La legge “salva Sallusti” è saltata?

L'approvazione di un emendamento di Lega Nord e API in Senato ha reintrodotto il carcere per i giornalisti, e forse la storia si chiuderà qui

Ieri pomeriggio il Senato ha approvato un emendamento al cosiddetto disegno di legge “salva Sallusti” (3491), che sostanzialmente riafferma la possibilità per i giornalisti di essere condannati a un anno di carcere, come pena nel caso in cui siano incorsi nel reato di diffamazione. L’approvazione dell’emendamento ha fatto molto discutere perché la nuova legge era in discussione proprio per evitare ai giornalisti la pena del carcere, già prevista nelle attuali norme che regolano il reato di diffamazione.

“Salva Sallusti”
In seguito alla condanna definitiva a un anno e quattro mesi di reclusione per il direttore del Giornale Allesandro Sallusti, all’epoca dei fatti direttore responsabile di Libero e a oggi non ancora incarcerato, nelle ultime settimane diversi esponenti politici avevano proposto di rivedere le regole sulla diffamazione, eliminando il carcere dalle pene previste per questo tipo di reato. I principali partiti si erano impegnati ad approvare una nuova legge così da allineare l’Italia alla maggior parte degli altri paesi europei, dove non è previsto che un giornalista possa finire in carcere per i contenuti di un suo articolo. Dopo riunioni, lavori di commissione e difficili mediazioni era stata approvata una prima bozza, criticata ugualmente da molti osservatori perché contenente altre norme legate alle modalità di rettifica delle notizie di non semplice applicazione, soprattutto su Internet.

L’emendamento
Quando sembrava essere stato raggiunto un accordo di massima, con un testo che escludeva la possibilità del carcere per la diffamazione, ieri in Senato è stato presentato un emendamento (1.307) che ha ribaltato il senso del disegno di legge. La modifica è stata presentata dai senatori della Lega Nord Roberto Mura e Sandro Mazzatorta, e dal senatore del Terzo Polo Franco Bruno.

Prima dell’emendamento il testo concordato al Senato modificava in questo modo l’articolo 13 della legge numero 47 dell’8 febbraio 1948 sulla stampa, escludendo la pena della reclusione:

Art. 13. — (Pene per la diffamazione). — 1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della multa non inferiore a 5.000 euro.

I tre senatori hanno invece proposto di reinserire la pena del carcere, fino al massimo di un anno, rendendo l’articolo 13 in questo modo:

Art. 13. — (Pene per la diffamazione). — 1. Nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione fino ad un anno o della multa non inferiore a 5.000 euro.

Durante il dibattito in aula, il senatore leghista Roberto Castelli ha risposto alle obiezioni del senatore Luigi Li Gotti (IdV) spiegando che l’emendamento modifica comunque l’articolo 13 originario della legge numero 47 del 1948 perché prevede il carcere o una multa, e non il carcere e una multa. Il senatore ha poi fatto bene intendere il suo pensiero sui giornalisti rivolgendosi al presidente Renato Schifani, tra gli applausi compiaciuti di Lega Nord e Popolo della Libertà:

«Il senatore Li Gotti legge articoli ed emendamenti in maniera del tutto distorta, il che invece non è legittimo. Lo ha fatto anche in questo caso. Lo ha fatto altre tre volte. Lo iscriverei d’ufficio all’ordine dei giornalisti, perché è esattamente quello che fanno i giornalisti quando parlano di noi»

La votazione
La modifica è stata approvata con un voto segreto, dopo la richiesta formulata da 55 senatori per votare in questo modo. In 131 hanno votato a favore, 94 sono stati i contrari e 20 gli astenuti. Non erano presenti in aula 70 senatori. Su Repubblica hanno fatto qualche conto, spiegando che tra i 131 a favore c’erano sicuramente i 17 senatori leghisti presenti in aula, i senatori di Rutelli (che ha difeso l’emendamento con convinzione), pezzi consistenti del Popolo della Libertà e dell’UdC e con ogni probabilità qualche senatore del Partito Democratico, anche se ufficialmente la posizione del partito era contraria alla nuova modifica.

Che cosa succede adesso
Poco dopo l’approvazione dell’emendamento diversi senatori hanno chiesto a Schifani di sospendere la seduta alla luce delle nuove modifiche, che di fatto stravolgono buona parte del senso della nuova legge. Schifani ha acconsentito e ha fissato per oggi una conferenza dei capigruppo, in cui si verificherà anche la possibilità di tornare a occuparsi della questione in aula.

“Binario morto”
Diversi esponenti politici, a partire dal presidente dei senatori del Partito Democratico, Anna Finocchiaro, dopo la votazione hanno parlato della necessità di mettere su un binario morto il disegno di legge. I voti a scrutinio segreto chiesti da Lega Nord e dai senatori di Rutelli per l’approvazione di altri emendamenti non sono del resto finiti. Potrebbero modificare il senso del primo articolo della nuova legge, che era già stata concepita per essere estremamente secca e tesa in primo luogo a rimuovere il carcere. Gli emendamenti proposti potrebbero «ripristinare l’interdizione fino a un anno, raddoppiare la pena in caso di recidiva, imporre l’obbligo di scalare l’importo della multa dai fondi dell’editoria» spiegano sempre su Repubblica. Secondo diversi osservatori, la vicenda di ieri in Senato è la dimostrazione che nei fatti i partiti non sentono questa grande necessità di cambiare la legge, che da più di 60 anni prevede il carcere per i giornalisti.