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  • Venerdì 1 febbraio 2013

Una vita da Ed Koch

Le foto di un pezzo di storia americana con protagonista l'ex sindaco di New York morto oggi a 88 anni

Ed Koch saluta la folla ala parata di San Patrizio del 1992 a New York (AP Photo/Mark Phillips)
Ed Koch saluta la folla ala parata di San Patrizio del 1992 a New York (AP Photo/Mark Phillips)

È morto oggi per una crisi respiratoria Ed Koch, 88 anni, che fu sindaco di New York per tre mandati consecutivi, dal 1978 al 1989, dopo essere stato deputato dal 1969 al 1977: sindaco memorabile per la città e gran personaggio, carismatico, molto comunicativo e spesso al centro di polemiche per via della sua esuberanza verbale. A un certo punto negli anni Novanta fu anche giudice in un programma televisivo, ma prima aveva fatto un sacco di cose: tra cui combattere in Francia durante la Seconda guerra mondiale, laurearsi in Giurisprudenza all’università pubblica di New York, fare politica con i Democratici su posizioni molto di sinistra, a favore dei diritti civili ai neri e contro la guerra in Vietnam, per assumere poi posizioni più moderate nel corso degli anni (era sempre stato un sostenitore della pena di morte, per esempio).

Ebreo e molto fiero di esserlo, Koch diventò sindaco di New York nel 1977, grazie a delle posizioni molto “legge e ordine”: e d’altra parte quelli per New York erano anni complicati sul fronte dell’ordine pubblico. Divenne rapidamente molto popolare, tanto che nel 1981 ottenne la rielezione col sostegno sia dei democratici che dei repubblicani, e un anno dopo tentò di candidarsi a governatore: perse le elezioni benché avesse delle ottime possibilità, secondo molti per via di quel che disse in una controversa intervista data a Playboy durante la campagna elettorale, nella quale affermava che nelle zone attorno a New York lo stile di vita era “arido” e si lamentava del fatto che in caso di vittoria avrebbe avuto il suo ufficio nella piccola Albany. Fu invece rieletto sindaco per la terza volta nel 1986, dopo aver fatto parlare di sé per aver firmato una legge che garantiva i primi diritti alle coppie omosessuali; ma pochi anni dopo ebbe un infarto e la sua amministrazione fu colpita da scandali di corruzione, cosa che gli fece perdere le primarie di partito per ottenere un quarto mandato.

Questo mise fine alla sua carriera politica ma non alla sua attività di personaggio pubblico: negli anni Koch scrisse una biografia da cui è stato tratto un musical di Broadway, fece l’avvocato, il docente universitario, il commentatore politico, scrisse un libro per ragazzi, tenne una rubrica di critica cinematografica e recensioni di ristoranti, sempre rimanendo un protagonista rilevante del panorama cittadino. Nel corso della sua vita Koch è apparso nella parte di se stesso in circa sessanta tra film e serie tv. L’evoluzione delle sue posizioni politiche fa già di per sé un ritratto del personaggio: ha sostenuto il repubblicano Giuliani e l’indipendente Bloomberg quando si sono candidati a sindaco di New York, e George W. Bush quando si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti. È sempre stato favorevole alla guerra in Iraq, però ha appoggiato anche Al Gore alle primarie democratiche del 1988, Hillary Clinton alle primarie democratiche del 2008 e Barack Obama alle successive presidenziali.

Negli anni, Ed Koch ha fatto discutere anche per via del fatto che non si è mai sposato ed è spesso girata la voce – mai confermata – che fosse omosessuale. Durante le primarie democratiche di New York del 1977 circolarono dei manifesti per il suo avversario il cui slogan era “Vote for Cuomo, not the homo”. Qualche anno fa Koch tornò sulla questione dicendo che la sua risposta a questa faccenda era semplicemente «fottetevi». Nel 2008 Koch ha comprato uno spazio nell’unico cimitero di Manhattan che ancora accetta nuove sepolture, dicendo di non voler lasciare Manhattan «nemmeno da morto: questa è casa mia. L’idea di andare a finire in New Jersey è troppo deprimente». Sulla sua tomba ha voluto che sia incisa una stella di David, un brano di una preghiera ebraica e le ultime parole di Daniel Pearl, giornalista del Wall Street Journal rapito e decapitato in Pakistan nel 2002 da un gruppo di estremisti islamici: «Mio padre è ebreo. Mia madre è ebrea. Io sono ebreo».