L’Economist contro Hollande

Il settimanale britannico dà il proprio sostegno a Sarkozy: non per i suoi meriti, ma perché l'alternativa è "piuttosto pericolosa" per la Francia e per l'Europa

A picture taken on April 24, 2012 in Paris, shows a torn campaign poster of Socialist Party (PS) candidate for the 2012 French presidential election Francois Hollande. Socialist frontrunner Francois Hollande and incumbent Nicolas Sarkozy launched the campaign for France's presidential run-off on April 23, 2012 with the far-right set to play a key role after a record result. AFP PHOTO/JOEL SAGET (Photo credit should read JOEL SAGET/AFP/Getty Images)
A picture taken on April 24, 2012 in Paris, shows a torn campaign poster of Socialist Party (PS) candidate for the 2012 French presidential election Francois Hollande. Socialist frontrunner Francois Hollande and incumbent Nicolas Sarkozy launched the campaign for France's presidential run-off on April 23, 2012 with the far-right set to play a key role after a record result. AFP PHOTO/JOEL SAGET (Photo credit should read JOEL SAGET/AFP/Getty Images)

Il settimanale britannico The Economist ha scritto sul numero appena uscito un editoriale molto critico nei confronti del candidato socialista alla presidenza francese, François Hollande, dando di fatto il proprio sostegno al presidente uscente Sarkozy. Allo stesso modo, l’Economist spiega che Hollande sarà con ogni probabilità il prossimo presidente francese. L’articolo è intitolato “Il piuttosto pericoloso monsieur Hollande – Il socialista che sarà probabilmente il prossimo presidente francese sarebbe un male per il suo paese e per l’Europa”.

Questo giornale espresse la sua preferenza per Sarkozy nel 2007, quando lui disse coraggiosamente agli elettori francesi che non avevano nessuna alternativa se non quella di cambiare. È stato sfortunato a essere colpito dalla crisi economica globale un anno più tardi. Ha anche ottenuto qualche risultato: ha reso più flessibile la settimana lavorativa di 35 ore dei socialisti, ha liberalizzato le università e alzato l’età pensionabile. Ma le politiche di Sarkozy si sono rivelate imprevedibili e inaffidabili come la sua persona. Il tono protezionistico, anti-immigrazione e sempre più antieuropeista è forse indirizzato all’elettorato del Fronte Nazionale, ma Sarkozy sembra crederci personalmente un po’ troppo. Perciò, se votassimo il 6 maggio, voteremmo per Sarkozy. Non per i suoi meriti, ma per tenere alla larga Hollande.

L’Economist parte da un’analisi della situazione economica e sociale francese, che “ha disperatamente bisogno di riforme”. Il debito pubblico è molto alto e in crescita, oltre l’80 per cento del PIL, anche perché il governo spende più di quanto riceva, senza considerare il pagamento degli interessi sul debito (ovvero, in lessico tecnico, ha un disavanzo primario superiore al 3 per cento del PIL) e non riesce a ottenere un avanzo di bilancio da più di 35 anni. Il settore bancario è in sofferenza e la disoccupazione ha raggiunto un nuovo picco: oggi è al 10 per cento. Il peso dello stato sull’economia francese è enorme: la spesa pubblica conta per il 56 per cento del Prodotto Interno Lordo, la percentuale più alta di tutta Europa. Per fare un paragone, pochi giorni fa i telegiornali italiani hanno riportato come un segno di scarsa salute della nostra economia il fatto che la spesa pubblica fosse aumentata di un punto percentuale in un anno, per raggiungere il 49 per cento.

Tuttavia, né Hollande né Sarkozy sembrano aver messo al centro della campagna elettorale presidenziale la necessità e l’urgenza di cambiare. Il programma di Hollande, scrive l’Economist, è non solo debole nelle risposte alla crisi, ma anche preoccupante per il programma di governo che lascia intravedere. Hollande parla di aumentare le tasse e di giustizia sociale, senza prevedere tagli di spesa. Ha promesso di assumere 60 mila nuovi insegnanti, che secondo quanto ha detto lui stesso costeranno 20 miliardi di euro in più in cinque anni alle casse dello stato.

L’Economist dice che alcuni “ottimisti” cercano di difendere Hollande, dicendo che molte delle sue promesse sono motivate solo dal clima di campagna elettorale, come quelle di imporre una tassa del 75 per cento sui redditi più alti e di annullare l’aumento dell’età pensionabile da 60 a 62 anni introdotto da Sarkozy. Gli ottimisti dicono che poi, nell’effettiva azione di governo, Hollande sarà moderato e pragmatico, riuscendo a stemperare anche gli eccessi ideologici che sono presenti all’interno del Partito Socialista. Ma l’Economist non si dice molto convinto da queste speranze, dato che Hollande sembra rappresentare “soprattutto la resistenza al cambiamento e la determinazione a preservare a tutti i costi il modello sociale francese.”

Il settimanale britannico ritrova almeno una cosa giusta nelle intenzioni di Hollande, anche se per i motivi sbagliati. Il candidato socialista si dichiara contrario all’austerità e al rigore nei conti pubblici, che sono stati finora la principale risposta dell’Unione Europea alla crisi economica, seguendo la ricetta proposta e parzialmente imposta dalla Germania. Hollande vorrebbe rinegoziare il trattato firmato poche settimane fa da tutti i paesi dell’UE tranne Regno Unito e Repubblica Ceca, il cosiddetto “fiscal compact” – e questo è bene, dice l’Economist – ma intende farlo per poter evitare le riforme necessarie e impedire il cambiamento, in modo da lasciare invariate le attuali politiche sociali francesi e il pesante ruolo dello stato nell’economia. Questa posizione è pericolosa per la Francia e per l’Europa, conclude l’Economist: la Germania, che già oggi ha un’opinione pubblica poco propensa a venire in aiuto dei paesi europei meno virtuosi, non accetterà altri sforzi e altri impegni senza che la Francia faccia la sua parte.

foto: JOEL SAGET/AFP/Getty Images