– Nalinee Taveesin, attuale rappresentante del commercio internazionale per il governo tailandese ed ex ministro del governo guidato da Yingluck Shinawatra, aveva usato i servizi di Trustnet per creare nel 2008 una società segreta nelle Isole Vergini britanniche. Tre mesi dopo il Dipartimento di stato americano aveva congelato i beni di Taveesin che si trovavano negli Stati Uniti con l’accusa di “sostenere segretamente le pratiche cleptocratiche di uno dei regimi più corrotti dell’Africa”, quello di Robert Mugabe in Zimbabwe.

Tra i documenti analizzati dal ICIJ ci sono anche 30 clienti americani già coinvolti in procedimenti penali per frode, tra cui Paolo Bilzerian, un ex “corporate raider” di Wall Street condannato per frode fiscale nel 1989, e Raj Rajaratnam, un manager miliardario di hedge fund che è andato in prigione nel 2011 per uno dei più grandi scandali di insider trading (utilizzo di informazioni riservate per arricchirsi illegalmente) della storia degli Stati Uniti.
Alcuni nomi italiani che compaiono nei dati raccolti sono elencati in un articolo dell’Espresso.

I meccanismi del mondo off-shore
L’importanza dell’inchiesta non dipende solo dai nomi coinvolti: grazie all’enorme quantità di documenti analizzati, i giornalisti dell’ICIJ stanno facendo luce anche sui meccanismi che regolano le attività quotidiane di queste società off-shore, e di come può essere garantita l’assoluta riservatezza sui loro clienti.

Alcuni documenti, ad esempio, mostrano i legami esistenti tra due grandi banche svizzere, UBS e Clariden, con Trustnet (una delle due società al centro dell’inchiesta). Clariden, che è di proprietà di Credit Suisse, avrebbe garantito altissimi livelli di riservatezza per alcuni suoi clienti, tali da rendere praticamente impossibile l’identificazione dei proprietari di questi conti o società off-shore. Lo avrebbe fatto grazie all’aiuto di Trustnet e alle sue attività di one-stop shop (più o meno “negozio dove trovi di tutto”): grazie ad avvocati, commercialisti a altri esperti, Trusnet è in grado di mettere a punto diverse forme di “pacchetti” segreti di servizi finanziari ai loro clienti, che possono essere semplici e poco costosi, oppure più sofisticati e anche meno decifrabili, a causa dell’intreccio di diversi fondi, società, fondazioni e prodotti assicurativi che li caratterizzano.

Quando i gruppi come Trustnet creano società off-shore per i loro clienti, spesso nominano come amministratori o azionisti persone che non sono i reali proprietari della società ma semplici prestanome. Si crea quindi un sistema di deleghe che impedisce alle autorità di individuare i responsabili di operazioni di riciclaggio di denaro o di altri reati finanziari. Secondo i documenti dell’inchiesta, un gruppo di 28 nomi è servito a fare da legale rappresentante, nel passato recente, per oltre 21mila società.

I tentativi per limitare l’off-shore
Le attività finanziarie che passano per i fondi off-shore hanno dimensioni enormi. James Henry, ex capo economista di McKinsey & Company, ha detto che dalle sue ricerche è emerso che le attività gestite dalle 50 banche private più grandi di tutto il mondo – che spesso utilizzano i paradisi fiscali per fornire servizi ai clienti più importanti – sono cresciute da circa 5,4 miliardi di dollari del 2005 a più di 12 miliardi nel 2010. Inoltre, ha aggiunto Henry, la segretezza dei conti off-shore ha un effetto corrosivo sul funzionamento dei governi e dei sistemi giuridici, perché facilita ai funzionari disonesti l’appropriazione di denaro pubblico, e la creazione di alleanze commerciali oltre i confini nazionali aggirando le regole imposte dalle regolamentazioni finanziarie dei singoli stati.

Negli ultimi due decenni ci sono stati molti gli sforzi, a livello internazionale, per limitare gli illeciti finanziari legati ad attività nel mondo off-shore. Negli anni Novanta l’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica iniziò a fare pressione sulle società off-shore per ridurre la segretezza e rendere più difficoltose le attività di riciclaggio di denaro. Nel 2009 le autorità americane costrinsero la banca svizzera UBS a pagare 780 milioni di dollari per avere aiutato alcuni cittadini americani ad evadere le tasse. Anche il primo ministro britannico, David Cameron, si è impegnato pubblicamente a lavorare all’interno del G8 per frenare le attività illecite nel mondo finanziario off-shore. Nonostante questi sforzi, però, questo rimane ancora oggi una “zona di impunità” per chi è intenzionato a commettere crimini finanziari.

Foto: (BANARAS KHAN/AFP/Getty Images)