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  • Martedì 1 maggio 2012

L’unica squadra olimpica senza donne

Soltanto un paese non invierà atlete alle Olimpiadi di Londra, e si discute se ci siano i margini per escluderlo del tutto dai Giochi per discriminazione

Saudi members of the King's United women football club train at a stadium in the Red sea port of Jeddah on May 20,2009, despite strict religious taboos in the desert kingdom. Some 36 Saudi female football players train on daily basis behind closed walls away from the prying eyes of men. They have divided themselves into three teams to compete against each other in a country where sports for women is strictly forbidden. AFP PHOTO/OMAR SALEM (Photo credit should read Omar Salem/AFP/Getty Images)
Saudi members of the King's United women football club train at a stadium in the Red sea port of Jeddah on May 20,2009, despite strict religious taboos in the desert kingdom. Some 36 Saudi female football players train on daily basis behind closed walls away from the prying eyes of men. They have divided themselves into three teams to compete against each other in a country where sports for women is strictly forbidden. AFP PHOTO/OMAR SALEM (Photo credit should read Omar Salem/AFP/Getty Images)

L’Arabia Saudita è l’unico Paese, tra quelli che saranno presenti alle Olimpiadi di Londra, ad aver vietato alle donne di partecipare ai Giochi: il Qatar e il Brunei, che avevano imposto un divieto simile, hanno deciso di rimuoverlo e permettere alle loro atlete di competere alle Olimpiadi. Lo scorso novembre il principe Nawwaf bin Faisal, presidente del Comitato olimpico saudita, aveva annunciato che la delegazione saudita ai Giochi sarebbe stata composta soltanto da atleti maschi. Non aveva escluso la partecipazione di atlete saudite a patto che gareggiassero per conto loro, invitate da altre squadre. In quel caso le atlete saudite avrebbero dovuto comunque indossare abiti che nascondessero il loro corpo, nel rispetto della legge islamica, ed essere affidate costantemente al controllo di un uomo.

La decisione dell’Arabia Saudita ha provocato molte polemiche da parte dei movimenti per i diritti umani e giovedì scorso la Fondazione britannica per il fitness e lo sport delle donne ha chiesto l’esclusione tout court dell’Arabia Saudita dai Giochi. A febbraio Human Rights Watch aveva diffuso un rapporto sulle donne e lo sport nel Paese, chiedendo al governo saudita di rispettare il diritto delle donne a praticare un’attività sportiva e al Comitato olimpico internazionale di prendere provvedimenti contro l’Arabia Saudita. La Carta Olimpica – che stabilisce il regolamento generale dei Giochi – prevede infatti l’esclusione del Paese che pratica un qualsiasi tipo di discriminazione. La norma in passato è stata applicata più volte: il Sudafrica, per esempio, non ha potuto partecipare alle competizioni dal 1964 al 1992 a causa dell’apartheid, mentre l’Afghanistan venne escluso dalle Olimpiadi del 2000 a causa dell’oppressione femminile sotto il regime dei talebani.

Per le donne saudite praticare sport è una faccenda molto complicata. I religiosi più radicali, la maggioranza nel Paese, sono convinti che lo sport potrebbe portarle sulla strada dell’immoralità e che l’eccessivo movimento potrebbe far perdere loro la verginità. Le scuole statali prevedono lezioni di ginnastica solo per i maschi. Nessuno dei 153 club sportivi regolati dal governo ha una donna tra i suoi membri. Le 29 federazioni sportive presenti nel Paese non offrono sezioni o competizioni femminili. Le palestre possono aprire alle donne soltanto relegando le strutture femminili in ospedali o edifici simili, puntando sull’aspetto salutistico più che sportivo. Le donne possono quindi allenarsi soltanto in un ambiente chiuso e poco attrezzato: anche se l’Arabia Saudita decidesse di permettere alle atlete di partecipare alle Olimpiadi di Londra, sarebbe molto difficile trovarne all’altezza della competizione.

Christoph Wilcke, ricercatore di Human Rights Watch specializzato in cose mediorientali, spiega che non esiste alcun divieto religioso allo sport femminile e che si tratta invece di un’imposizione nata nella società tradizionalista, patriarcale e dominata dagli uomini dell’Arabia Saudita. Wilcke sottolinea che l’Arabia Saudita sta violando la Carta Olimpica, ma si chiede anche se escluderla dai Giochi contribuirebbe a migliorare le cose o a peggiorarle. Per questo Human Rights Watch non chiede tanto l’esclusione del Paese bensì che si mettano in atto delle riforme, per permettere alle donne di praticare sport: «Sappiamo di non poter smantellare un sistema discriminatorio in tre mesi», spiega Wilcke, «ma vogliamo vedere impegno e sforzi immediati sul problema. Abbiamo proposto di fissare una data per permettere l’educazione fisica nell scuole statali e poi stabilire una tabella di marcia per aprire una sezione femminile nei club sportivi regolati dal governo e nelle federazioni sportive nazionali. Sono semplici passi che pongono le basi per la pratica dello sport femminile, in modo da consentire alle donne di diventare delle atlete in grado di gareggiare in futuro alle Olimpiadi».

Foto: Atlete della squadra di calcio Jeddah Kings United si allenano a Jeddah, in Arabia Saudita, nel maggio 2009: si allenano e si sfidano tre volte alla settimana in una specie di campo da calcio circondato da alte mura. Quello che fanno è illegale (Omar Salem/AFP/Getty Images)