A che punto è la riforma del lavoro

Oggi il Consiglio dei ministri si occupa del testo da presentare in Parlamento che manterrà le modifiche sull'articolo 18, come ha spiegato Elsa Fornero

Oggi il Consiglio dei ministri discuterà il testo della riforma del mercato del lavoro: non è chiaro se lo approverà già oggi in via definitiva, prima del suo passaggio in Parlamento, o se sarà necessario un nuovo Consiglio dei ministri per avere il testo finale. Negli ultimi giorni si sta anche discutendo delle modalità con cui il governo presenterà la riforma nelle aule parlamentari: l’ipotesi più probabile è che sia proposto un disegno di legge ordinario con alcune deleghe, quindi aperto a modifiche e discussioni e senza effetto immediato, come sarebbe stato invece un decreto-legge.

(La riforma del lavoro in 4 punti)

Il punto ampiamente più discusso della riforma è la modifica delle norme sui licenziamenti, di cui fa parte anche l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Come ha ripetuto ieri in conferenza stampa il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, le modifiche sui licenziamenti per motivi economici e per motivi disciplinari rimarranno, dato che “rappresentano un buon punto di equilibrio tra esigenze contrapposte” e “non ci è stata presentata una posizione del bilanciamento degli interessi migliore”.

(Che cos’è l’articolo 18)

L’accordo sui licenziamenti ha sicuramente soddisfatto alcuni più di altri: Emma Marcegaglia, presidente uscente di Confindustria, è molto favorevole alle modifiche, come anche PdL e Terzo Polo; alcuni sindacati come CISL e UIL sono piuttosto favorevoli, mentre decisamente contrari sono sia il sindacato UGL (di cui è stato segretario Renata Polverini, attuale presidente della regione Lazio) sia la CGIL. Nei giorni scorsi il suo segretario nazionale, Susanna Camusso, ha detto che il sindacato è pronto a fare opposizione dura alle modifiche della norma, promettendo anche uno sciopero generale. La posizione del PD, per il momento, non è chiara: il partito non è contento della riforma così com’è e sembra puntare alle modifiche in Parlamento, dato che non può rischiare una frattura troppo netta né con il governo Monti, che appoggia, né con la CGIL e alcune sue correnti interne.

(La riforma non si applica agli statali?)

Le modifiche alle norme sui licenziamenti non riguardano i licenziamenti discriminatori (se un lavoratore è stato licenziato per motivi sindacali o religiosi o di orientamento sessuale rimane il reintegro nel posto di lavoro, anche per le imprese sotto i 15 dipendenti), ma interessano quelli cosiddetti disciplinari e quelli per motivi economici. Nel primo caso, se il lavoratore si rende colpevole di un reato sul luogo di lavoro o è particolarmente inefficiente e improduttivo a giudizio del datore di lavoro, può essere licenziato: il governo ha ristretto i casi in cui è obbligatorio il reintegro nel caso in cui un giudice ritenga ingiusto questo licenziamento, sostituendolo con un indennizzo in denaro (dalle 15 alle 27 mensilità). Nel caso dei licenziamenti per motivi economici, la nuova formulazione dell’articolo 18 proposta dal governo prevede che non ci sia il reintegro obbligatorio del lavoratore ma solo un’indennità economica, anche se un giudice decide l’inesistenza di un “giustificato motivo oggettivo” per il licenziamento (ovvero una crisi dell’azienda e l’impossibilità di spostare il lavoratore ad altro incarico).

foto: Mauro Scrobogna /LaPresse