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  • Mercoledì 13 giugno 2012

Il caso “esodati”, dall’inizio

Chi sono, il problema delle cifre, cosa fa il governo (e da dove viene la parola)

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare di una questione molto complessa che riguarda la previdenza sociale e la recente riforma delle pensioni. Il problema riguarda i cosiddetti lavoratori “esodati”, che è da tempo motivo di scontro tra il governo, i sindacati e i partiti politici.

Chi sono gli esodati
I lavoratori cosiddetti “esodati” si creano dopo ogni riforma previdenziale che alza i requisiti per ottenere la pensione, in termine di età o di anni lavorativi richiesti (l’ultima riforma li ha alzati entrambi). Chi ha lasciato il proprio lavoro poco prima dell’entrata in vigore delle nuove norme, magari con accordi sindacali particolari e con incentivi aziendali, contando su una pensione nell’arco di pochi anni, vede infatti spostarsi in avanti nel tempo il pensionamento – secondo alcuni fino al 2018, in casi particolari – e di conseguenza si trova in un limbo. Può difficilmente tornare al lavoro ma allo stesso tempo non può accedere al trattamento pensionistico nei tempi che aveva preventivato.

Un esempio pratico: i lavoratori che hanno smesso di lavorare tra il 2009 e il 2011, che hanno più di 53 anni e poi non hanno più trovato lavoro devono, ora fare i conti con i nuovi requisiti del governo e rientrano nella categoria dei cosiddetti “esodati”. Altre categorie sono coloro che hanno deciso di continuare a versare i contributi pensionistici anche dopo aver smesso di lavorare, contando sulla pensione entro poco tempo, oppure i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.

Di solito, al momento di approvare una riforma delle pensioni, il governo prevede condizioni particolari per tutelare queste persone. In questo caso, poco dopo l’annuncio della prima manovra del governo Monti, che si occupava anche delle pensioni e che venne annunciata a fine dicembre 2011, è nato un problema particolare che riguarda il numero preciso delle persone che rientrano nella categoria degli “esodati”.

Quanti sono gli esodati
Nelle ultime settimane le organizzazioni sindacali e diversi commentatori si sono sempre detti poco convinti della cifra iniziale fornita dal governo per gli “esodati”, stimati in 65 mila persone, e avevano chiesto insistentemente al governo di chiarire nel dettaglio come era stata calcolata.

Il ministro Fornero aveva invece ripetuto questa stima diverse volte, anche se con alcune precisazioni successive, tra cui quella che il numero si riferiva unicamente a coloro che lasceranno il lavoro nei prossimi due anni, aggiungendo che per gli altri si sarebbe trovata una soluzione in seguito. Il numero di 65.000 è anche quello riportato nel primo decreto emanato dal governo per risolvere il problema degli “esodati” – che il governo preferisce chiamare “salvaguardati” – approvato il primo giugno 2012 dal ministro del Lavoro e da quello dell’Economia (lo stesso presidente del Consiglio, Mario Monti).

I lavoratori interessati dal decreto erano quelli che smetteranno di lavorare entro il 2013: questi potranno andare in pensione secondo le vecchie regole. Il comunicato stampa si concludeva però con l’ammissione che il numero degli interessati era più ampio.

Il Governo è consapevole che il provvedimento non esaurisce la platea di persone interessate alla salvaguardia come, in particolare, i lavoratori per i quali sono stati conclusi accordi collettivi di uscita dal mondo del lavoro e che avrebbero avuto accesso al pensionamento in base ai previgenti requisiti, a seguito di periodi di fruizione di ammortizzatori sociali.

Il Governo si impegna per questi altri lavoratori a trovare soluzioni eque e finanziariamente sostenibili.

Come il governo sta gestendo la questione
La questione è ritornata al centro del dibattito politico dopo che le agenzie di stampa, lunedì 11 giugno, hanno parlato di un documento prodotto dall’INPS e datato 22 maggio. Questo conterrebbe una stima dei lavoratori “esodati” circa sei volte più alta di quella citata dal governo: 387.530 persone (390.200 secondo altre fonti giornalistiche). Per tornare al nostro esempio, il documento dell’INPS dice, secondo quanto riportano i quotidiani di oggi, che le persone uscite dal lavoro tra 2009 e 2011, con più di 53 anni e non più occupati sono circa 180.000, mentre secondo il decreto del governo sono meno di 7.000.

Non è chiaro il motivo del disaccordo sulle cifre, ma il documento spiega meglio perché il governo stima il numero degli interessati in 65.000. La ragione è molto semplice: per pagare le pensioni degli esodati, il decreto “Salva-Italia” (la prima manovra di Monti nel dicembre scorso) ha stanziato 5 miliardi nei prossimi 7 anni. La Ragioneria dello Stato ha fatto i conti che questi soldi bastano appunto solo per pagare le pensioni, secondo i vecchi criteri, a 65.000 persone.

La sera di lunedì Elsa Fornero ha incontrato il presidente dell’INPS, Antonio Mastrapasqua, e il direttore generale Mauro Nori. Il ministero del Lavoro ha comunicato l’avvenuta riunione con una dichiarazione piuttosto dura sul suo sito:

Il Ministro Elsa Fornero ha convocato il Presidente e il Direttore Generale dell’INPS per avere chiarimenti circa notizie relative a documenti interni all’Istituto contenenti valutazioni che, non corredate da spiegazioni e motivazioni di dettaglio, hanno finito per ingenerare confusione e sconcerto nella pubblica opinione.

Al riguardo, il Ministro Fornero ha manifestato ai vertici dell’INPS la propria disapprovazione e deplorato la parziale e non ufficiale diffusione di informazioni che ha provocato disagio sociale.

Oggi i giornali danno largo spazio, infatti, al racconto di conflitti anche molto duri tra il ministro e i vertici dell’INPS – conflitti che esistono anche secondo le dichiarazioni dei maggiori leader politici, per la maggior parte critici sul modo in cui il ministro Fornero sta gestendo la questione – mentre diverse organizzazioni sindacali, e in primo luogo la CGIL, hanno minacciato scioperi e manifestazioni se non sarà chiarito il numero esatto dei lavoratori interessati e il modo in cui il governo intende gestire la questione.

Appendice: storia di una parola
Telegiornali e mezzi di comunicazione continuano a definire questi lavoratori come “esodati”, non senza un filo di imbarazzo per questa parola poco comune e poco gradevole. Il Corriere della Sera scrive oggi in un box informativo che la parola è stata coniata nel 2012, dopo l’approvazione della riforma delle pensioni. In realtà si trova traccia di questa parola sui giornali da almeno trent’anni, anche se sulla maggior parte dei dizionari di italiano ancora oggi non esiste. In un divertente articoletto del 25 settembre 1992 e intitolato “E la burocrazia creò gli esodati”, lo storico giornalista del Corriere della Sera Giulio Nascimbeni scrisse scandalizzato:

Debbo al dottor Adriano Agostini di Milano una preziosa segnalazione. Sulla “Gazzetta Ufficiale” del 2 aprile scorso è stato pubblicato un decreto firmato dal ministro del Lavoro Marini (a quell’epoca il titolare del dicastero era lui). Il decreto riguardava – cito testualmente – il “versamento al Fondo di previdenza autoferrotranvieri dell’importo del valore tecnico delle mensilità di pensione del personale esodato ai sensi dell’art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270”. Esodato? Il participio passato di un verbo esodare che nessun dizionario, né grande né piccolo, ha finora registrato? Proprio così: la “Gazzetta Ufficiale”, del resto, è una miniera inestinguibile di obbrobri linguistici.

Nascimbeni proseguiva con una serie di altri “enigmatici orrori” creati dal linguaggio burocratico, come attergare, permessare e affaccio, e lamentava l’uso improprio che si faceva di esodo, ormai stabile nel lessico di oggi, con il significato di ‘partenza da un luogo di un gran numero di persone’. Ma con una ricerca negli archivi online dei quotidiani si scopre che il termine compariva già in un articolo sulla Stampa del luglio 1984 e poi ancora sporadicamente negli anni successivi, senza ulteriori spiegazioni: segno che faceva parte da un po’ di tempo del gergo dei sindacalisti e di chi si occupava di diritto del lavoro.

foto: Mauro Scrobogna/LaPresse