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  • Martedì 18 settembre 2012

L’agguato a Musy, sei mesi dopo

Marco Imarisio racconta il suo incontro con la moglie del consigliere comunale di Torino, privo di conoscenza da quando un uomo gli ha sparato il 21 marzo

Il 21 marzo scorso, Alberto Musy, consigliere comunale di Torino dell’UdC, è stato gravemente ferito con diversi colpi d’arma da fuoco nel cortile della propria abitazione, nel centro della città. Da allora si trova in un letto d’ospedale e non ha più ripreso conoscenza. Le indagini in questi mesi sono proseguite, ma fino a ora non hanno portato a risultati concreti: alcune telecamere di sorveglianza filmarono un uomo, il presunto autore dell’agguato, con un casco integrale in testa, e non è stato ancora possibile ricostruire la sua identità. Sul Corriere della Sera di oggi, Marco Imarisio fa il punto sulla situazione, intervistando anche Angelica, la moglie del consigliere.

Quella foto fa paura. Sembra un templare cattivo, sembra un carnefice da film dell’orrore.
Il male è sempre dentro di noi. Dietro a quel pastrano scuro, al casco integrale che fa pensare a un elmo del Medioevo c’è comunque un uomo. Entra nell’androne di una palazzina torinese. Attende. L’avvocato Alberto Musy, ex candidato sindaco, consigliere comunale, ha accompagnato una delle sue quattro figlie all’asilo, come fanno i bravi papà. Entra. L’uomo nascosto nel cortile gli spara. Un colpo, un altro. Ferito, Musy cerca di fuggire per le scale. Altri due spari. Alla schiena, alla testa. Da allora riposa in un letto d’ospedale. Non ha più ripreso conoscenza. Era la mattina del 21 marzo.

Angelica Musy parla a fatica. Non lo ha mai fatto finora, non è ancora pronta a parlare con estranei del suo Alberto senza cadere nella trappola della commozione. Ci prova oggi, anche se non è facile. «Abbiamo vissuto sei mesi lunghi e tremendi in attesa di un miglioramento delle condizioni di mio marito, di un risultato nelle indagini che ci facesse comprendere questa storia, di qualche attimo di serenità. Intorno a me ho sempre avuto parenti e amici, che mi hanno dato tutto l’affetto possibile. Ma non basta, non può bastare».

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