Dove muoiono i piccioni?

Molte città ne sono infestate eppure non si vedono in giro così tanti piccioni morti, per ragioni di privacy ma non solo

Pigeons line up in downtown Milan, Italy, Tuesday, Oct. 25, 2005. As anxiety rises about the threat of bird flu, governments are taking steps to prepare for the possible spread of the disease. (AP Photo/Luca Bruno)
Pigeons line up in downtown Milan, Italy, Tuesday, Oct. 25, 2005. As anxiety rises about the threat of bird flu, governments are taking steps to prepare for the possible spread of the disease. (AP Photo/Luca Bruno)

Periodicamente ritorna d’attualità la questione dei piccioni nelle città e del loro sovraffollamento, iniziato soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. L’espandersi delle città e la maggior disponibilità di cibo ne ha velocizzato la diffusione, favorita anche dalla frequenza riproduttiva (in genere vengono covate nove uova all’anno): nelle città di medie dimensioni possono abitare migliaia di piccioni, nelle metropoli diventano milioni. In Italia molti comuni hanno preso provvedimenti per cercare di contenere la loro diffusione, soprattutto per questioni igieniche e per i danni provocati agli edifici e ai monumenti storici dai loro escrementi: multe per chi li nutre, sterilizzazioni farmaceutiche, censimenti e controlli per verificarne lo stato di salute o più semplicemente l’installazione di dissuasori che impediscono agli animali – senza far loro del male – di posarsi sui monumenti.

John Metcalfe di Atlantic Cities si è chiesto perché, se i piccioni sono così numerosi e onnipresenti, le città non sono anche infestate da migliaia di piccioni morti. Per trovare una risposta ha consultato alcuni esperti, tra cui David Seerveld che si occupa di animali selvatici a Orlando, in Florida. Seerveld ha studiato migliaia di piccioni che vivono in città. Le sue ricerche si riferiscono alle città americane ma le sue conclusioni possono sostanzialmente essere estese a tutte le grandi città, anche quelle italiane.

Seerveld ha spiegato che un colombo in cattività può arrivare a vivere anche 15 anni, ma in natura di solito non supera i cinque anni. Il principale pericolo per i piccioni è rappresentato dai predatori: «anche in città molto sviluppate come Washington D.C. o Chicago», dice, «ci sono molti alberi» in cui si nascondono i predatori dei piccioni.

Tra le bestie particolarmente ghiotte dei grassi colombi di città ci sono le poiane codarossa: si appostano tra gli alberi, sui tetti e i pali del telefono pronti a cacciarli. Poi ci sono i falchi pellegrini e i gufi – che cacciando di notte sono più difficili da osservare – mentre gazze, cornacchie e ghiandaie sono interessati soprattutto ai piccoli e alle uova. I gatti domestici sono un altro grosso pericolo, per i piccioni: secondo i ricercatori i gatti uccidono ogni anno centinaia di migliaia di piccioni e la National Audubon Society, un’associazione americana non profit impegnata nella protezione dell’ambiente e in particolare degli uccelli, ha stabilito che sono la prima causa di estinzione di volatili, dopo la distruzione del loro habitat.

Spesso i piccioni morti o in fin di vita vengono mangiati dai topi e dagli opossum (dove ci sono). Gary Graves, che cura la sezione sugli uccelli della Smithsonian Institution, ha spiegato:

«Perché non si vedono più spesso carcasse di uccelli piccoli (passeri) o di medie dimensioni (piccioni)? La risposta è che il piumaggio di molti di loro si mimetizza con l’ambiente e che il processo di decomposizione e altri animali li eliminano rapidamente. Ad Atlanta, da aprile a ottobre, mosconi e formiche possono ridurre in pochi giorni un passero morto in un mucchio di piume. In inverno è la volta di opossum, procioni, ratti, cani, gatti, puzzole, volpi, coyote, corvi e avvoltoi. Questi animali sono presenti anche nei mesi più caldi, ma spesso i mosconi arrivano prima»

In genere i piccioni che sfuggono dai loro predatori muoiono di freddo. Più raramente restano senza cibo, oppure vengono uccisi dalle malattie. Quelli che sopravvivono di norma vanno a morire in posti lontani dall’occhio degli uomini, come i cornicioni e le tettoie, che forse – suggerisce Metcalfe – ricordano loro in modo inconscio le tane nelle grotte e nelle coste rocciose d’Europa, Medio Oriente e Africa, in cui vivevano migliaia di anni fa.

Seerveld racconta di non aver mai visto un piccione mentre moriva, ma spiega che non si lasciano semplicemente cadere in una strada: spesso cercano di rannicchiarsi sotto un edificio o in uno spazio stretto per non venir mangiati vivi quando sono più vulnerabili. Prima di morire cercano un rifugio nei sottotetti, nei pozzi di aerazione, dietro le travi metalliche o le insegne dei negozi. Oppure scelgono gli edifici abbandonati e i garage: «ogni magazzino con una finestra rotta ha la sua quota di piccioni morti», spiega Graves.

(AP Photo/Luca Bruno)