Giuliano Ferrara sulla CIA e la procura di Milano

Il direttore del Foglio si attribuisce la responsabilità dei dubbi degli americani su Tangentopoli raccontati ieri dalla Stampa

Ieri la Stampa ha pubblicato parti di un’intervista di Maurizio Molinari con l’ex ambasciatore americano a Roma Reginald Bartholomew, che avevano al centro le perplessità di allora dell’ambasciata sulle violazioni dei diritti degli imputati da parte della procura di Milano durante le inchieste di Tangentopoli. Oggi sul Foglio Giuliano Ferrara ricorda le sue conversazioni di allora con i rappresentanti della CIA in Italia (raccontate a suo tempo da Ferrara) e le mette in relazione con quelle perplessità.

Quando lavoravo per l’Agenzia d’informazione del governo americano chiamata Cia faticavo a spiegare, era il 1985, che il Bettino Craxi amico degli arabi, spregiudicato e solitario leader inviso a democristiani e comunisti che doveva contrastare una grande coalizione assai ben finanziata con acconce contromisure, era anche il pilastro italiano di una politica occidentale nella Guerra fredda.
Evidentemente le cose che dicevo al funzionario e spia del governo americano, da spregiudicato giornalista e insider politico, ebbero un qualche peso, fra molte altre, visto che quando in ottobre di quell’anno Craxi mandò i carabinieri a proteggere dai marine la fuga di un aereo dalla base Usa di Sigonella, un aereo a bordo del quale c’era il capo degli assassini del disabile ebreo Leon Klinghoffer e dirottatori della nave italiana Achille Lauro, la crisi politico-morale sulla quale i nemici di Craxi contavano di lucrare, anche con la crisi di governo determinata dalle dimissioni di Giovanni Spadolini, fu rapidamente risolta da una famosa lettera pacificatrice, “Dear Bettino”, scritta di suo pugno da Ronald Reagan al premier italiano.

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Giuliano Ferrara e la CIA