• Mondo
  • Giovedì 19 luglio 2012

La storia degli ebrei in Bulgaria

Il Corriere della Sera racconta il "caso bulgaro" della Seconda guerra mondiale, quando una mobilitazione popolare salvò migliaia di persone dalle deportazioni

Una parata nazista a Sofia, settembre 1940 (AP Photo)
Una parata nazista a Sofia, settembre 1940 (AP Photo)

Sul Corriere della Sera, Paolo Salom racconta una storia poco conosciuta e singolare che gli storici definiscono “caso bulgaro”. Nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Bulgaria era da due anni alleata con la Germania di Hitler, ma quando arrivò l’ordine di deportare gli ebrei bulgari, i nazisti non ci riuscirono: una mobilitazione popolare in tutto il Paese riuscì a salvarli.

Oggi mete di vacanza, ieri unico rifugio in Europa Una storia d’amore e di guerra. Una vicenda unica in Europa. Un legame forte che neppure i nazisti riuscirono a scalfire. Gli ebrei e la Bulgaria: un destino che viene portato a esempio quando si parla di Olocausto.

Perché, pur alleata della Germania hitleriana, Sofia non permise ai tedeschi di toccare un solo suo cittadino di «fede ebraica». Soltanto al termine del conflitto, con l’arrivo dei comunisti, i 48 mila ebrei di Bulgaria emigrarono in Israele dove oggi sono la quarta comunità per origine dopo russi, romeni e polacchi. E dove, appena possono, prendono un aereo per tornare nella terra di cui ancora oggi capiscono la lingua, per bagnarsi nel mare che i nonni frequentavano come gli italiani frequentavano la Riviera.

Il Mar Nero come l’Adriatico? Sì, nei ricordi di chi trascorreva le vacanze sulla costa che andava da Costanza, in Romania, a Burgas, in Bulgaria, le onde erano ugualmente «dolci», la sabbia «fine». Nel periodo d’oro, dall’inizio del Novecento allo scoppio della Seconda guerra mondiale, le famiglie della borghesia ebraica lasciavano le città dell’interno — Sofia, Plovdiv, Bucarest — per trascorrere luglio e agosto in riva a quel «piccolo oceano» sul quale si affacciava un’altra Europa, un’Europa che procedeva senza saperlo verso la propria distruzione.

Burgas era una delle cittadine più di moda. Perché era piccola, come un shtetl (il villaggio ebraico dell’Europa Orientale), ma sul mare. Perché aveva una sinagoga preziosa, progettata dall’architetto italiano Riccardo Toscani che si era ispirato al tempio di Firenze, con quegli elementi neobarocchi e neoclassici che ne facevano un edificio di sapore mediterraneo. Fuori posto? Non per i gusti del tempo, e per una comunità fiorente che aveva commissionato la costruzione del proprio luogo di culto a quell’italiano che aveva scelto di vivere a Burgas, incantato dalla bellezza della natura. Toscani non visse fino alla guerra, all’alleanza della Bulgaria con la Germania nazista. Morì prima e gli fu risparmiato un periodo di drammi (il Parlamento di Sofia arrivò a votare nel 1941 una legge antisemita) e anche di coraggio.

Perché grazie alla volontà del ministro della Giustizia Dimitar Peshev e della Chiesa ortodossa, e al coraggio di migliaia di cittadini, quando arrivò l’ordine di deportare gli ebrei bulgari, i nazisti nel Paese non riuscirono a portare a termine il loro piano. Come racconta Michael Bar-Zohar, storico israeliano nato a Sofia nel 1938, gli ufficiali delle SS osservarono stupefatti la popolazione scendere in piazza a difesa dei loro concittadini e dovettero rinunciare, per ben due volte, a riempire i treni.

(Continua a leggere l’articolo del Corriere della Sera)

(Nella foto: una parata nazista a Sofia, settembre 1940 – AP Photo)