È il giornalismo online che diventa mainstream, e non viceversa

Per Vittorio Zucconi l'assegnazione del Pulitzer allo Huffington Post non c'entra niente con internet: è ancora questione di buon giornalismo e di vendere copie

Domenica su Repubblica Vittorio Zucconi ha commentato l’assegnazione di un premio Pulitzer a un articolo del giornale online Huffington Post. Contraddicendo molte delle sbrigative analisi sulla “vittoria della rete” (che hanno dimenticato di essere state scritte uguali quando il premio fu vinto da ProPublica, due anni fa e di nuovo l’anno scorso) e gli stessi titoli del suo giornale (“Pulitzer.com”): «L’Huffington Post per imporsi, dopo molti tentativi e false partenze, è divenuto esso stesso «Mainstream Media», è entrato cioè nella corrente maestra della grande informazione commerciale».

Questo, di distinguere fra buona informazione e cattiva informazione, sembra essere il criterio di giudizio che muove l’assegnazione del riconoscimento più ambito nel giornalismo mondiale. Non il medium in sé, o il luccichio della novità tecnologica, ma la qualità dell’offerta al pubblico, integrata dalla interazione con i lettori che soltanto un sito internet può offrire, attraverso le migliaia di blog che girano sull’Huffington Post, come ormai in tutte le versioni o le edizioni o le ramificazioni della carta che interagisce via pc o tablet.
Ma nel riconoscimento della piena maturità del giornalismo via web c’è un messaggio che suona assai meno rassicurante per la mistica della Rete come strumento di informazione alternativa. L’Huffington Post è divenuto quello che milioni di blogger e di micro siti hanno sempre definito con sprezzo snobistco, da iniziati, i «Mainstream Media», l’informazione delle grandi testate classiche. Per imporsi, dopo molti tentativi e false partenze, è divenuto esso stesso «Mainstream Media», è entrato cioè nella corrente maestra della grande informazione commerciale. È stato soltanto attingendo alla profonda borsa della signora, al network delle sue formidabili relazioni, a giornalisti tradizionali e nuovi, come lo scomparso e formidabile Andrew Breitbart (che da un fronte ideologico opposto alla Huffington collaborò al suo successo) e pagando pochissimo o nulla altri contributi («la retribuzione dei blogger sta nella pubblicazione dei loro blog», ha sentenziato il giudice contro coloro che chiedevano di essere pagati), Arianna è riuscita a imporre il proprio giornale. La giuria del Pulitzer ha dunque premiato, più che la novità del mezzo, la normalizzazione della professione attraverso i new media. Bentornata fra noi, internet, sembrano aver detto i giurati.
L’idealismo alto di Joe Pulitzer, il monito del primo grande cronista premiato nel 1917, possono rivivere, e addirittura rinascere migliori nella culla informatica. Ma neppure il web riesce a superare il gelido realismo di William Randolph Hearst. A chi gli chiese quale fosse la missione dei giornalisti, il Citizen Kane rispose: «Quella di vendere più copie di giornale». Oggi si chiamano “contatti”, non sporcano le dita, volano via e vivono per pochi istanti e poi per sempre nella memoria assoluta dei server e delle nuvole. Ma sempre da vendere sono.

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