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  • Martedì 20 marzo 2012

Il Nowruz, il capodanno iraniano

La storia del calendario solare iraniano, che oggi entra nell'anno 1391

di Matteo Miele, Royal University of Bhutan

An Iranian woman holds a firecracker in Tehran on March 13, 2012 during the Wednesday Fire ritual, or Chaharshanbeh Soori, held on the last Wednesday eve before the Spring holiday of Noruz. The Iranian new year that begins on March 21 coincides with the first day of spring during which locals revive the Zoroastraian celebration of lighting a fire and dancing around the flame. AFP PHOTO/ATTA KENARE (Photo credit should read ATTA KENARE/AFP/Getty Images)
An Iranian woman holds a firecracker in Tehran on March 13, 2012 during the Wednesday Fire ritual, or Chaharshanbeh Soori, held on the last Wednesday eve before the Spring holiday of Noruz. The Iranian new year that begins on March 21 coincides with the first day of spring during which locals revive the Zoroastraian celebration of lighting a fire and dancing around the flame. AFP PHOTO/ATTA KENARE (Photo credit should read ATTA KENARE/AFP/Getty Images)

Antiche memorie zoroastriane mai sopite si ripresentano nelle parole e nelle case degli iraniani. Il Nowruz, ovvero il capodanno, è certamente la più evidente. È il primo giorno del calendario solare iraniano e coincide con l’arrivo della primavera.

I persiani, come gli italiani, discendono dalle antiche popolazioni indoeuropee che forse dall’Asia centrale (il luogo d’origine è dubbio) si spostarono verso l’Europa, la Persia e poi l’India lasciando prove evidentissime delle migrazioni nelle lingue che, pur sembrando diversissime, discendono da un antenato comune e rivelano somiglianze inattese. Per esempio in avestico, l’antica lingua iranica in cui venne redatto l’Avesta, il testo sacro della religione zoroastriana, “madre” si dice mātar. Anche il Nowruz, che cade il 20 o il 21 marzo a seconda degli anni (quest’anno è il 20), nasconde nel nome l’antico passato. No in persiano vuol dire infatti “nuovo” e ruz “giorno” (che, seppure a prima vista meno evidente, condivide lo stesso antenato del latino “lux” e dunque “luce”).

Nel VII secolo avviene l’invasione araba: cadde l’Impero Sasanide (nato quattro secoli prima) e l’Islam divenne la nuova religione del Paese (ma piccole comunità zoroastriane riuscirono a conservare la fede degli antenati). I conquistatori imposero il calendario lunare. La tradizione però non si spense con l’invasione musulmana e Nowruz sopravvisse tra i persiani. Circa novecento anni fa toccò ad Omar Khayyam, uno dei più grandi matematici e astronomi persiani (ma si dedicava con un certo successo anche a scrivere poesie) risistemare il calendario e lasciare gli antichi nomi dei mesi zoroastriani, rifiutandosi di usare quelli del calendario arabo-islamico. I persiani, d’altronde, non avevano mai avuto una grande simpatia verso gli arabi. I nuovi arrivati erano diversissimi, con una origine e una storia differenti e un sistema culturale troppo distante dalla vastità della civiltà persiana che aveva creato, con gli Achemenidi, un impero veramente “universale”, come testimoniato dalla liberazione degli ebrei per opera di Ciro il Grande, anche se per lungo tempo si presentò in Europa sotto la lente distorta della storiografia greca. Firdusi, il maggiore poeta persiano, vissuto tra il Decimo e l’Undicesimo secolo, per esempio, scrive nel suo poema epico “Il libro dei re” (che ripercorre la storia persiana fino all’invasione musulmana e venne tradotto in italiano da Italo Pizzi nell’Ottocento) che gli arabi, che miravano alla sovranità della Persia, si nutrivano di lucertole!

(Le foto dei festeggiamenti per il capodanno in Afghanistan)

Il primo mese del calendario, che corrisponde a marzo/aprile, si chiama Farvardin, in onore del Fravashi, l’angelo custode del mazdeismo (l’altro vocabolo per la religione zoroastriana, dal nome dell’unico Dio Ahura Mazda) da cui poi è derivato il concetto di angelo custode nella tradizione ebraica e cristiana. Khayyam fece un lavoro eccellente e riformò un calendario che è ora di gran lunga più preciso del nostro gregoriano. Pur utilizzando lo stesso anno di partenza (il 622 d.C., ovvero l’anno dell’egira, la “migrazione” di Maometto dalla Mecca a Yathrib, che venne poi chiamata Medina), il calendario lunare musulmano ha meno giorni del calendario solare. Così in Iran questo 20 marzo si entra nel 1391, mentre il mondo arabo-islamico è già nel 1433. Inoltre c’è un’altra grande differenza tra il calendario solare, sia esso gregoriano che iraniano, e il calendario musulmano. Quest’ultimo non è legato alle stagioni e dunque, con il passare degli anni lo stesso mese può trovarsi in estate o in inverno.

Nel 1925 Reza Shah Pahlavi ripristinò ufficialmente il calendario iraniano con i nomi dei mesi zoroastriani nel paese. I Pahlavi, che regnarono sul paese fino alla Rivoluzione del 1979, non nascosero mai la propria ammirazione per la grandezza dell’antica civiltà persiana, riconoscendo nelle poche decine di migliaia di zoroastriani rimasti in Iran l’eredità del passato. Nel 1976 venne cambiato anche l’anno d’inizio. Al posto dell’egira venne scelta l’incoronazione di Ciro il Grande, passando così, da un giorno all’altro, dal 1355 al 2535 (d’altronde volevano portare l’Iran nel futuro). Poi, dopo la rivoluzione, si tornò all’egira, ma non si osò abolire il calendario solare.

La sera della vigilia è l’occasione per riunire le famiglie, intorno al riso che si mangia con pesce ed erbe. I giorni successivi invece sono dedicati alla riconciliazione, a ritrovare l’amicizia perduta. Il tredicesimo giorno, l’ultimo dei festeggiamenti, si fa una gita. Il Nowruz non è però festeggiato solo in Iran, ma la mappa delle celebrazioni disegna chiaramente l’immensa influenza culturale, linguistica e sociale della Persia, tra i curdi, nel Caucaso, in Asia centrale fino ai deserti dello Xinjiang, in Cina. Anche in India, ovviamente, tra le comunità parsi (ovvero “persiane”) zoroastriane che lasciarono l’Iran oltre mille anni fa per fuggire dalla persecuzione islamica. È inoltre celebrato dai fedeli della religione baha’i, nata in Persia nel Diciannovesimo secolo.

Foto: ATTA KENARE/AFP/Getty Images