Il cattolicesimo fa male allo spread

Sul Corriere della Sera Massimo Franco scrive dell'attualità di un'annosa questione: lo scontro tra la rigorosa cultura protestante del Nord Europa e quella cattolica, lassista e autoindulgente dei paesi del Sud

In un articolo del Corriere della Sera di oggi Massimo Franco racconta dell’attualità di un vecchio canone della differenza tra paesi nordeuropei e sudeuropei, tra i rispettivi gradi di civiltà e capacità di progresso: quello sulle conseguenze sociali e culturali della presenza di due chiese differenti come quella protestante e quella cattolica. E parla con Stephan Richter, direttore di Globalist, il sito che analizza i trend mondiali nell’era della globalizzazione: che ha immaginato quello che avrebbe detto Martin Lutero, il teologo tedesco padre della riforma protestante, se avesse potuto essere presente a Maastricht nel 1992, al momento di gettare le basi dell’Unione europea: «Leggete le mie labbra: nessun Paese cattolico che non ha vissuto la riforma protestante deve entrare nell’euro».

Forse non tutti lo sanno, ma in Nord Europa molti pensano che lo spread alto sia il frutto di un peccato cattolico. In tedesco il termine «Schuld» non significa solo debito ma anche colpa. Sono sfumature semantiche che riflettono differenze culturali profonde. E aiutano a comprendere meglio la diffidenza marcata, fino al pregiudizio, di alcune nazioni europee del Nord nei confronti dei Paesi percepiti come membri di un incosciente «Club Med». Lo spread, il differenziale fra titoli di Stato italiani e spagnoli e quelli tedeschi, finisce così per assumere un’eco con vibrazioni etiche: discriminanti ben più dei bilanci dei singoli Stati. Rimanda senza volerlo, anzi quasi con la paura di dirlo, a valori che impastano cultura e religione, e iniettano nelle fibre stanche dell’Ue veleni antichi.

Di fatto, viene toccato e infranto un tabù che riporta in auge fantasmi di Riforme e Controriforme, e guerre combattute all’ombra del Dio europeo. Si tratta di un aspetto delle polemiche degli ultimi mesi affrontato solo di sfuggita. Eppure affiora a intermittenza, mentre l’euro comincia a evocare non più ricchezza e stabilità ma disoccupazione, povertà e declino. La retorica anti-italiana e anti-mediterranea, e all’opposto antitedesca, si nutre inconsciamente di stereotipi non soltanto culturali ma religiosi. «Verità» antiche, sepolte nella memoria del Vecchio Continente; e da non riesumare per non spezzare il faticoso compromesso fra nazioni che ha garantito per decenni pace sociale e politica. L’incertezza le riconsegna però a quanti propugnano nuovi isolazionismi, nella convinzione illusoria che da soli ci si possa salvare meglio.

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– Luca Sofri: Troppe Ave Maria