Perché il caso di Bo Xilai è importante

Timothy Garton Ash spiega su Repubblica il caso "macabro e intrigante" del dirigente del Partito comunista cinese

Timothy Garton Ash, in un articolo tradotto su Repubblica, spiega perché a Pechino “non si parli d’altro” che di Bo Xilai e della sua famiglia. Bo Xilai è l’alto funzionario del Partito comunista cinese (PCC) espulso dall’ufficio politico e dal Comitato Centrale perché sospettato di essere coinvolto in una serie di «gravi violazioni disciplinari». Sua moglie Gu Kailai, inoltre, è stata indagata per l’omicidio di Neil Heywood, un uomo d’affari britannico morto lo scorso novembre nella municipalità di Chongqing, la più estesa del paese, in cui Bo fino allo scorso mese era segretario locale del partito.

Ma che succede in Cina? La domanda è tra le più interessanti al momento e rispondere è davvero difficile. Considerati i fatti ufficialmente accertati e le ipotesi plausibili il caso Bo Xilai ha i connotati di un thriller politico, ma affonda le sue radici nel bizzarro sistema di capitalismo leninista emerso in Cina negli ultimi trent’anni, che non ha precedenti nella storia.

I possibili cambiamenti che questo scandalo indurrà in quel sistema influiranno sul futuro mondiale ben più della realtà di Washington, Mosca, New Delhi o Bruxelles. Nella residenza blindata dei vertici del partito comunista, accanto all’antica città proibita, il fantasma di Hegel si è fuso con quello di Robert Ludlum. Nessuno sa cosa stia realmente succedendo entro quelle mura, ma al di fuori lo schema è chiaro.

A Pechino non si parla altro che di Bo. Prima o poi il suo nome salta fuori, con una scossa elettrica, qualunque sia l’argomento di conversazione. Come ha fatto suo figlio, Bo Guagua a entrare a Oxford? Studiava o faceva il playboy? Neil Heywood, il misterioso uomo d’affari britannico, era in realtà una spia? La moglie di Bo, Gu Kailai, aveva una relazione con lui? Cosa c’è dietro? Poi si passa alle confidenze a mezza voce. Più fonti attendibili hanno confermato, ad esempio, la vicenda romanzesca che ha avuto come protagonista Wang Lijun, l’ex capo della polizia di Chongqing, rifugiatosi nel consolato Usa di Chengdu temendo per la propria vita, pronto a svelare gli scheletri nell’armadio del suo capo. Bo ha inviato da Chongqing un manipolo paramilitare per ricondurlo al suo triste destino, ma si è trovato davanti le truppe di Pechino, chiamate dagli americani.

Se però un cinese qualsiasi cerca in rete anche solo il cognome “Bo” su Sina Weibo, popolarissimo sito di microblogging, troverà questo messaggio: «Nel rispetto delle disposizioni di legge i risultati di ricerca per Bo non sono disponibili». I media ufficiali esortano alla stabilità nazionale, sociale e ideologica sotto la guida saggia e coesa del partito. I Bo non erano altro che mele marce in un frutteto sano. Ora affronteranno tutto il rigore e l’imparzialità dello stato di diritto cinese.

Il quotidiano in lingua inglese China Daily ha dato grande risalto a un rassicurante comunicato dell’agenzia di stampa governativa Xinhua secondo cui «la polizia municipale di Chongqing si è impegnata ad assicurare maggiore protezione agli stranieri» dopo la morte di Heywood – probabile omicidio, di cui sono sospettati la signora Bo e un certo Zhang Xiaojun, «un attendente in servizio a casa Bo». Ma non c’è da preoccuparsi, perché nel 2010 solo 1,5 visitatori su 10mila hanno denunciato furti e violenze nella metropoli. E le forze dell’ordine sono intervenute prontamente. «In ottobre ad esempio la polizia ha recuperato in giornata una Nikon rubata a uno studente dello Zimbabwe».
Niente paura quindi, cari uomini d’affari britannici. Non solo non sarete ammazzati per ordine della moglie di un membro del Politburo, ma la polizia vi restituirà prontamente la macchina fotografica.

Accanto all’aspetto macabro e intrigante, ma anche tragico e doloroso, (pensiamo ai familiari di Heywood), la vicenda ha anche un risvolto più ampioe importante, comunque collegato. Può essere che un crimine così orribile, se di crimine si tratta, avrebbe comunque minato l’ascesa politica di Bo. Certo è che si va a collocare nel contesto della competizione ideologica e di schieramento in seno alle strutture di potere di partito, statali e militari cinesi nella corsa alla transizione politica in cui Bo era discusso candidato a uno dei nove seggi del comitato permanente. E certo è che le macabre, sensazionali e ormai ben note circostanze della sua fine politica influenzeranno l’esito della transizione, sia in termini di protagonisti che di programmi.

Finora la propaganda ufficiale si è curata di distinguere tra la persona di Bo e il cosiddetto modello Chongqing, con i suoi slogan criptomaoisti contro la criminalitàe inneggianti alle masse e le rivendicazioni populiste di pensioni, casa e lavoro per tutti.
È comprensibile, dato che molti vertici del partito, tra cui il futuro presidente Xi Jinping, lo decantavano fino a poco tempo fa e il relativo programma previdenziale e di edilizia popolare resterà probabilmente in parte inserito nel quadro composito della politica del paese.

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