Il vero progressismo, per l’Economist

Cioè la proposta politica di un "nuovo centro radicale", per combattere la diseguaglianza senza danneggiare la crescita economica

In un editoriale pubblicato ieri, la redazione del settimanale Economist ha esposto la sua ricetta per un nuovo “radicalismo centrista”, un modo per diminuire le diseguaglianze senza danneggiare la crescita economica. Il settimanale lo ha chiamato «il  vero progressismo».

Secondo il settimanale britannico, il dibattito sulle disuguaglianze è già cominciato, almeno nei paesi occidentali, ma invece che produrre soluzioni sta causando soltanto polemiche. Negli Stati Uniti, ad esempio, la sinistra attacca Mitt Romney accusandolo di essere un robber baron, un brigante che guadagna sulle spalle della povera gente, mentre la destra accusa Obama di essere un class warrior, un guerriero della lotta di classe che usa ancora il lessico e le soluzioni teorizzate da Karl Marx.

La situazione non è diversa in Europa e secondo l’Economist lo dimostra la scelta di Hollande di tassare al 75% i guadagni superiori al milione di euro. Nel resto del mondo, invece, il problema viene semplicemente nascosto. Basta guardare l’imbarazzo della leadership cinese davanti ai rampolli delle grandi famiglie che girano in Ferrari o il rifiuto dell’India di aggredire seriamente il problema della corruzione.

Secondo i redattori dell’Economist, da questi esempi risulta chiaro che né la destra né la sinistra hanno ancora compreso il problema. Per la destra la diseguaglianza non conta, per la sinistra invece è importante, ma l’unica soluzione che riesce a trovare è quella di tassare di più i ricchi e aumentare la spesa pubblica. Il rischio è di trovare soluzioni insoddisfacenti, che aprano la strada a politici populisti e non democratici. Da qui nasce la necessità di creare un nuovo, vero progressismo.

La priorità di questo modello, per l’Economist, dovrebbe essere l’attacco ai monopoli e alle rendite, siano essi le imprese statali in Cina o le grandi banche di Wall Street. In particolare, i paesi in via di sviluppo hanno bisogno di introdurre una maggiore trasparenza sull’assegnazione dei contratti statali e leggi antitrust – contro i monopoli – più efficaci. Anche nel mondo occidentale ci sono molti settori economici che hanno bisogno di una maggiore apertura. Nell’Unione Europea ci sono ancora molti settori che sono molto lontani dall’essere un “mercato unico”, dove tutti gli europei possano competere alla pari. Sempre per lo stesso motivo, vanno eliminate le distorsioni del mercato prodotte da alcune leggi sul lavoro in molti paesi europei e nei paesi emergenti. Secondo l’Economist, nessun banchiere di Wall Street ha danneggiato la mobilità sociale degli Stati Uniti come il sindacato degli insegnanti.

Il secondo passo dovrebbe essere la spesa pubblica per i poveri e per i giovani. Nei paesi emergenti asiatici, ad esempio, moltissimo denaro pubblico finisce nei sussidi al carburante, che favoriscono quasi esclusivamente i ricchi che possono permettersi un’automobile. Mentre in America Latina i bilanci statali sono distorti da un sistema pensionistico molto costoso che favorisce il ceto medio, trascurando completamente i più poveri.

Ma secondo i redattori dell’Economist c’è ancora più da fare nel mondo occidentale. L’invecchiamento della popolazione impedirà di risparmiare sulle pensioni, ma si potrà ridurre l’aumento di questa voce di spesa aumentando l’età pensionabile. Alcune risorse andranno poi investite nell’educazione. Se la prima metà del ‘900 ha portato alla creazione di una scuola secondaria pubblica e gratuita, l’era del nuovo progressismo dovrebbe portate a un’educazione pre-scolare pubblica e gratuita e a un maggior impegno per insegnare nuovi mestieri a chi ha perso il lavoro.

L’ultima priorità dovrebbe essere la riforma fiscale. Il punto non deve essere punire i ricchi, ma raccogliere più denaro e in maniera più efficiente. Nei paesi in via di sviluppo questo significherà abbassare le aliquote, ma inasprire i controlli e le pene per gli evasori. Nei paesi ricchi si dovrebbe razionalizzare il sistema eliminando le deduzioni fiscali che favoriscono soprattutto i ricchi e cercare di fare affidamento soprattutto su tasse che sono pagate in maniera maggiore dai più benestanti, come quelle sulla proprietà.

Dall’Economist vedono alcuni suggerimenti di questa agenda già adottati in diversi paesi: l’America Latina ha investito molto nelle scuole e ha trovato strumenti di sussidio efficaci per i più poveri, mentre India e Indonesia stanno pensando di ridurre i sussidi all’acquisto di carburante. In Europa, la Svezia ha largamente revisionato il suo gigantesco sistema di welfare e lo stesso sta facendo il Regno Unito. Ma, scrive il settimanale, la strada da percorrere è ancora lunga.

Per la destra, l’obbiettivo resta rendere il governo più piccolo, non più efficente. Mentre la sinistra ha alle sue spalle un fallimento ancora più grande: quasi ovunque lo stato sociale sta finendo i soldi, l’economia ristagna e le diseguaglianze crescono mentre l’unica risposta che i leader di sinistra riescono ad offrire è alzare le tasse ai ricchi. C’è bisogno di qualche idea originale che invece proponga equità, ma anche progresso, altrimenti pagheranno tutti.