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  • Venerdì 4 gennaio 2013

La vita di Ariel Sharon

Entrò in coma sette anni fa dopo un ictus e dopo aver cambiato la politica israeliana, ed è ancora in ospedale

La sera del 4 gennaio 2006, nella sua fattoria di Havat Shikmim, nel nord del deserto del Negev, il primo ministro israeliano in carica Ariel Sharon ebbe un ictus. Venne trasportato con qualche difficoltà in un ospedale di Gerusalemme e subì una lunga serie di operazioni, senza più riprendere conoscenza. Dopo sette anni, Sharon si trova oggi ancora in stato vegetativo permanente. La ricorrenza non è più notata come in passato sui giornali israeliani, ma la sua controversa influenza sulla politica e sulla storia israeliana è ancora molto viva.

Per il giorno successivo, 5 gennaio, era da tempo in programma un intervento chirurgico per l’inserimento di un catetere nel cuore, conseguenza di un leggero infarto che Sharon aveva subito nel dicembre 2005. All’epoca, l’uomo che si stava preparando a candidarsi a primo ministro con Kadima – il partito che aveva fondato da meno di un mese – era da tempo oggetto di ironia per il suo amore per il cibo e la sua perdurante obesità, temi che venivano discussi sui mezzi di comunicazione al pari delle sue scelte politiche. Lui stesso ci scherzava su, e i suoi collaboratori dicevano che gli era stato consigliato di mettersi a dieta per la prima volta nel 1965: ad ogni modo, da allora non aveva mai sofferto di gravi problemi di salute.

L’ultima volta in cui si è parlato a lungo della sua condizione attuale è stata per la pubblicazione della biografia scritta dal secondo dei suoi due figli, Gilad, che si intitola “Sharon: la vita di un leader” ed è stata pubblicata alla fine del 2011. Nel libro, a cui ha lavorato per più di quattro anni, Gilad sostiene che suo padre è cosciente, che è in grado di vederlo e di sentirlo, e fa una descrizione di lui di questo tenore: “Giace a letto e sembra il signore della casa, dormendo tranquillamente. Grande, forte, sicuro di sé. Le sue guance sono di una sana sfumatura di rosso. Quando è sveglio, si guarda intorno con uno sguardo penetrante. Non ha perso un chilo; anzi, ne ha messo su qualcuno.”

È difficile commentare questa descrizione, fatta da chi gli è più vicino e, insieme al resto della famiglia Sharon, tiene estremamente riservate le notizie sul reale stato di salute di un uomo che non è più cosciente da sette anni, ha subito una tracheotomia e diversi altri interventi chirurgici molto invasivi, ed è stato formalmente sollevato dall’incarico di primo ministro per motivi di salute – in favore dell’allora suo vice, Ehud Olmert – nell’aprile del 2006.

Oggi Sharon ha 84 anni ed è ricoverato in un ospedale fuori Tel Aviv. Gilad stesso ammette che, poco dopo l’ictus, i medici della clinica universitaria Hadassah di Gerusalemme erano dell’opinione di interrompere le cure e lasciar morire l’uomo, perché gli indicatori medici erano senza speranza. Furono i suoi familiari ad insistere per mantenerlo in vita. L’opinione comune, in Israele, è che Sharon sia ancora vivo unicamente a causa di quella ostinazione.

Da parte sua il figlio minore di Ariel, Gilad Sharon, è un personaggio che ha fatto parlare di sé anche qualche giorno fa: nel corso dell’ultima crisi di Gaza, a novembre, scrisse sul Jerusalem Post un editoriale in cui diceva che Israele doveva “radere al suolo Gaza”. Anche se non ha incarichi politici, Gilad è un commentatore piuttosto conosciuto in Israele, che scrive per il quotidiano più diffuso del paese, Yedioth Ahronoth, ed è un maggiore dei riservisti dell’esercito. È un noto accusatore dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu, già avversario politico di suo padre nel partito di centrodestra Likud, anche se i due furono diverse volte insieme al governo.

Gilad deve molto del suo ruolo alla popolarità di suo padre, che è stata grande almeno quanto le polemiche che lo hanno circondato. È sicuramente uno dei leader politici israeliani più importanti, nel bene e nel male, degli ultimi decenni, mentre in Israele è ricordato anche per essere stato uno dei più grandi comandanti militari della breve storia del paese.

Ma partiamo dalla sua seconda vita, quella da uomo politico. Al momento dell’ictus, Ariel Sharon era primo ministro dal 2001 ed era in uno dei momenti migliori della sua carriera a causa di alcune mosse coraggiose e inaspettate. La sua carriera politica era iniziata molto prima, con parecchi incarichi di governo e in particolare uno da ministro della Difesa negli anni Ottanta (ci torneremo) ed era ampiamente considerato come un rappresentante della linea dei “falchi”, meno propensa a fare concessioni nella questione centrale della politica israeliana, quella dei rapporti con i palestinesi.

Dopo essersi costruito una solida reputazione come difensore dei coloni ed essere stato eletto nel partito di destra Likud, Sharon stupì molti in Israele mettendo in atto il ritiro dei soldati e l’abbandono degli insediamenti nella Striscia di Gaza, nell’estate del 2005. Tra agosto e settembre, i coloni che non avevano accettato il piano di Sharon nella ventina di insediamenti della Striscia (e in quattro insediamenti nel nord della Cisgiordania compresi nel piano) vennero sgomberati con la forza dall’esercito. Poco tempo dopo, Sharon annunciò l’abbandono del Likud, mentre le sue ultime mosse gli avevano attirato grandi critiche nell’area destra del suo partito e un inedito supporto nell’elettorato più di sinistra.

Nella matassa inestricabile del conflitto israeliano-palestinese, è difficile valutare la mossa del disimpegno unilaterale di Sharon, che fu combattuta duramente dalla destra più intransigente. I critici dicono che la mossa non era altro che un abbandono del territorio di Gaza, sovrappopolato e economicamente meno importante, per poter concentrare meglio gli sforzi sull’occupazione della Cisgiordania.

Ad ogni modo, nel novembre 2005 Sharon fondò Kadima, un partito centrista e liberale che riuscì ad attrarre anche molti parlamentari del Labor e che da allora è centrale nella politica israeliana, da sempre centrata molto più intorno alle singole personalità che a partiti storici e profonde tradizioni politiche. Le idee di Kadima erano centriste, flessibili e moderate, in primo luogo perché si trattava di un partito costruito per conquistare e mantenere il potere. Nella cruciale questione israelo-palestinese, portava avanti il principio del “riallineamento”, ovvero del ritiro parziale da alcune zone della Cisgiordania occupata. Fin quando rimase al potere, ci fu tra le sue diverse anime e diverse provenienze poco dissenso interno.

Da qualche mese Kadima – rimasta al potere con Sharon e poi Olmert fino al 2009 – è in caduta libera nei sondaggi e si sta lentamente sfaldando a causa di una serie di abbandoni verso destra e verso sinistra. Per gli standard politici di Israele, le sue fortune sono sopravvissute anche più del previsto al suo fondatore.

Ma prima ancora della sua vita da politico, Sharon era stato un generale dell’esercito israeliano, lo Tsahal, come è chiamato normalmente in Israele. Iniziò a combattere molto giovane nell’Haganah, l’organizzazione paramilitare clandestina che difendeva le colonie israeliane nel mandato britannico della Palestina (dove Sharon era nato nel 1928, da ebrei di origine lituana). Dopo la nascita dello stato ebraico, combatté in tutte le sue guerre, a cominciare da quella arabo-israeliana del 1948-1949.

Nel corso degli anni Cinquanta partecipò a molte azioni militari punitive contro i palestinesi. In una di queste, nel 1953, decine di case nel villaggio di Qibya, in Cisgiordania, saltarono in aria, uccidendo 69 persone. L’azione era comandata da Sharon ed era una delle innumerevoli rappresaglie e controrappresaglie militari tra le forze di Israele e quelle dei paesi confinanti, come la Giordania.

Sharon fece carriera nell’esercito e si distinse anche per la particolare durezza che manifestava nei confronti dei palestinesi. Durante la guerra dei Sei giorni, nel giugno 1967, comandava una divisione: in quella guerra Israele conquistò Gerusalemme Est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

(Che cosa sono i confini del 1967)

Poi, ancora da comandante militare, il generale Sharon guidò il contrattacco decisivo durante la guerra dello Yom Kippur, il breve conflitto tra Israele, Egitto e Siria dell’ottobre 1973. Quello stesso anno venne eletto per la prima volta al parlamento israeliano, la Knesset. Il suo primo incarico di governo, alla fine degli anni Settanta, fu di ministro dell’Agricoltura.

Nel 1982 era ministro della Difesa, quando nei due campi di Sabra e Chatila alla periferia di Beirut, in un’area controllata direttamente dai militari israeliani, vennero uccisi da miliziani cristiani centinaia di profughi palestinesi: una commissione d’inchiesta israeliana, la Commissione Kahan, stabilì pochi mesi dopo che Sharon era “personalmente responsabile” per non aver fatto nulla per evitare il massacro. Di conseguenza, dopo alcune iniziali resistenze, Sharon venne rimosso dal suo incarico di ministro della Difesa (ma restò nel governo di Menachem Begin come ministro senza portafoglio).

Sharon non era solo responsabile del massacro, ma era la persona che aveva concretamente diretto l’invasione del Libano meridionale da parte dell’esercito israeliano, una scelta che aveva l’obiettivo di stroncare gli attacchi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina provenienti dal paese confinante ma che si rivelò, in concreto, un disastro.

Le sue dimissioni non furono però la fine della sua carriera politica: nei primi anni Novanta, da ministro per l’Edilizia, decise la più grande fase di espansione degli insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania dal 1967: gli stessi che, dieci anni dopo, decise di far sgomberare. La sua passeggiata sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, nella tarda estate del 2000, fu l’evento decisivo che, visto come una provocazione in un momento di per sé incredibilmente teso nei rapporti tra israeliani e palestinesi, fece esplodere la Seconda Intifada. Alle successive elezioni politiche del febbraio 2001, Sharon stravinse le elezioni promettendo “sicurezza e vera pace”.

Come ha scritto un editoriale che ricordava il quinto anniversario del suo ingresso in coma, nel 2011, “dall’età di 14 anni fino all’ultimo giorno in carica come primo ministro – per 63 anni di fila – la vita di Sharon e quella del suo paese sono state intrecciate”.

foto: Getty Images