Paul McCartney e i Wings

Le migliori canzoni dell'era post Beatles di uno che è tutto il contrario di morto

(AP Photo/Suzanne Vlamis)
(AP Photo/Suzanne Vlamis)

Paul McCartney, di vite, ne ha avute almeno due. Una con i Beatles e una dopo: con i Wings (la band fondata con la prima moglie nel 1971), la fase da solista, l’invecchiamento placido. Nonostante tutto, i dischi che sono andati bene e quelli che no, i decenni di dietrologie sulla sua morte e un po’ di sfortune matrimoniali, è arrivato fin qui egregiamente e senza mai sbracare. Questo è quello che ne scriveva nel suo libro Playlist, la musica è cambiata Luca Sofri, peraltro direttore del Post, scegliendo le sue canzoni preferite del periodo post Beatles.

Paul McCartney (1942, Liverpool, Inghilterra)
Il più grande autore pop di tutti i tempi, come sanno anche gli Stones. Sempre un po’ troppo perfettino e che gli andavano tutte bene: ma in vecchiaia ha cominciato ad avere sfortune in amore. Anche sempre un po’ troppo leggero, ma la leggerezza è un dono. Ha fatto qualche cosa mediocre, ma probabilmente perché tutte quelle fantastiche le aveva già fatte.

Band on the run
(Band on the run, 1973)
Gli è sempre piaciuto appiccicare assieme pezzetti che valevano da soli a fare un’intera canzone (risultato più memorabile: la seconda parte di Abbey road). Qui in cinque minuti ne infila tre, ma con almeno una decina di invenzioni minori. “If we ever get out of here” – “se usciamo vivi da qui” – è una battuta di George Harrison nel momento delle massime tensioni tra i Beatles in via di scioglimento. Parte del disco – il più venduto e amato della storia dei Wings – fu registrata a Lagos nello studio di Ginger Baker.

Live and let die
(Live and let die, 1973)
“Vivi e lascia morire” fu il primo film di 007 con Roger Moore. Era il 1973. Come molti altri film della serie, si presentò con una canzone originale composta da una grande popstar (poi vennero Carly Simon, i Duran Duran, Nancy Sinatra, Tina Turner). In quel caso, “Live and let die” fu composta da Paul McCartney ed eseguita dai suoi Wings. (Poi, nel 1991, la canzone fu ripresa dai Guns’n’Roses all’apice del loro successo, che quell’anno incisero anche una cover di “Knockin’ on heaven’s door”).
Un passaggio di “Live and let die” è stato un po’ addomesticato per diventare lo stacchetto di Matrix, quando Enrico Mentana chiamava la pubblicità.

My love
(Red rose speedway, 1973)
Ci sono quelle melodie che ti restano in testa tutta la vita, e che riempiono lo spazio ogni volta che non ne hai in mente un’altra. Io ho “Fly me to the moon”, la musica di “Butch Cassidy” (no, non “Raindrops…”: la musichetta) e “My love”. Arrivò al numero uno negli Stati Uniti. Su cosa il suo amore “faccia bene” ognuno pensi quel che vuole: fosse stata Yoko Ono sarebbe stato facile, con Linda si tende a pensare alla torta di mele.

Rockshow
(Venus and Mars, 1975)
Comincia che pare una cosa progressive, e forse lo è, non fosse che i pezzi di McCartney non sono mai altro che pezzi di McCartney. Poi si scatena in un rocchettone divertito e autocelebrativo. Tutto il disco fu registrato a New Orleans.

Silly love songs
(At the speed of sound, 1976)
Tutta una vita che gli dicevano che lui sapeva fare solo sciocche canzoni d’amore, e lui a un certo punto lo mise per iscritto, con tanto di ritornello che fa “I love you, I love you”. In più, si butta in un giro di basso da discomusic, ma la sua voce e il coretto erano troppo mccartney per rimanere tra i classici dance. Solo una sciocca canzone d’amore, come tutte le altre.

So glad to see you here
(Back to the egg, 1979)
Back to the egg passa come un’opera minore dei Wings, e il suo fallimento commerciale (un solo misero disco di platino in America) chiuse la carriera della band. Troppo rock per le aspettative nei confronti di un disco di McCartney, è in realtà una delle loro cose migliori e più completa: anzi, il miglior disco rock di McCartney. Basta sentire l’attacco travolgente di “So glad to see you here”, dove suonano assieme Pete Townshend, David Gilmour e due Led Zeppelin: John Bonham e John Paul Jones. Doveva esserci anche Keith Moon degli Who, ma morì un mese prima della registrazione, la notte dopo una cena dai McCartney. In chiusura, con un salto mortale, la canzone diventa una versione altrettanto eccitante di “We’re open tonight”, un altro pezzo del disco.

Here today
(Tug of war, 1982)
“E se dicessi che ti conoscevo bene, cosa risponderesti, se oggi fossi qui? Conoscendoti, probabilmente rideresti e diresti che eravamo lontanissimi, se oggi fossi qui. Ma io me lo ricordo, com’era: e ho voglia di piangere. Ti voglio bene”.
Lui è John Lennon, già.

Through our love
(Pipes of peace, 1983)
Un’altra silly love song: non un capolavoro, niente di eterno, ma lui che fa “whenever you will be mine, whenever you will be mi-i-ine…” vale il prezzo del biglietto.

Only love remains
(Press to play, 1986)
Anche qui: basta che lui dica “and if you take your love, away from me…”.
In Press to play per la prima volta collaborò alla scrittura di alcune canzoni (non questa) Eric Stewart dei 10cc, che suonava con McCartney già da due dischi prima. In più, arrivò alla produzione Hugh Padgham, leggendario collaboratore dei Police, Phil Collins e Peter Gabriel, e suonarono Phil Collins e Pete Townshend. Fu il disco meno venduto dell’intera carriera di McCartney.

Figure of eight
(Flowers in the dirt, 1989)
Gran pezzo rock come ai vecchi tempi dei Wings, con lui che fa il fenomeno e urla “is it better!”.

Motor of love
(Flowers in the dirt, 1989)
Ballatona sentimentale, con una marcia in più rispetto al consueto canone silly love song, forse grazie al tappeto corale che pare preso a prestito da “I’m not in love” dei 10cc: a furia di frequentare Eric Stewart.

Où est le soleil
(Flowers in the dirt, 1989)
“Où est le soleil” chiudeva il miglior disco di McCartney dell’ultimo mezzo secolo – e il più originale – in modo spiazzante, con cinque minuti di funkeggiamenti strumentali intorno a un super basso e un minimo verso insensato: “où est le soleil, dans la tête, travaillez”. Nella versione extended pubblicata come singolo ci si diverte ancora di più.

C’mon people
(Off the ground, 1993)
Pianoforte e coro beatlesiani, augurio di un futuro migliore, baraonda orchestrale: una pacchia.

Heather
(Driving rain, 2001)
A forza di dire che Badly Drawn Boy è l’erede di McCartney, finisce che i pezzi di McCartney sembrano di Badly Drawn Boy. Questo potrebbe essere pescato dalla colonna sonora di About a boy, strumentale canticchiato solo agli sgoccioli per “la mia regina del cuore, Heather”: McCartney l’avrebbe sposata di lì a un anno e avrebbe chiesto il divorzio nel 2006.

At the mercy
(Chaos and creation in the backyard, 2005)
“If you take me up, I won’t say no”, e aveva 63 anni.