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  • Martedì 29 gennaio 2013

L’intesa dell’Italia con induisti e buddisti

Che permetterà loro di ricevere i contributi dell'Otto per mille, tra le altre cose

Venerdì primo febbraio entreranno in vigore le leggi che regolano i rapporti tra Stato italiano e l’Unione induista italiana e l’Unione buddista italiana (Ubi), sulla base delle intese approvate l’11 dicembre dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera. Sono due intese molto importanti e di grande rilievo simbolico che lo Stato italiano approva per la prima volta con delle confessioni non cristiane, ad eccezione degli accordi con le Comunità ebraiche nel 1989. Nonostante infatti la Costituzione italiana all’articolo 8 sancisca l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose di fronte alla legge, si sono dovuti aspettare oltre 40 anni per dare attuazione alla norma, che prevede al comma 3 che i rapporti delle confessioni diverse da quella cattolica con lo Stato siano regolate da apposite intese.

Il disegno di legge sulle due intese – che prevede che induisti e buddisti possano ricevere i contributi dell’Otto per mille annessi alle dichiarazioni dei redditi – era già stato approvato all’unanimità dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato il 12 settembre scorso e attendeva l’approvazione anche della Camera per diventare legge. Stefano Ceccanti, senatore Pd che ha lavorato molto per la conclusione degli accordi, sostiene che si è potuta raggiungere un’intesa perché la discussione è avvenuta fuori dall’aula, in una sede in cui è stato possibile approfondire il tema. Mentre i buddisti hanno dovuto aspettare più di un decennio (la prima intesa con lo Stato italiano risale al 2000), la richiesta da parte degli induisti era stata inoltrata cinque anni fa.

La legge arriva al termine di un processo durato in realtà per tutta l’ultima legislatura. Nel 2009 e nel 2010 erano state approvate delle modifiche alle intese con l’Unione cristiana evangelica battista d’Italia, con l’Unione delle chiese metodiste e valdesi, e con l’Unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno (Uicca). Inoltre, nelle scorse settimane si erano conclusi gli accordi con apostolici, ortodossi e mormoni. L’entrata in vigore della legge ha grande importanza anche se si considerano i numeri delle due comunità coinvolte. In Italia ci sono circa 230mila buddisti – tra praticanti buddisti italiani, adepti della Soka Gakkai (movimento religioso giapponese, che però non fa parte dell’Ubi) e immigrati dai paesi asiatici – e 10mila induisti. Il beneficio più importante per le due confessioni dall’entrata in vigore della legge sarà quello di poter ricevere i contributi dell’Otto per mille, come succede per gli altri gruppi religiosi che hanno già concluso gli accordi. Gli induisti e  buddisti potranno poi usufruire di assistenza spirituale, di un riconoscimento degli effetti civili del matrimonio religioso, di una tutela migliore degli edifici di culto, e potranno avvalersi di erogazioni liberali deducibli dall’Irpef.

Sul tema delle intese con le altre confessioni rimangono ancora alcune questioni aperte. La prima riguarda le difficoltà ad approvare una legge riguardante i rapporti tra Stato italiano e testimoni di Geova (un’intesa è stata trovata una prima volta nel 2000, ma non tradotta in legge): superate le perplessità di alcuni senatori, che riferivano le preoccupazioni soprattutto di ex-aderenti alla confessione, la questione si è nuovamente bloccata alla Camera e ci sarà da attendere la prossima legislatura per un’eventuale conclusione dell’accordo. Molte più difficoltà stanno incontrando invece i musulmani, che pagano la mancanza di un unico interlocutore che possa rappresentare l’intera comunità di fronte allo Stato italiano. Il senatore Pdl Lucio Malan, relatore dei disegni di legge sulle intese, sostiene che per i musulmani probabilmente si dovrà attendere l’approvazione di una nuova legge sulla libertà religiosa. Sullo sfondo rimane infatti il problema di modificare la legge sui “culti ammessi” adottata nel ’29 durante il periodo fascista.

Foto: un monaco buddista a Napoli durante una manifestazione per il Tibet (Lapresse)