Che cos’è Fabbrica Italia, o cos’era

Perché Marchionne ha detto che non si farà più, perchè tutti si sono arrabbiati e come in realtà Fabbrica Italia sia finita già da un bel pezzo (e nessuno se n'era accorto)

di Davide Maria De Luca

Venerdì scorso la Fiat ha diffuso un comunicato stampa in cui annunciava che il progetto Fabbrica Italia, varato nell’aprile 2010, “non è più attuale” e che è necessario che i piani di investimento siano “oggetto di costante revisione”. Il comunicato è stato interpretato come il definitivo abbandono del piano di investimenti contenuti nel progetto e questo ha causato molte reazioni critiche.

La leader della Cgil Susanna Camusso ha detto che il paese è stato preso in giro. L’imprenditore Diego della Valle ha accusato Marchionne e la famiglia Agnelli-Elkann di essere i veri problemi della Fiat. Critiche sono venute anche da Cesare Romiti, ex presidente e amministratore delegato di Fiat. Nel nervosismo causato dall’annuncio è uscita anche la notizia, subito smentita, che il ministro Fornero avrebbe convocato Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, per essere informata sulla situazione. Ma in molti domandano al governo di chiedere conto a Fiat degli impegni presi a suo tempo.

(Stefano Menichini: Il governo e Marchionne)

Che cos’è Fabbrica Italia?
O che cos’era, quindi: il nome fu scelto per un grosso piano industriale previsto per il quinquennio 2010-2014 e fu annunciato dalla Fiat alla fine dell’aprile 2010. Il piano aveva componenti industriali e finanziarie, ma anche una forte valenza simbolica e comunicativa, molto importante visto che in quel periodo le relazioni con i sindacati stavano tornando a scaldarsi e molti accusavano Marchionne di voler trasferire la Fiat all’estero.

La parte simbolica di Fabbrica Italia, infatti, risiedeva proprio nel nome e serviva a rappresentare la volontà del gruppo di restare in Italia, valorizzando il lavoro e le specificità produttive del paese. Per ottenere questo risultato, Fiat intendeva investire 30 miliardi in cinque anni, venti miliardi solo negli impianti italiani. Valorizzazioni e investimenti avrebbero dovuto portare la produzione di auto Fiat dalle 650 mila unità del 2009 a 1 milione e 650 mila nel 2014.

Nel piano erano previste anche misure di “razionalizzazione” come ad esempio la chiusura di Termini Imerese, la separazione della produzione di automobili da quella di veicoli industriali e l’introduzione in diversi stabilimenti del World class manufacturing, il sistema di produzione a ciclo continuo che portò al famoso referendum nello stabilimento di Pomigliano (vinsero i si all’introduzione con il 65%, una percentuale inferiore alle aspettative).

Gli sviluppi
La parte che del piano che suscitò le maggiori attenzioni, in particolare tra i sindacati, era quella che riguardava gli investimenti. Una spesa di 20 miliardi sul territorio italiano avrebbe infatti significato, se non l’assunzione di nuovi operai, certamente la conservazione di tutti o quasi i posti di lavoro nell’azienda e la fine della cassa integrazione in alcuni stabilimenti.

Per questo motivo i sindacati, e in particolare la Cgil e la sua federazione dei metalmeccanici, la Fiom, hanno spesso indicato Fabbrica Italia per sostenere che Fiat non ha rispettato le sue promesse. Infatti, negli ultimi due anni, l’azienda non ha messo in atto grossi investimenti e soprattutto ha proseguito nei licenziamenti e ha continuato ad utilizzare la cassa integrazione. L’annuncio di venerdì è stato quindi interpretato come il definitivo tradimento delle promesse fatte nel 2010.

In realtà Fiat, senza che quasi nessuno lo notasse, aveva già annunciato la fine del piano nell’ottobre 2011. In una nota con cui l’azienda aveva risposto ad un’interrogazione della Consob (che in quanto autorità di vigilanza sulla borsa può esercitare un controllo sulla Fiat, quotata in borsa), aveva scritto: «Fabbrica Italia non è mai stato un piano finanziario, ma l’espressione di un indirizzo strategico. Fiat, come ogni suo concorrente, riesamina continuamente i propri piani e ha la necessità di poterli adeguare alle condizioni di mercato», quindi, concludeva la nota: «Alla luce di possibili fraintendimenti, equivoci e irrealistiche attese Fiat si asterrà, con effetto immediato, da qualsiasi riferimento a Fabbrica Italia».

Quello che secondo la Fiat è cambiato, costringendo di conseguenza l’azienda a cambiare i suoi piani, è da un lato la situazione economica in generale e dall’altro il mercato dell’auto europeo, in particolare. Fabbrica Italia fu varato nel 2010, primo anno di ripresa economica dopo la crisi, prima che la crisi dell’Eurozona entrasse nel vivo. Già il 2011 fu un anno di stagnazione, mentre quest’anno sarà un anno di pesante recessione.

Ma anche il mercato dell’auto, in particolare, è in un periodo di sofferenza. Non solo Fiat non si è avvicinata all’obiettivo di 1 milione e mezzo di autovetture prodotte che era previsto per il 2014, ma addirittura ha prodotto meno auto che nel 2009, fino ad oggi considerata una delle peggiori annate per l’azienda (erano 650 mila le auto prodotte allora e sono state poco più di 400 mila nel 2011).

Con la sola eccezione di Volkswagen (che ha motivazioni ben precise) il 2012 è stato un anno di crisi economica per tutti i produttori di auto europei. Dopo un calo delle vendite del 7% nel 2011 è previsto un calo altrettanto significativo sia per quest’anno che per il 2013. Tra i grandi marchi non solo la Fiat è in difficoltà. Opel, controllata da General Motors, è sull’orlo del fallimento, mentre Peugeot ha già annunciato 8.000 licenziamenti.

Foto: Matthew Lloyd/Getty Images for Halcyon Gallery