Chi sono “i poteri forti” in Italia

Non ci sono, scrive Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera: c'è solo "una congerie caotica di ingessature corporative"

In un lungo editoriale pubblicato oggi dal Corriere della Sera, il direttore Ferruccio De Bortoli ha commentato indirettamente le recenti dichiarazioni sarcastiche del premier italiano Mario Monti, secondo cui il suo governo avrebbe perso l’appoggio dei poteri forti. Tra le altre cose, De Bortoli scrive che la cosiddetta classe dirigente italiana di oggi è composta da “pallide eredità, epigoni incapaci di assicurare stabili governance alle loro società, figuriamoci se in grado di suggerire metodi di governo generale”. “L’ultima amara realtà”, sottolinea De Bortoli, “è che non vi sono vere élite o egemonie di qualità, ma solo una congerie disordinata e caotica di ingessature corporative, una miriade di casellanti muniti di veto. Chi teme i poteri forti può stare tranquillo. Chi ha a cuore il futuro del Paese, la formazione di una classe dirigente di qualità, le riforme e il ritorno alla crescita, ha molto di che preoccuparsi”.

La settimana più difficile del governo si chiude con la scelta, coraggiosa, dei nuovi vertici Rai. Ora speriamo che un analogo colpo d’acceleratore sia impresso alle misure, assai tormentate, del pacchetto sviluppo. Monti fa bene ad andare avanti senza guardare in faccia nessuno e a cogliere le critiche (anche di questo giornale) con spirito costruttivo. La parte responsabile del Paese, che crediamo maggioritaria, sa che non vi sono alternative a questo governo, al di fuori del caos greco. Elezioni anticipate sarebbero semplicemente una sciagura nazionale e tutti dobbiamo guardare, con ragionevole fiducia, all’appuntamento europeo di fine mese. Se l’Europa si sveglierà dal proprio torpore autodistruttivo, salvando l’euro e se stessa, dovrà ringraziare anche il nostro premier.

La polemica domestica, sull’influsso che i poteri forti avrebbero sulla vita nazionale, ci offre l’occasione per parlare della classe dirigente, soprattutto privata, di questo Paese. Alla politica non diamo tregua, è vero. Ha ragione D’Alema, che non cede alla tentazione nazionale di vedere complotti ovunque, a lamentarsene. Ma perché la vorremmo migliore. I partiti sono indispensabili alla vita democratica, per questo li sferziamo quotidianamente. Del cosiddetto establishment , il mondo dell’industria, della finanza, della classe dirigente privata, ci occupiamo poco. Una lacuna. Da colmare. Ma la realtà, amara, è ben diversa dalla mistica della tecnostruttura esclusiva, un po’ opaca, più incline a rinchiudersi in alberghi di lusso che ad accettare la sovranità popolare. È grave invece che nel nostro Paese abbia perso di significato – non del tutto per fortuna – il concetto di una classe dirigente responsabile, preoccupata anche dell’interesse generale, in grado di esprimere un indirizzo, un’idea di società, come quella che nel Dopoguerra rese possibile il miracolo economico. Insomma fiera di dirigere, non sfacciata nell’esigere. Dedita per prima a dare il buon esempio.
Esistono élite di grande livello cui il governo ha fatto abbondante ricorso anche in questi giorni: le migliori università, la Banca d’Italia e non solo. Un tempo ve n’erano di più: raffinate culture d’impresa di grandi gruppi, anche bancari, privati e pubblici. È rimasto ben poco. Pallide eredità, epigoni incapaci di assicurare stabili governance alle loro società, figuriamoci se in grado di suggerire metodi di governo generale. Gli esempi sono pessimi. La stessa Confindustria appare appesantita dalle proprie contraddizioni. Chiede di tagliare la spesa pubblica e di eliminare le Province e non riesce nemmeno a ridurre i propri costi di struttura. Comunque, stiamo parlando di realtà positive, di qualità. Microcosmi, però, che non hanno attecchito nella cultura generale. Qualche volta anche per colpa loro, per via di una certa arroganza intellettuale e di un senso di estraneità alle sorti del Paese.

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