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  • Domenica 29 aprile 2012

La rivolta di Los Angeles, 20 anni fa

Il 29 aprile 1992 l'assoluzione di 4 poliziotti che avevano pestato un afroamericano scatenò la rabbia della comunità nera della città: morirono 53 persone

(HAL GARB/AFP/Getty Images)
(HAL GARB/AFP/Getty Images)

Il 29 aprile 1992, esattamente venti anni fa, a Los Angeles ebbe inizio una delle rivolte più gravi e sanguinose degli Stati Uniti. I cosiddetti Los Angeles riots furono una sommossa a sfondo razziale, lanciata principalmente dalle fazioni più estreme della comunità nera di Los Angeles dopo il pestaggio di un automobilista afroamericano da parte di quattro poliziotti bianchi. La rivolta, tuttavia, coinvolse anche altre comunità della città e si allargò sempre di più per poi concludersi il 4 maggio 1992, lasciando numerosi strascichi di polemiche e tensioni tra le diverse comunità.

Le cause della rivolta
La rivolta aveva origine da un episodio avvenuto oltre un anno prima, precisamente il 3 marzo del 1991. Un automobilista nero, Rodney King, stava viaggiando ad alta velocità sulla strada Foothill Freeway di Los Angeles, quando venne raggiunto da una volante della polizia. King rifiutò di fermarsi più volte fino a quando venne bloccato dagli agenti.

Sceso dalla macchina, King venne pestato a lungo dai poliziotti, che poi dissero di averlo fatto perché credevano che l’uomo fosse sotto effetto di una sostanza allucinogena chiamata fenciclidina (le analisi del sangue smentirono successivamente questa ipotesi). A filmare il pestaggio fu George Holliday, un videoamatore che abitava nelle vicinanze, che poi passò il video alle principali reti americane. Da quel momento il pestaggio di Rodney divenne un caso nazionale. Non a caso, il film Malcolm X del regista afroamericano Spike Lee si apre proprio con le immagini della violenza contro King filmata da Holliday.

L’inizio della rivolta
Oltre un anno dopo, alle 3.15 di pomeriggio del 29 aprile del 1992, arrivò la sentenza di primo grado di un tribunale di Los Angeles che assolse Stacey Koon, Laurence Powell, Timothy Wind e Theodore Briseno, i quattro agenti accusati di aver picchiato King. Mezz’ora dopo la decisione, già 300 persone si erano riunite di fronte al tribunale per protestare contro l’assoluzione dei quattro poliziotti. Intorno alle 18.30, poi, cominciarono i primi tafferugli, incendi e saccheggi in alcuni quartieri di Los Angeles e la rivolta divenne, ora dopo ora, sempre più violenta.

Le rivolte durarono dal 29 aprile al 5 maggio e rappresentarono un evento drammatico per gli Stati Uniti, riportando alla ribalta il problema del razzismo nel paese. Gli appelli alla calma del presidente americano allora in carica, George H. W. Bush, furono inutili. Alcune personalità di spicco afroamericane, inoltre, dissero pubblicamente di comprendere le cause della violenza: il reverendo Jesse Jackson, dopo aver invitato alla calma, disse che “la sentenza dimostra che in America non c’è giustizia per i neri”. Il campione di basket Magic Johnson aggiunse: “È una collera giustificata”.

La violenza dei riots
Nei primi giorni gli atti di violenza furono totalmente incontrollati, tanto che il sindaco di Los Angeles dovette ricorrere anche all’esercito per fermare i disordini. Nella rivolta, che venne interrotta solo il 4 maggio, morirono 53 persone, mentre i feriti furono oltre duemila. I saccheggi furono numerosissimi, ci furono oltre 3.600 incendi, circa 1.100 edifici vennero gravemente danneggiati. Ci furono danni stimati per circa un miliardo di dollari.

La rivolta si concentrò soprattutto nell’area di South Central a Los Angeles, una zona a sud della città abitata da molti afroamericani e ispanici. Circa metà delle persone arrestate da polizia ed esercito e un terzo delle persone uccise durante la rivolta furono ispanici, a dimostrazione che la rabbia coinvolse anche altre comunità, non solo quella nera. Curiosamente, però, la rivolta fu inizialmente diretta ai bianchi e alle loro case e negozi, ma presto ebbe come obiettivo anche la comunità asiatica, e particolarmente quella coreana, di Los Angeles. Le motivazioni erano piuttosto confuse e si basavano su decenni di pregiudizi e diffidenze reciproche: molti violenti nella comunità nera credevano che gli asiatici gli stessero rubando lavoro e opportunità nei loro quartieri, anche perché si diceva che gli asiatici non assumessero afroamericani nei loro negozi.

L’omicidio di Latasha Harlins
A scatenare la rabbia contro la comunità asiatica ci fu anche un altro omicidio, avvenuto a Los Angeles solo 13 giorni dopo il pestaggio di King: quello della 15enne afroamericana Latasha Harlins. Harlins era stata uccisa dalla commerciante coreano-americana Soon Ja Du, che le aveva sparato perché credeva di averla beccata mentre rubava (in realtà Harlins stava sì infilando una bottiglia di succo di arancia nello zaino, ma aveva del denaro in mano). Du alla fine venne condannata a 5 anni di carcere, una pena definita da molti troppo blanda nella comunità afroamericana. A Latasha Harlins, il rapper americano Tupac Shakur ha dedicato la canzone “Keep Ya Head Up” (“Tieni su la testa”).

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