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  • Giovedì 28 marzo 2013

Depenalizzare le droghe funziona

In Portogallo è così dal 2001 e non solo per le droghe leggere: il consumo è diminuito, l’epidemia di AIDS è stata fermata, sono diminuiti anche i reati

Mercoledì 27 marzo la giornalista tedesca Wiebke Hollersen ha fatto sullo Spiegel un bilancio della situazione in Portogallo a 12 anni dall’approvazione della legge 30/2000 nel luglio del 2001, che ha depenalizzato il consumo e il possesso di droghe illegali: uno dei più importanti esperimenti legislativi al mondo in materia, che ha reso il Portogallo il paese più liberale in Europa sul fronte delle droghe. Da molti anni il dibattito sulla strategia più adatta a combattere il consumo di droga ha visto da una parte i promotori della “war on drugs” (espressione utilizzata per la prima volta nel 1971 dall’allora presidente degli Stati Uniti Richard Nixon), incentrata principalmente sulla repressione, dall’altra coloro che ritengono inutile e controproducente la pratica di persecuzione dei consumatori: anche l’ONU e la Global Commission on Drug Policy hanno fatto notare che la “guerra alla droga” ha fallito e che è necessario trovare un nuovo modello di contrasto al traffico e al consumo di stupefacenti.

L’articolo di Hollersen, così come molti altri studi sul caso, sono concordi nel riconoscere che l’esperimento portoghese ha prodotto risultati molto incoraggianti: l’uso delle droghe è diminuito tra i giovani, l’epidemia di AIDS tra i consumatori è stata fermata, c’è stata una diminuzione della delinquenza legata al traffico di droga e sono aumentati i sequestri di sostanze. Come racconta Joao Goulão, promotore della legge e direttore dell’Istituto per le droghe e le dipendenze (il SICAD, Serviço de Intervenção nos Comportamentos Aditivos e nas Dependências), prima del 2001 il Portogallo aveva in Unione Europea il più alto tasso di HIV tra i consumatori di eroina, con 2 mila nuovi casi all’anno, in un paese con una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. Tutto era iniziato negli anni Ottanta, quando l’eroina a buon mercato proveniente da Afghanistan e Pakistan aveva iniziato a inondare l’Europa. In Portogallo la diffusione fu vastissima: a metà degli anni Novanta il numero di tossicodipendenti gravi era arrivato a 100 mila, l’1 per cento della popolazione totale, e il dato di coloro che avevano contratto epatiti o HIV era notevolmente superiore a quello di molti altri paesi.

Il governo portoghese comprese allora che bisognava arginare il problema e convocò una commissione anti-droga composta da 11 esperti, per la maggior parte non politici, tra cui Joao Goulão, che prima di diventare ciò che è oggi, ovvero uno dei maggiori esperti al mondo in materia di droga, era un semplice medico di famiglia a Faro. La commissione si orientò essenzialmente attorno al presupposto che “i consumatori di droghe non sono criminali ma malati”, e che la materia avrebbe dovuto essere competenza del ministero della Salute e non più di quello della Giustizia. L’approccio che ha costituito la base principale dell’esperimento in Portogallo è stato dunque questo: i consumatori di droga non sono dei criminali e non devono essere trattati come criminali, quindi arrestati o processati (prima della depenalizzazione in Portogallo la pena per possesso di droga poteva arrivare fino a un anno di prigione).

Venne così approvata la legge 30/2000, che ha depenalizzato l’uso di tutte le droghe illecite e ha fissato, attraverso una tabella, il loro possesso fino a quantità pari ai bisogni di dieci giorni di consumo: 25 grammi di marijuana, 5 grammi di hashish, un grammo di eroina, 2 grammi di cocaina e un grammo di MDMA, il principio attivo dell’ecstasy. Le sostanze elencate nella tabella restano ancora illegali – “ci sarebbero stati problemi con le Nazioni Unite”, racconta Goulão – ma le persone trovate in possesso di sostanze stupefacenti non sono più arrestate, bensì inviate davanti a una commissione formata da un giurista, uno psicologo e un medico (ce ne sono 17 in tutto il Portogallo), chiamata “Commissione di avvertimento sulle tossicodipendenze”, che valuta il percorso dell’utilizzatore, il suo livello di consumo della sostanza e propone un sostegno psicologico o l’opportunità di accettare un trattamento di recupero finanziato dallo Stato. Il consumatore non ha l’obbligo di seguire queste indicazioni ma deve evitare di essere inviato nuovamente di fronte alla commissione nell’arco di sei mesi. In caso contrario viene punito penalmente con una multa, variabile da 5000 pesetas (25 euro) fino al livello del salario minimo nazionale.

Il Portogallo tratta quindi la questione come un problema medico, piuttosto che un problema penale: come spiega Goulão, “l’assistenza terapeutica è molto più efficace della prigione nel convincere un tossicodipendente a non fare più uso di droghe”. La polizia portoghese invia circa 1.500 persone all’anno alle varie commissioni, in media meno di 5 al giorno, e il 70 per cento dei casi riguarda casi di consumo di marijuana. Il Portogallo ha oggi uno dei dati più bassi dell’Unione Europea come consumo di marijuana tra persone con più di 15 anni (il 10 per cento). Il consumo una tantum di eroina tra i 16-18 anni è sceso dal 2,5 per cento al 1,8 per cento, così come il tasso di infezione da HIV.

Al momento la più grande preoccupazione per Goulão è rappresentata dalle politiche di austerità del governo portoghese in seguito alla crisi dell’euro: la depenalizzazione è infatti inutile se non è accompagnata da programmi di prevenzione dall’uso della droga e dal lavoro di recupero delle cliniche e quello effettuato dagli operatori sociali direttamente per le strade. Programmi che costano. Prima della crisi dell’euro il Portogallo ha speso 75 milioni di euro all’anno per il suo programma antidroga: finora è stato tagliato soltanto un milione dal budget, ma se la crisi nel paese dovesse peggiorare potrebbero non esserci più soldi a sufficienza.

In Italia la legge in vigore in materia di disciplina degli stupefacenti è la cosiddetta “Fini-Giovanardi”, che generò molte discussioni quando venne emanata nel 2006. La legge, che non prevede distinzioni tra droghe leggere e pesanti, portò a un inasprimento delle sanzioni relative non solo alla produzione e al traffico ma anche al consumo di sostanze stupefacenti: per l’uso personale oggi sono previste sanzioni amministrative come la sospensione del passaporto, della patente di guida o del porto d’armi, e l’inserimento in un programma terapeutico. La legge Fini-Giovanardi, tra le altre cose, ha contributo in maniera decisiva al sovraffollamento delle carceri italiane degli ultimi anni: secondo il garante dei detenuti del comune di Firenze, Franco Corleone, “nel 2011 ben 28mila persone sono finite dietro le sbarre per detenzione di stupefacenti”. A febbraio la Corte di Appello di Roma ha sollevato alcune importanti questioni sulla legge Fini-Giovanardi, che secondo i giudici presenta più di un profilo di incostituzionalità: tra gli altri, la mancata distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti e la sproporzione delle pene rispetto alla pericolosità delle condotte da reprimere.