L’uomo che ha inventato le sigarette

La storia di Buck Duke, che nell'Ottocento per primo introdusse la produzione industriale e le sigarette come le conosciamo oggi

Bathing belles enjoying a smoke on the beach at Aldeburgh, Suffolk. (Photo by Fox Photos/Getty Images)

Bathing belles enjoying a smoke on the beach at Aldeburgh, Suffolk. (Photo by Fox Photos/Getty Images)

James Buchanan Duke è considerato la persona che ha contribuito più di tutte a diffondere le sigarette nel mondo, trasformandole in uno dei fenomeni culturali di massa del Ventesimo secolo. Un articolo della BBC racconta la sua storia, spiegando che il suo successo si basa sostanzialmente su due fattori: aver introdotto per primo la produzione meccanizzata delle sigarette e aver capito l’importanza del marketing e della pubblicità per sviluppare il mercato.

James Buchanan Duke, conosciuto più semplicemente come Buck Duke, nacque nel 1856 a Durham, in North Carolina. Nel 1880, a 24 anni, aprì una fabbrica di sigarette a Durham. Allora si trattava di un settore di nicchia: il tabacco veniva perlopiù masticato o fumato in pipe e sigari, mentre le sigarette erano di gran lunga meno diffuse. Erano state importate in Spagna dall’America centrale, dove il tabacco era spesso fumato avvolto in foglie durante i riti religiosi dai Maya e dagli Aztechi. In Spagna il tabacco venne prima avvolto in foglie di mais e poi, dal Settecento, in carta sottile. Nel mondo anglosassone divennero popolari soprattutto tra i soldati dalla metà del secolo. All’epoca di Duke venivano prodotte a mano e le estremità venivano chiuse torcendole.

(La campagna del governo americano contro il fumo)

Nel 1882 Duke iniziò a lavorare con James Bonsack, un giovane meccanico che aveva inventato una macchina per produrre le sigarette. Come spiega il professor Robert Proctor della Stanford University – autore di un saggio sulla storia delle sigarette – la macchina consentiva di produrre una sorta di sigaretta infinita, che veniva suddivisa in sigarette della giusta lunghezza attraverso cesoie rotanti. L’estremità della sigaretta restava aperta e per impedire che si seccasse era necessario aggiungere additivi chimici e altre sostanze come glicerina, zucchero e melassa. Duke decise di investire nel progetto di Bonsack, certo che le persone avrebbero preferito le sigarette industriali a quelle artigianali: sarebbero state rollate in modo perfetto, oltre che molto più igieniche (non prevedevano infatti l’uso delle mani e della saliva).

(Dove si fumano più sigarette)

Durante la produzione artigianale ogni lavoratore realizzava circa 200 sigarette a turno. La macchina di Bonsack consentiva invece di produrre circa 120 mila sigarette al giorno, più o meno un quinto del consumo dell’epoca negli Stati Uniti, e non riusciva a venderle tutte. Duke dovette quindi cercare di aumentare il numero dei fumatori e capì che poteva farlo investendo nel marketing e nella pubblicità: sponsorizzò eventi sportivi, regalò sigarette ai concorsi di bellezza, comprò spazi pubblicitari sulle prime riviste e incluse figurine da collezione nei pacchetti. Soltanto nel 1889 spese in pubblicità 800 mila dollari, più o meno 25 milioni di dollari attuali. Il suo successo fu favorito anche da un vantaggio competitivo non indifferente: Bosnack infatti mantenne il brevetto della sua macchina, ma in segno di gratitudine offrì a Duke uno sconto del 30 per cento nel contratto di locazione.

Nel 1890 Duke arrivò a coprire il 40 per cento del mercato americano delle sigarette. In quell’anno prese il controllo delle quattro aziende rivali del settore e fondò l’American Tobacco Company, un vero e proprio monopolio. Nel 1906 l’azienda fu condannata per aver violato la legge sull’antitrust e fu costretta a dividersi in tre diverse aziende. Nel frattempo il suo successo aumentava: riuscì a espandersi in nuovi paesi (come la Cina) e in nuovi settori della società dell’epoca, diffondendo il fumo anche tra le donne. Nell’Ottocento le uniche donne a fumare erano le prostitute: Duke capì che per convincere le donne a fumare bisognava cambiare il significato sociale del fumo e si affidò a pubblicitari che trasformarono le sigarette in un simbolo dell’emancipazione femminile.

Duke – che fumava abitualmente il sigaro – capì anche che le sigarette avrebbero potuto soppiantare le altre forme di consumo di tabacco: potevano essere infatti fumate in ristoranti e salotti, dove sigari e pipe erano proibiti, mentre la facilità con cui potevano essere accese e restare tali le rendeva più adatte alla vita moderna delle città. Le sigarette venivano anche considerate più salutari delle altre forme di fumo viste le loro dimensioni, e a lungo i medici le consigliarono contro il raffreddore, la tosse e la tubercolosi (una malattia che oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità lega al fumo). In realtà le sigarette creano molti più problemi alla salute e più dipendenza dal tabacco di pipe e sigari, dato che contrariamente a questi vengono solitamente inalate.

Negli ultimi quindici anni dell’Ottocento il numero di fumatori negli Stati Uniti quadruplicò. All’epoca non si sospettava che le sigarette fossero dannose per la salute e gli unici movimenti che si opponevano al diffondersi del fumo erano legati a preoccupazioni morali, soprattutto a causa del consumo di sigarette tra donne e bambini. Duke morì nel 1925 e certamente non era consapevole di aver diffuso «l’artefatto più mortale nella storia della civilizzazione umana», come la definisce Proctor, «che nel ventesimo secolo ha ucciso circa 100 milioni di persone».

I filtri per sigarette cominciarono a essere diffusi dopo la morte di Duke, da un brevetto ungherese e grazie al lavoro dell’industria Bunzl. Le sigarette non furono collegate al cancro ai polmoni fino agli anni Trenta – i primi furono medici tedeschi – e il rapporto di causa effetto con la malattia venne riconosciuto ufficialmente soltanto nel 1957 in Regno Unito e nel 1964 negli Stati Uniti.

Foto: Ragazze fumano in riva al mare ad Aldeburgh, in Inghilterra, nel 1927 (Fox Photos/Getty Images)