Come nacque la legge elettorale

Dopo un arresto plateale a Firenze, nel 2001, e un accordo tra i partiti toscani: Calderoli imparò da loro

di Davide Guadagni

La deprecata legge elettorale attualmente vigente per le elezioni politiche italiane – nota come “Porcellum” – è nata in Toscana: e la sua genesi è attribuibile ai Democratici di Sinistra (che a loro volta si sarebbero evoluti in Partito Democratico). Fu per il voto amministrativo del 2005 che la Regione Toscana decise di cambiare la propria legge elettorale creando il modello che poi ispirò il leghista Calderoli, autore della legge nazionale.

“Tutta la colpa è delle preferenze”, commentò qualcuno ai piani alti della Regione quando arrivò la notizia che il vicepresidente del Consiglio regionale Carlo Melani aveva ricevuto un avviso di garanzia per tangenti. Flagranza di reato in un albergo, oltretutto. Era il febbraio del 2001 e dopo 15 giorni il seguito crudele e spettacolare fu il suo arresto durante una conferenza stampa, che aveva convocato per discolparsi, e di fronte alle telecamere. Tutti erano certi che la tangente contestata gli fosse servita per finanziarsi la campagna elettorale. Dopo sei anni di indagini sarebbe stato assolto “perché il fatto non sussiste”. Ma intanto si era pensato che se anche un insospettabile come lui era arrivato a quel punto per pagare una campagna elettorale molto competitiva, bisognava eliminare la causa, e cambiare la legge elettorale in vigore.

Le Regioni hanno la prerogativa di decidere come eleggere i propri rappresentanti e i dirigenti DS – forti di una solida maggioranza – decisero che quello era il momento di cambiarlo. Niente più preferenze, tutti i candidati sarebbero stati nominati dalle segreterie, e non se ne parli più. Ma una legge elettorale è un atto fondamentale della democrazia e deciderla a maggioranza non è opportuno. Bisognava pensare a qualcosa che fosse convincente anche per la minoranza e allargasse al massimo il consenso sulla proposta che i DS avrebbero portato in consiglio. Agostino Fragai, segretario regionale dei DS e presidente della speciale commissione, incontrò in gran segreto in una stanza di via Cavour il capo toscano di Forza Italia Denis Verdini e Maurizio Bianconi di Alleanza Nazionale. Uscirono con la soluzione più facile: un piano che prevedeva di allargare l’assemblea regionale da 50 a 65 membri e di rendere incompatibile la carica di assessore con quella di consigliere creando ulteriori 14 posti. In pratica si passò da 50 a 79 cariche (più 60%), moltiplicando di conseguenza i costi del Consiglio e della Giunta degli annessi e dei connessi. I timori dell’antipolitica erano di là da venire.

Alla guida dei DS toscani a Fragai successe Marco Filippeschi, che curò gli accomodamenti con gli altri partiti sugli sviluppi del progetto. Dopo alcuni mesi fu pronta una legge proporzionale senza precedenti: liste bloccate, premio di maggioranza, minima soglia di sbarramento (per non scontentare i piccoli), piccole quote rosa (ogni tre eletti una doveva essere donna) e – ma solo volendo – primarie pagate dalla Regione. Queste ultime erano l’unica garanzia per gli elettori, ma non solo non furono rese obbligatorie, ma neppure vincolanti (cioè, se si riteneva, si poteva ignorarne il risultato pagando una penale di mille euro). A parte alcuni particolari poco influenti, la legge regionale toscana varata nel 2004 ispirò poi in tutto e per tutto quella calderoliana. Fu poi creato un “percorso democratico”, raccogliendo il parere favorevole dei consigli comunali della regione più rossa che ci sia, dopodiché la legge tornò in Regione per essere approvata. L’unico che votò contro in consiglio regionale (la Margherita abbandonò l’aula) fu Luciano Ghelli dei Comunisti Italiani. La legge fu utilizzata per la prima volta alle elezioni del 2005.

Nel frattempo i nomi dei partiti sono cambiati, non le persone né quella legge, però. Durante la scorsa legislatura sono stati operati piccoli contraddittori aggiustamenti (i consiglieri sono diventati 55, lo sbarramento è stato alzato per favorire i partiti maggiori), ma l’impianto è il medesimo. Nel 2010, il nuovo presidente della Regione Enrico Rossi (che era stato assessore alla sanità per un decennio) al suo insediamento ha dichiarato che quella legge non aveva ottenuto i risultati “sperati” e andava cambiata. Ma benché un dibattito critico fosse già iniziato anni prima, a oggi il progetto di cambiarla ha fatto molti incerti passi ma non è arrivato concretamente da nessuna parte: la Legge Regionale 25 del 13 Maggio 2004 ha tenuto ben nove anni, uno e mezzo più della sua imitazione nazionale.