Quanto costa fare il parlamentare

Parecchio, soprattutto in certi partiti: alcuni chiedono versamenti mensili, altri un sostanzioso contributo una tantum per la candidatura, fino a 50 mila euro

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

In Italia fare il Parlamentare è un mestiere ben pagato: secondo la commissione Giovannini, che ha concluso i suoi lavori poco più di un anno fa, in tutto un parlamentare percepisce mensilmente 16 mila euro lordi, circa 11 mila euro netti. Secondo alcuni è una retribuzione troppo alta, molti partiti nei loro programmi hanno detto di volerla abbassare, il Movimento 5 Stelle ha costruito buona parte della sua campagna elettorale sui privilegi dei parlamentari. C’è una parte della storia che si conosce meno, però: quella dei costi che devono affrontare i parlamentari. Non i costi di rappresentanza, quelli che servono per organizzare iniziative, farsi conoscere, eccetera: i costi da pagare per farsi candidare, da quando in Italia vige una legge elettorale con le liste bloccate.

Per essere candidati in Parlamento con i principali partiti, in Italia – da almeno due elezioni – bisogna pagare ai partiti un “contributo alla campagna elettorale”: cifre che vanno dai 50 mila ai 20 mila euro per il PD e il PdL. A questa spesa una tantum vanno aggiunte le donazioni obbligatorie che ogni mese i parlamentari di alcuni partiti devono versare. Per PD e Lega Nord sono cifre che possono arrivare a diverse migliaia di euro al mese. A conti fatti, fare il parlamentare può essere un mestiere pagato bene ma piuttosto costoso.

I contributi alla campagna elettorale
Il contributo richiesto ai parlamentari è piuttosto recente: è stato introdotto nei principali partiti a partire dalle elezioni politiche del 2008. La giustificazione di questo contributo obbligatorio è nel cosiddetto “Porcellum”, l’attuale legge elettorale approvata nelle ultime settimane del 2006 dal governo Berlusconi. Con questa legge le liste dei candidati sono “bloccate”, cioè i candidati non vengono eletti in base al numero di preferenze che ottengono, ma soltanto in base alla loro posizione nella lista e al numero di voti che prende il partito in quella circoscrizione. Di conseguenza i candidati non investono più nella campagna elettorale e quindi i partiti richiedono il versamento di un contributo per sostituire quell’impegno.

Il tesoriere nazionale del parito Democratico, Antonio Misiani, ci ha spiegato così la motivazione di questo contributo elettorale: «Lo hanno fatto anche altre forze politiche. Il tema è che con l’attuale legge elettorale, che noi non condividiamo, non ci sono preferenze, la campagna elettorale è stata fatta esclusivamente dal partito e non dai singoli candidati: noi abbiamo chiesto ai singoli candidati, che non dovevano sostenere sforzi economici per la loro campagna elettorale, di contribuire alla campagna elettorale del partito». Bisogna tenere conto però che i partiti politici ricevono già ogni anno circa 200 milioni di euro in “rimborsi elettorali”, a titolo di finanziamento dell’attività politica e anche delle campagne elettorali (tant’è che spesso i rimborsi vengono stabiliti sulla base dei voti presi da ciascun partito).

Come funziona nel PdL
Nel PdL la cifra richiesta ai candidati in posizione eleggibile è fissa: 25 mila euro, ma a differenza del PD – ci arriveremo: lì le cose sono complicate – deve essere versata immediatamente all’atto della candidatura. Vale il principio che a pagare sono soltanto i candidati ritenuti in posizione eleggibile. La possibilità di richiedere un contributo agli eletti è presente nello statuto del PdL all’articolo 36 – dove è scritto che: «L’ammontare delle quote associative, delle quote di affiliazione e dei contributi dovuti dagli eletti nelle Assemblee rappresentative è stabilito dall’Ufficio di Presidenza sentito il Segretario amministrativo nazionale». Ai parlamentari del PdL però, non viene chiesto di contribuire con il loro stipendio mensile alle casse del partito.

Come funziona nella Lega Nord
Nella Lega Nord tutti gli eletti sono già tenuti a versare poco più del 40 per cento del loro stipendio al partito: a quello nazionale se sono stati eletti al Parlamento o in altri enti “nazionali”, a quello regionale se sono stati eletti alle assemblee regionali, e così via. I parlamentari versano tra i 2.000 e i 2.400 euro. Non si paga invece il contributo una tantum per la campagna elettorale.

Come funziona in Scelta Civica
Nel caso di Scelta Civica, la lista del presidente del Consiglio uscente Mario Monti, la contribuzione alla campagna elettorale ha funzionato diversamente: non c’è stato un mandato dall’alto ma i candidati si sono accordati tra di loro per decidere come contribuire. Stefano Quintarelli, eletto alla Camera nella circoscrizione del Veneto, ci ha spiegato che gli eletti hanno deciso autonomamente quanto pagare, secondo la propria disponibilità: «Non abbiamo avuto alcuna indicazione di comportamento dell’alto. Ci siamo riuniti tra i candidati e abbiamo deciso una linea comune in modo autonomo». Andrea Romano, eletto in Lazio alla Camera, ha spiegato che la questione dei contributi dovrebbe comunque essere ridiscussa in questi giorni.

Nella prossima pagina: come funziona nel Movimento 5 Stelle e nel Partito Democratico.

Come funziona nel Movimento 5 stelle
Il regolamento prevede che i parlamentari ricevano un’indennità non superiore a 5 mila euro lordi, mentre potranno ottenere tutti gli altri benefit previsti. A conti fatti, come ha scritto Pippo Civati nel suo blog, i parlamentari del movimento rinunceranno all’incirca a 2.500 euro al mese – una cifra simile a quella dei parlamentari della Lega Nord, inferiore a quella dei parlamentari del PD. Con la differenza non da poco che i parlamentari di PD e Lega versano la quota al partito, mentre il M5S la restituisce allo Stato.

Come funziona nel Partito Democratico
Nel PD le cose funzionano in maniera più complessa e, a conti fatti, dal punto di vista economico è il partito nel quale è meno conveniente farsi eleggere. Come nella Lega Nord gli eletti sono tenuti a versare una parte del loro stipendio al partito, un’usanza che risale ai tempi del PCI. In più, come nel PdL, gli eletti in parlamento sono tenuti a versare un contributo alla campagna elettorale. In particolare, all’articolo 36 dello statuto, c’è scritto che il regolamento finanziario votato dalla direzione nazionale stabilisce «il sostegno finanziario degli eletti alle attività politiche del Partito Democratico».

L’ordine del giorno votato dalla direzione nazionale ha stabilito che i contributi restano alle direzioni regionali del partito che stabiliscono anche la quantità e i modi del contributo. Le regole, in generale, sono uguali ovunque: all’iscrizione nelle liste il candidato firma un impegno – un semplice documento – con il quale si impegna a versare, se eletto, la cifra richiesta entro la fine della legislatura.

La regione dove il contributo richiesto era maggiore è stata il Piemonte, dove ai consiglieri regionali candidati alle politiche è stato chiesto un contributo di 40 mila euro, ai parlamentari uscenti sono stati chiesti 50 mila euro, 30 mila euro invece per chi si candidava per la prima volta. In Emilia Romagna per essere candidati bisognava invece firmare un impegno scritto a versare al partito 35 mila euro entro la fine della legislatura. Massimo Gnudi, tesoriere del PD in Emilia Romagna, ha spiegato che si tratta di una soluzione aperta: è possibile versare i soldi subito, rateizzare il pagamento o versare al partito direttamente una parte più consistente della propria indennità da parlamentare. In Puglia invece la candidatura è più economica: 30 mila euro. In Lazio scende a 25 mila euro.

In genere l’impegno viene fatto sottoscrivere a tutti i candidati ed è possibile che a quelli in posizione molto “sicure” venga chiesto di anticipare tutta o parte della somma. In alcuni casi vengono eletti al Parlamento anche candidati considerati in posizioni non eleggibili e che quindi non avevano versato il contributo. Nella circoscrizione Veneto – dove bisognava versare come contributo 20 mila euro – erano considerati eleggibili i primi 10 candidati alla Camera, ma ne sono stati eletti 13.

Alessia Rotta, di Verona, è uno di questi tre e ci ha raccontato che ora verserà, come gli altri dieci, i 25 mila euro di contributi alla campagna elettorale, anche se in precedenza non le era stato chiesto di firmare alcun impegno. Pippo Civati, eletto in Lombardia dove la cifra richiesta agli eleggibili era 30 mila euro, ha spiegato che«a quelli che erano sicuramente eleggibili li hanno chiesti subito. Ora tutti gli eletti sono tenuti ex post a versare il contributo».

Sempre su base regionale, gli eletti del PD sono tenuti a fare anche un altro versamento al partito completamente slegato da questo contributo alla campagna elettorale. Si tratta di una percentuale decisa su base regionale. «A me risulta», ha detto Civati, «che i parlamentari eletti a Monza prima di me versano intorno ai 3 mila euro abbondanti al mese». In altri casi questo versamento può arrivare anche a 4 mila euro al mese.

In conclusione: prendendo un costo del contributo alla campagna elettorale medio di 30 mila euro e dividendolo per i 60 mesi della legislatura si ottiene una spesa mensile per il parlamentare del PD di 500 euro. Se a questa aggiungiamo l’altro contributo sullo stipendio, viene fuori che fare i parlamentari per il PD può arrivare a costare tra i 3.500 e i 4.500 euro al mese, cioè una cifra pari a quasi la metà degli 11 mila euro, tra indennità e altri bonus, che percepiscono i parlamentari. Quasi l’intera indennità.