Perché a Bersani piace Giovanni XXIII

Lo aveva spiegato nel libro di Ivan Scalfarotto, prima di spiazzare molti spettatori del confronto di ieri sera

Pope John XXIII, with Cardinal Amleto Giovanni Cicognani, Vatican Secretary of State, at his side greets a crowd estimated at 10,000 gathered in Saint Peter’s Square, from the window if his private apartment in the Vatican palace, Oct. 29, 1961. The crowd cheered the Pope for the third anniversary of his election to the pontificate on October 28, and for his forthcoming birthday. (AP Photo/Jim Pringle)

Pope John XXIII, with Cardinal Amleto Giovanni Cicognani, Vatican Secretary of State, at his side greets a crowd estimated at 10,000 gathered in Saint Peter’s Square, from the window if his private apartment in the Vatican palace, Oct. 29, 1961. The crowd cheered the Pope for the third anniversary of his election to the pontificate on October 28, and for his forthcoming birthday. (AP Photo/Jim Pringle)

Tra le risposte più commentate su internet lunedì sera, di quelle date dai candidati alle primarie del centrosinistra che partecipavano al confronto su Sky, c’è stata quella del segretario del PD Pierluigi Bersani alla domanda sui personaggi di riferimento di ciascuno: “Papa Giovanni”, ha detto Bersani, “ma poi devo spiegar perché”. Lo ha accennato, il perché: ma che il leader del maggiore partito di sinistra italiano, ex comunista, abbia voluto scegliere un papa a ispiratore “di sinistra” ha generato molte riflessioni e battute (compresa la ricostruzione di Makkox).
In realtà, a cosa pensi quando indica come modello papa Roncalli (in carica tra il 1958 e il 1963), Bersani lo aveva spiegato più diffusamente nel libro di Ivan Scalfarotto “Ma questa è la mia gente“, pubblicato lo scorso settembre.

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Questo è un paese che ha voglia di farsi trascinare in un cambiamento o siamo davvero così conservatori come sembriamo?

È una domanda con cui mi sono trovato a confrontarmi molto spesso. Sono stato sovente impegnato in esperienze di governo e, ogni volta che ho iniziato a gestire una responsabilità, mi sono chiesto: «Quale cambiamento posso produrre in questo mio nuovo ruolo?». Perché si sa che si deve cambiare, il mondo gira e non sta fermo. Bisogna però pensare a come promuovere questo cambiamento. il dilemma, infatti, è se il cambiamento bisogna annunciarlo o se, invece, non sia più efficace produrlo e poi spiegarlo a cose fatte. in questo paese non puoi conservare, devi cambiare, ma è anche vero che non puoi mettere per principio in agitazione la gente annunciando un cambiamento fine a se stesso. Questo è un paese che ha una storia antichissima e buone ragioni per conservare dei meccanismi che spesso hanno delle radici: radici familiari, localistiche, di mestiere, che possono prendere aspetti corporativi, difensivi, e quindi conservativi, con cui però devi fare i conti. Sono radici vere, antiche, solide. Allora, pronunciare vacuamente la parola «cambiamento» non funziona in un paese come questo. Devi farti avanti con un cambiamento e con una rassicurazione: chi ha interpretato benissimo questo ruolo è stato papa Giovanni.

Un grande innovatore…

Un grandissimo innovatore, che poteva nominare un cardinale nero. Allora, fare un cardinale nero era una cosa impensabile.

Papa Giovanni è però interessante come modello perché lui, pur essendo stato eletto come un anziano pontefice di transizione, quando ha preso possesso degli strumenti per fare il papa li ha usati fino in fondo. Come convocare un Concilio rivoluzionario, una cosa che non si vedeva dal Concilio di Trento. Roncalli disse: «Vecchio o non vecchio, ora sono il papa, e faccio il papa», lasciando probabilmente i suoi grandi elettori con un palmo di naso e andando ben al di là del mandato che gli era stato affidato.

Sì, ma come l’ha fatto? L’ha fatto cambiando e rassicurando a un tempo. Vero che andava nelle carceri, vero che ha fatto un cardinale nero, vero che ha convocato il concilio. Però, mentre faceva tutto questo, diceva: «… e quando andrete a casa date una carezza ai vostri bambini», recuperando sempre nel suo messaggio un qualcosa di rassicurante.

Ma era rassicurante per la sua «struttura»? Perché è vero che rassicurava la gente, ma probabilmente agitava la curia. Insomma, a me pare che qualche volta la sinistra in generale, e non solo il Pd, sia considerata soltanto quella che rassicura e non cambia nulla, che si limita a difendere lo status quo. Ci sono una serie di temi dove a sinistra è molto più popolare dire di no che provare a mettere in piedi una discussione pacata e adulta. Prendi la Tav. O la questione della riforma del mercato del lavoro, dove invece di considerare la necessità di attrarre nuovi investimenti e creare nuovo lavoro siamo fermi alla protezione del posto fisso. Insomma, alla fine noi siamo quelli che dicono sempre «teniamo le cose come stanno». Diamo messaggi senza dubbio rassicuranti ma, al contrario di papa Giovanni, poi lasciamo sempre tutto com’è.

Certamente c’è una sinistra conservatrice, non c’è dubbio. Magari nobilmente conservatrice. E quante sconfitte ha subìto la sinistra per essersi attardata su certi temi! Da lì, però, a dire che il cambiamento di per sé va bene ce ne passa. Guardiamo agli ultimi quindici anni della nostra storia: quello è un caso evidente di cambiamento da correggere. Prendiamo la questione della precarietà dilagante. Qual è la cosa che viene in mente, al di là del problema di una generazione che è in difficoltà? c’è un tema di fondo: da mille anni (ecco la lunga durata, che non è sempre conservazione) gli italiani trasformano materie prime che non hanno, nel tessile, nell’oreficeria, anche nel petrolchimico. Gli italiani hanno sviluppato una capacità enorme di trasformare e di fare del lavoro, delle proprie capacità, un grande atout nazionale, riconosciuto in tutto il mondo. Gli italiani hanno aggiunto alle materie prime il gusto, la flessibilità, la qualità. Però, attenzione: per poter fare tutto questo è necessario un percorso professionale, un’acquisizione di know how, e tutto ciò richiede un elemento di stabilità, che devi garantire. La precarietà ci sta facendo saltare una generazione, ci sta facendo perdere un giro. E questo lo vedi benissimo nei distretti industriali, che sono bacini di cultura del lavoro, dove trovi gente che è nata in mezzo alle ceramiche e che continua a fare le migliori ceramiche del mondo perché ha acquisito negli anni la competenza necessaria. ferrari non solo non faceva contratti precari, ma assumeva sempre i figli degli ex dipendenti. Altro che precarietà: per poter fare le macchine migliori del mondo si arrivava addirittura al familismo! Attenzione quindi a non giocarci i nostri atout in nome del nuovismo.

– Ivan Scalfarotto: Ma questa è la mia gente