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  • Domenica 20 maggio 2012

Stefano Boeri: 3 cose su Macao e l’occupazione di Palazzo Citterio

«Sinceramente non capisco che fine abbia fatto, dentro i muri di Palazzo Citterio, la sfida inedita e appassionata di Macao»

L’assssore alla Cultura di Milano Stefano Boeri è tornato domenica sera a confrontarsi con l’occupazione di Palazzo Citterio – avviata ieri dopo lo sgombero del grattacielo Torre Galfa – con un nuovo messaggio critico pubblicato su Facebook, dopo quello di sabato.

1.
Fin dall’inizio ho sostenuto che Macao fosse un’esperienza nuova e positiva; e che ponesse una domanda inedita alla politica milanese: quella di trasformare la cultura da semplice programmazione di eventi, a condizione sociale diffusa e accessibile a tutti. Di concepire la cultura come un bene comune fluido, che si trasmette orizzontalmente e ha bisogno di spazi per autogenerarsi.
La domanda posta alla politica, la domanda posta alla nostra Giunta è stata esplicita: accettate questa sfida e mettetevi in gioco. Lo abbiamo fatto. Abbiamo ascoltato e -senza pretendere di dare una risposta meccanica alla domanda di uno spazio per Macao (non è questo quello che ci veniva chiesto)- abbiamo provato a rispondere alla vera questione di una diversa politica sulla cultura e gli spazi diffusi e vuoti di Milano.
Grazie a Macao, l’ho detto e ripetuto, abbiamo accelerato e strutturato meglio delle politiche già attive negli assessorati della nostra Giunta; politiche che già facevano parte della nostra campagna elettorale.
Il Sindaco le ha spiegate pubblicamente davanti alla Torre Galfa: mappare gli spazi comunali vuoti e renderli disponibili, costruire un protocollo per il riuso temporaneo dei grandi dinosauri privati abbandonati a sè stessi, creare nuove condizioni di visibilità e azione per la moltitudine di energie diffuse che fanno la cultura a Milano.

2.
L’Ansaldo, le Officine Creative inaugurate due sere fa, non sono LA risposta, ma UNA delle risposte alla sfida posta da Macao. Una risposta non solo a Macao, ma a tutta la città e ai mondi incontrati in questi mesi in piazza Duomo 14, dove da luglio ogni settimana ospitiamo le voci della cultura diffusa di Milano.
Io sono convinto che le Officine Creative Ansaldo potranno diventare un luogo unico a Milano. Il luogo dove le esperienze più avanzate della musica, del teatro, dell’arte, del design, della moda, del cinema, della letteratura, della poesia… (che oggi sono sempre espressione di un intreccio tra questi linguaggi) si incontreranno con le culture complesse delle comunità internazionali che abitano Milano (il Forum della Città Mondo), con le pratiche antiche degli artigiani milanesi (nei Laboratori dove si realizzano le scenografie del Teatro alla Scala), con la ricerca etnografica e antropologica (rappresentata dalle collezioni civiche). Tutto in un unico luogo, in un quadrato di edifici pubblici tutti dedicati alla creatività, all’interno di un quartiere che a Milano rappresenta un simbolo dell’innovazione sociale.
Il progetto dell’Ansaldo non è nato in questi giorni, ci stiamo lavorando da settembre scorso, ma abbiamo voluto accelerare la sua presentazione per dire che questa amministrazione sa accettare la sfida posta da Macao, proprio perchè è una sfida positiva e rivolta all’intera città. Senza preclusioni e obblighi. Dall’ 11 al 17 giugno riapriremo le Officine Creative Ansaldo alla città e capiremo insieme come andare avanti e progettare uno spazio che da luglio potrebbe diventare una novità, non solo per Milano. Una novità anche nel senso di realizzare un luogo dove il rapporto tra le politiche pubbliche del Comune e i movimenti culturali non è più solo quello mediato dai bandi di gara, dall’affitto per eventi. Un luogo dove ci sia spazio per l’autodeterminazione da parte di chi produce cultura, grazie ad una regia pubblica collettiva e condivisa.
Il dialogo è dunque aperto e, credo, al livello giusto della sfida.

3.
Oggi mi chiedo cosa c’entri tutto questo con l’occupazione di Palazzo Citterio.
Mi chiedo perché, invece di accettare la sfida di un dialogo innovativo con il Comune, si sia deciso (o imposto?) al mondo di Macao di occupare un edificio storico che rappresenta qualcosa di totalmente diverso dalla Torre Galfa; di occupare un edificio che ospita finalmente la speranza concreta di rendere accessibile il patrimonio di opere di Brera.
Due mesi fa, come riportato dai media di tutto il mondo, tra MIBAC, Sovraintendenza, Accademia di Brera e Comune di Milano si è raggiunto un accordo che è destinato finalmente a far partire, dopo 20 anni di tentennamenti e indifferenze, il progetto della Grande Brera. Un progetto che si appoggia su un primo stanziamento di soldi pubblici – già in cassa- di 23 milioni di cui più di 12 sono destinati a restaurare le ali storiche di Palazzo Citterio, in modo da renderle disponibili per ospitare una parte delle opere oggi nascoste nei depositi della Pinacoteca. La Sovraintendenza Regionale, che finalmente ha ripreso in mano il progetto (sottraendolo al decaduto Commissario straordinario Resca, nominato dall’ex Ministro Bondi – ed è questa un’altra grande positiva novità!) ha avviato la preparazione dei bandi di gara internazionali, in modo da far partire il cantiere per la prossima primavera.
Ci sono dubbi su questo progetto? Ci sono dubbi sulle sue modalità di gestione? Sulla presenza di funzioni commerciali (una cafeteria e un bookstore, come accade nei Musei di tutto il mondo) nell’atrio di Palazzo Citterio? Sulla collocazione dell’Accademia nella sede della Caserma Mascheroni (per altro ampiamente ridimensionata) ? Sull’uso dei finanziamenti CIPE?
Bene, che si esprimano. Non mancano gli spazi per farlo. E neppure le ragioni.
Purchè ci si informi bene sulla posta in gioco. E’ infatti opportuno che si sappia che i fondi stanziati per Brera e palazzo Citterio non possono essere spostati su altri capitoli di spesa; che l’ipotesi di una Fondazione che raccolga fondi privati per il progetto Grande Brera oggi è solo una delle ipotesi in discussione; che la presenza di spazi ricettivi come bar e librerie è una caratteristica di tutti i Musei del mondo, dalla Tate Modern al Rejna Sofia, al Moma, al Met; e che nell’attuale progetto è previsto che gli uffici, le aule per le conferenze e molti laboratori dell’Accademia restino nella sede della Pinacoteca.
Si vuole aprire un dialogo su Brera? Benissimo.
Ma non si capisce perché per farlo si sia deciso di occupare Palazzo Citterio, trasmettendo così l’idea che si tratti di un edificio equivalente alla Torre Galfa. Mettendo sullo stesso piano un palazzo storico e pubblico destinato presto ad ospitare l’ampliamento di un Bene Comune straordinario, con un grattacielo senza destino e abbandonato a sé stesso da 15 anni da un privato in fallimento. E,se mi permettete, trasmettendo l’idea inaccettabile che non ci sia nessuna differenza tra le politiche su Brera di questa Giunta e quelle delle Giunte precedenti.
L’occupazione di Palazzo Citterio mi sembra piuttosto figlia di un vecchio modo di far politica. Quello che porta a bloccare un progetto che riguarda tutti, forse perché si ha timore di non esserne coinvolti; a esibire la propria voglia di protagonismo, anche a costo di compromettere un’esperienza che ha insegnato molto a tutta la città.
Sinceramente non capisco che fine abbia fatto, dentro i muri di Palazzo Citterio, la sfida inedita e appassionata di Macao.