Il punto sulle indagini a Brindisi

«Non ci sono arrestati, non ci sono fermati, non ci sono indagati», dice la questura, mentre il procuratore nazionale antimafia critica la diffusione dei fotogrammi del video

Foto Wiro - LaPresse
cronaca
19 05 2012 Brindisi
Brindisi, ordigno esplode davanti a scuola
Nella Foto il luogo dell'esplosione

Photo Wiro - LaPresse
19 05 2012 Brindisi
Brindisi, bomb explodes in front of school
In The pIc the blast site
Foto Wiro - LaPresse cronaca 19 05 2012 Brindisi Brindisi, ordigno esplode davanti a scuola Nella Foto il luogo dell'esplosione Photo Wiro - LaPresse 19 05 2012 Brindisi Brindisi, bomb explodes in front of school In The pIc the blast site

A tre giorni dall’attentato esplosivo che sabato mattina a Brindisi ha ucciso una ragazza di 16 anni, Melissa Bassi, e ne ha ferite cinque, le indagini procedono in modo un po’ problematico. Il capo di gabinetto della questura di Brindisi, Anna Palmisano, ha dichiarato ieri sera che «non ci sono arrestati, non ci sono fermati, non ci sono indagati in questo momento e non ce ne saranno nelle prossime ore». Palmisano ha parlato dopo che un’auto della polizia era stata assalita e presa a calci da un gruppo di cittadini che attendeva l’uscita dalla questura di due persone interrogate dagli inquirenti. «Fateci lavorare, vi preghiamo di farci lavorare, perché si sta creando tensione e perché non deve più accadere quello che è accaduto pochi minuti fa. Per lavorare bisogna consentire alle persone di essere sentite, siano esse testimoni o persone che devono poter venire in questura».

Ieri era stata sentita per diverse ore una coppia di fratelli, uno di questi esperto di elettronica e disabile. Francesco Viviano su Repubblica di oggi ricorda che questo è il profilo su cui si concentrano ancora le indagini: “Ha il braccio sinistro offeso, un’età tra i 55 ed i 60 anni, magro, i capelli brizzolati”. In serata però i due fratelli sono stati rilasciati: contro di loro non c’è niente. Scrivono Carlo Bonini e Giuliano Foschini, sempre su Repubblica:

Quando ormai è sera, i calci e i pugni che colpiscono l’auto civetta della Polizia che lascia la Questura di Brindisi e su cui una piazza rabbiosa ha deciso che viaggi “il colpevole” di un’inchiesta che di colpevoli o indiziati ancora non ne ha, spiegano a che punto sia la caccia all’uomo nel suo giorno numero tre. Quali pericolosi umori la accompagnino. E come due fratelli del quartiere Sant’Elia, per sei ore, possano finire condannati dal giudizio inappellabile di una giuria popolare indistinta ed autoconvocata. Alimentata nelle sue convinzioni da un irresponsabile gioco di passa parola, gonfiato e amplificato da brandelli di indiscrezioni rilanciate dall’informazione “in tempo reale” che dà per certo quel che certo non è. Eccitata da un reality nero, da un salotto del crimine virtuale in cui ogni voce ha ora diritto di cittadinanza e in cui, soprattutto, ciascuno si sente protagonista e giudice.

Fin qui i magistrati hanno sentito diverse persone, ricevuto oltre sessanta segnalazioni, perquisito le case e verificato gli alibi di circa dieci persone. Ma devono fare i conti anche con alcuni problemi di organizzazione, diciamo.

Diversi giornali oggi raccontano dello scontro in corso tra la procura di Brindisi e quella di Lecce. Domenica mattina il procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli, aveva detto alla stampa che le indagini facevano capo a lui in quanto l’ipotesi di reato era strage. Da ieri però l’ipotesi di reato è strage con l’aggravante delle finalità terroristiche: le indagini su mafia e terrorismo sono competenza delle direzioni distrettuali antimafia e questo quindi sposta l’indagine a Lecce. Tra le procure di Brindisi e Lecce, scrive oggi Fabrizio Caccia sul Corriere, corre anche una differenza di approccio: più aperto alla stampa e ai giornalisti quello di Brindisi, più riservato quello di Lecce. Il procuratore antimafia di Lecce è Cataldo Motta, racconta Caccia, “l’uomo che in 15 anni ha sgominato la Sacra Corona Unita”, “magistrato autorevolissimo e assai riservato”.

Un esempio della differenza di approccio è dato dalla storia del video. È stato proprio il procuratore Dinapoli a ufficializzare in conferenza stampa che c’era un video, che delle telecamere avevano ripreso il volto dell’attentatore. I fotogrammi di quel video sono arrivati rapidamente sui giornali, evidentemente attraverso fonti investigative. Il procuratore Motta, invece, aveva detto di «non sapere niente» del video in questione. Il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, ha detto ieri che con le immagini dell’attentatore «avevamo un grosso vantaggio che forse abbiamo un po’ perso», che la diffusione delle immagini «è un vantaggio nei confronti di chi è responsabile o di chi è dietro questa cosa» e che «sarebbe stato meglio che quelle indicazioni su alcuni elementi in mano agli inquirenti, pubblicati già ieri su alcuni giornali, li avessimo soltanto noi». Ha aggiunto poi che però quanto accaduto «non è colpa di nessuno».

I giornali di oggi sostengono che ieri il ministro Severino ha “strigliato i litiganti” e che alla fine sia stata trovata una soluzione di compromesso: sarà la procura di Lecce a indagare sull’attentato ma il magistrato responsabile dell’inchiesta – il magistrato “applicato” – sarà Milto De Nozza, sostituto procuratore a Brindisi, che era di turno sabato mattina quando è esplosa la bomba. Caccia sul Corriere lo descrive così: “ha anche lui esperienza antimafia e parla pochissimo e malvolentieri coi giornalisti, per questo pare incontri la simpatia di Cataldo Motta”.

foto: Wiro – LaPresse