• Mondo
  • Lunedì 3 settembre 2012

La battaglia legale tra Mosley e Google

L'ex presidente della FIA non vuole più trovare in rete le sue foto in un festino erotico nazista: e solleva questioni di diritti e tecnologiche

LONDON, ENGLAND - NOVEMBER 21: Max Mosley arrives to give evidence at The Leveson Inquiry at The Royal Courts of Justice on November 21, 2011 in London, England. 21 victims of phone hacking are appearing at the inquiry over the next five days. The inquiry is being lead by Lord Justice Leveson and is looking into the culture, practice and ethics of the press in the United Kingdom. The inquiry, which will take evidence from interested parties and may take a year or more to complete, comes in the wake of the phone hacking scandal that saw the closure of The News of The World Newspaper. (Photo by Peter Macdiarmid/Getty Images)
LONDON, ENGLAND - NOVEMBER 21: Max Mosley arrives to give evidence at The Leveson Inquiry at The Royal Courts of Justice on November 21, 2011 in London, England. 21 victims of phone hacking are appearing at the inquiry over the next five days. The inquiry is being lead by Lord Justice Leveson and is looking into the culture, practice and ethics of the press in the United Kingdom. The inquiry, which will take evidence from interested parties and may take a year or more to complete, comes in the wake of the phone hacking scandal that saw the closure of The News of The World Newspaper. (Photo by Peter Macdiarmid/Getty Images)

Nel 2008, Max Mosley, l’ex presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) finì sotto accusa dopo che il News of the World (il tabloid di Rupert Mardoch chiuso dopo lo scandalo intercettazioni) venne in possesso di alcuni video e foto che lo ritraevano durante un’orgia a tema nazista. E ancora oggi è possibile trovare quelle foto facendo una ricerca su Google, nonostante l’Alta Corte britannica abbia stabilito che erano state scattate illegalmente. Malgrado le battaglie legali vinte contro i siti internet che le hanno pubblicate dopo la sentenza, Mosley ha spiegato che finché Google mostrerà le foto nell’anteprima di una ricerca, senza filtri, con il link ai siti che le hanno pubblicate, questa storia non avrà mai fine, racconta un articolo del settimanale tedesco Spiegel.

Mosley ha vinto la sua battaglia legale contro il News of the World: l’Alta Corte stabilì che le accuse di nazismo nei suoi confronti erano infondate e ordinò al News of the World a pagare a Mosley 71 mila euro per violazione della privacy rispetto alla pubblicazione delle foto. Mosley ha citato in giudizio, con successo, altre centinaia di operatori, in decine di paesi, per aver pubblicato il video e le foto, con l’obbligo di eliminare le immagini. Ogni volta che i suoi avvocati trovavano delle foto nelle ricerche di Google facevano causa ai siti che le pubblicavano. Infine hanno chiesto ai responsabili di Google, in base alle sentenze dei tribunali, di eliminare le immagini dal motore di ricerca.

In questi anni Mosley ha speso circa un milione per tutelare il suo diritto alla privacy. Ma la storia si ripete continuamente, ogni volta che una foto spunta fuori dalle ricerche: «senza Google, nessuno troverebbe questi siti», ha spiegato. Secondo Mosley, Google potrebbe filtrare le immagini nascondendo l’anteprima nella pagina dei risultati della ricerca, ma si rifiuta di farlo.

Mosley ha citato in giudizio anche Google, sia in Germania, sia in altri paesi europei. E dice di sperare che dopo la sentenza gli effetti si ripercuotano in tutti gli altri paesi, anche in California, dove c’è la sede di Google. Il procedimento inizierà nelle prossime settimane nella corte distrettuale di Amburgo. Si tratta di un caso giudiziario esemplare, spiega lo Spiegel: potrebbe rappresentare un caso simbolo nel confronto tra diritti e mondo digitale e nella questione sulla conservazione dei dati online: «Questa non è solo una mia battaglia, è una questione di principi», ha detto Mosley.

Google non ha mai negato che la pubblicazione di quelle foto fosse illegale e, su richiesta, ha cancellato dal suo indice di ricerca centinaia di pagine che le contenevano. Google sostiene che ogni mese riceve milioni di richieste di cancellazioni e che circa il 90 per cento di queste vengono soddisfatte. Daphne Keller, il direttore legale della società, ha spiegato davanti a una commissione d’inchiesta britannica che «l’azienda non ha un meccanismo in grado di trovare in rete i duplicati delle immagini per farli sparire dalla ricerca sul web».

I programmi e gli algoritmi del motore di ricerca non sono in grado di giudicare e Google non è obbligato e non vuole «monitorare» internet, ha detto Keller. Si chiedono i legali di Google: quali contenuti sono da considerare legali in base ai diversi contesti e nei diversi paesi? Cosa succederebbe se un contenuto considerato legale venisse filtrato in base a un giudizio? Google si dovrebbe adeguare in base alle sentenza emessa da ogni singolo paese? E per quanto riguarda il caso specifico di Mosley, Google sostiene che per alcune foto non c’è violazione della privacy, perché in quelle immagini nessuno viene chiaramente identificato.

Gli avvocati di Mosley hanno chiesto a Viktor Mayer-Schönberger, professore di regolamentazione e governance di Internet all’Università di Oxford, di testimoniare nel procedimento contro Google per spiegare se a livello tecnico (e in base alla normativa) sia possibile filtrare le immagini. Mayer-Schönberger sostiene che Google avrebbe tutte le capacità, a livello tecnico, per installare un filtro. Anche il parlamento britannico ha espresso qualche dubbio sulla vicenda e sul comportamento di Google. Inoltre, il primo ministro David Cameron ha creato una commissione per affrontare le carenze nella legislazione sui diritti personali nel Regno Unito.

Dopo aver ascoltato i legali di Google nella vicenda Mosley, la Commissione ha detto che la loro posizione «non è assolutamente convincente». Nei prossimi mesi anche la Commissione Europea ha in programma di aggiornare le norme sulla protezione dei dati personali, per garantire il “diritto di essere dimenticati” nella rete, il più volte discusso “diritto all’oblìo”. Le nuove regole dovrebbero restituire il controllo sui dati personali alle persone con la possibilità di eliminare dalla rete le informazioni che si sono messe online, originariamente, di propria spontanea volontà.

(Foto Peter Macdiarmid/Getty Images)

 – Luca Sofri: Il potere dell’oblìo e della memoria, in rete