• Italia
  • Domenica 20 gennaio 2013

La generazione trasparente

Beppe Severgnini parla della rimozione dei giovani come soggetti dell'interesse politico, e spiega perché la loro partecipazione al voto non conviene ai partiti

Sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini scrive di come i giovani e le loro necessità siano assenti nella discussione di questa campagna elettorale. Si discute animatamente di pensioni e di imposte, scrive Severgnini: temi importanti, ma per chi lavora o per chi ha avuto un lavoro. Ci sono poche proposte, invece, per quel 37% di giovani disoccupati e per i nuovi laureati che vanno all’estero a cercare lavoro.

Nessuno potrà accusare il futuro governo di non aver mantenuto le promesse verso i giovani italiani: perché queste promesse nemmeno sono state fatte. I nuovi elettori, almeno fino a oggi, sono i grandi esclusi della campagna elettorale. Come se la politica fosse una discoteca, e gli energumeni sulla porta non volessero lasciarli entrare. Troppo educati, ragazzi, questo posto non fa per voi.

Le cinque alleanze in competizione sembrano ispirate a Gangnam Style: si agitano, gesticolano, si divincolano, spingono cercando la luce del riflettore. I giovani connazionali guardano, attraverso i vetri del televisore, e commentano amari sui social network. Molti sono tentati di non votare, e farebbero male: è quello che i buttafuori della politica aspettano, in modo da controllare il gioco con facilità.

Le tradizionali reti sociali – quelle che hanno mantenuto finora la pace precaria nelle strade – si stanno progressivamente strappando. Le famiglie hanno esaurito la pazienza e stanno finendo i soldi: lo dimostrano i negozi «compro oro», il mercato immobiliare e l’andamento dei consumi di beni durevoli. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) tra chi cerca un lavoro è al 37%, mai così alta dal 1992. E se questa è la media nazionale, immaginate cosa (non) accade nell’Italia del sud. La percentuale di laureati italiani che cercano fortuna all’estero, in dieci anni, è passata dall’11% al 28%. Non è più sana voglia di esplorare; è una diaspora, pagata con risorse pubbliche.

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