Il caso Emiliano

Come un'inchiesta in cui non è imputato, una famiglia di imprenditori e politici, e alcune aragoste hanno complicato la carriera del sindaco di Bari

Da qualche giorno Michele Emiliano, sindaco di Bari, ex magistrato e presidente del Partito Democratico in Puglia, si trova indirettamente coinvolto in un caso giudiziario che riguarda la città che governa e un importante gruppo imprenditoriale (e anche aragoste, ostriche e cozze pelose). Emiliano non è indagato ma il caso giudiziario è diventato un caso politico, perché ha a che fare con il governo di Bari e anche con le scelte del sindaco. E con “il rapporto tra la classe dirigente italiana e la dimensione del denaro e del lusso che il denaro consente”, scrive Ernesto Galli della Loggia nell’editoriale in prima pagina di oggi sul Corriere della Sera. Ma per raccontare questa storia bisogna prima spiegare che cos’è, a Bari, il gruppo Degennaro.

Il gruppo Degennaro
L’azienda di cui si parla nelle carte dell’inchiesta è la DEC, società del settore delle costruzioni appartenente al gruppo Degennaro, fondato nell’immediato dopoguerra da Emanuele Degennaro. La DEC è stata costituita nel dicembre del 2000 e si occupa principalmente di opere pubbliche e alberghi: ha costruito, tra le altre cose, l’ospedale Madonna delle Grazie di Matera, il policlinico “San Matteo” di Pavia e l’ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. Il gruppo ha commesse e interessi in tutta Italia e anche all’estero ma questa storia si concentra su quanto accaduto in Puglia e soprattutto a Bari, la città governata da Michele Emiliano, dove, scrive Repubblica, “i Degennaro dettavano legge su tutto”. La famiglia Degennaro è impegnata anche in politica: uno dei figli di Emanuele Degennaro, Gerardo, è consigliere regionale del PD; una nipote era fino a poco tempo fa assessore comunale. A Bari, nella giunta Emiliano.

L’inchiesta, gli arresti
Oggi il gruppo Degennaro è guidato dagli eredi di Emanuele Degennaro. Due di questi, Gerardo e Daniele, sono agli arresti domiciliari dallo scorso 13 marzo. Daniele lavorava direttamente nell’impresa di famiglia, Gerardo è consigliere regionale del Partito Democratico. Insieme a loro, su richiesta della procura di Bari, sono state eseguite altre “ordinanze di custodia cautelare”. nei confronti di diversi amministratori pubblici del Comune e della Regione. Nei provvedimenti vengono contestati i reati di corruzione, frode e “numerosissimi falsi”. Gli indagati sono in tutto circa ottanta.

L’inchiesta riguarda una presunta truffa realizzata dal gruppo Degennaro nella realizzazione di alcuni parcheggi a Bari, soprattutto quelli interrati in piazza Giulio Cesare e piazza Cesare Battisti. Le accuse sono molteplici: si va dall’aver utilizzato materiali scadenti nella realizzazione delle opere al sovrapprezzo dei rendiconti allo scopo di ottenere più fondi dall’Unione Europea nelle opere realizzate col project financing. E poi la presunta corruzione, soprattutto: alcuni tecnici comunali con importante voce in capitolo sugli appalti dei Degennaro, scrive Repubblica, “hanno poi acquistato appartamenti, pare a prezzi molto vantaggiosi, dal gruppo”. Ci sono altri filoni: una storia di case realizzate per le forze dell’ordine ma dai canoni troppo alti, e quindi vendute poi ai privati, e un’altra di alloggi di edilizia agevolata che faranno la stessa fine.

Le pressioni politiche
Stando a quel che sostiene la procura, il gruppo Degennaro avrebbe ottenuto almeno sei grossi appalti grazie a pressioni politiche, corruzione, promesse di promozioni e incarichi, sconti su acquisti di appartamenti, regali e soggiorni in alberghi. “Potevano contare su una vasta rete di complicità nel Comune e in Regione”, scrive ancora Repubblica basandosi sulle carte della procura, “ottenevano certificati e attestazioni false per coprire le carenze nelle modalità di esecuzione delle gare”. I certificati tecnici, dice la procura, venivano realizzati “in collaborazione” tra il comune e la società dei Degennaro. Uno dei tecnici del comune è stato anche assunto come direttore tecnico di cantiere a Milano mentre faceva il collaudatore a Bari. Scrive la procura:

“Il gruppo imprenditoriale della famiglia Degennaro gode del totale asservimento di diversi pubblici ufficiali per aggiudicarsi le gare per la realizzazione di opere pubbliche e gli affidamenti di concessioni. Di contro pubblici ufficiali infedeli hanno tratto, da questo rapporto utilità personali in violazione dei principi di probità, imparzialità e trasparenza. […] Esiste un comitato d’affari di cui naturalmente fanno parte i Degennaro che è in grado di influenzare a proprio favore le decisioni degli uffici. Il contenuto degli atti amministrativi è stato concordato, se non addirittura imposto (nelle numerose riunioni riservate, tenute peraltro negli uffici comunali, tra i dirigenti dell’amministrazione comunale e i rappresentanti dell’impresa), tra imprenditore e uffici dell’amministrazione ed è stato finalizzato al perseguimento del massimo profitto in danno degli interessi della collettività. […] Dirigenti e funzionari pubblici hanno rivestito il mero ruolo di esecutori della volontà dell’impresa legittimando formalmente, attraverso la produzione di atti spesso ideologicamente e talora anche materialmente falsi, un’attività, che, di fatto, si è rivelata spesso illecita sia sotto il profilo amministrativo sia sotto il profilo penale. Numerosi pubblici ufficiali hanno gestito l’affidamento di lavori pubblici secondo principi personalistici, in violazione delle procedure di evidenza pubblica in cambio favori e utilità personali”.

Che cosa c’entra Emiliano
Il sindaco di Bari non è indagato, come abbiamo detto, ma il comune di Bari è al centro di questa storia. Uno degli arrestati, Vito Nitti, fu messo da Emiliano a dirigere l’ufficio tecnico comunale: la procura lo descrive come “sodale, anzi quasi uno scrivano del gruppo imprenditoriale”, scelto da Emiliano non per meriti ma per la “piena capacità di Nitti di soddisfare le esigenze della politica e le specifiche pressioni dei Degennaro”. Emiliano ha rimosso Nitti dall’incarico dopo le prime fasi dell’inchiesta.

Poi c’è l’assessore Degennaro. Emiliano, infatti, scelse come assessore – alla “città turistica e commerciale”, alle politiche del lavoro e allo “sportello unico alle imprese”, tra le altre cose – Annabella Degennaro, classe 1983, 26 anni al momento della nomina, figlia di Vito Degennaro, uno dei quattro fratelli a capo dell’azienda di famiglia, anche lui indagato. Annabella Degennaro si è dimessa all’apertura dell’inchiesta, oggi Emiliano definisce la sua nomina “un errore in buona fede”, dettato dal fatto che la ragazza “aveva un curriculum di ferro”. Anche Annabella Degennaro non è indagata. La procura sostiene però che Emiliano avesse rapporti molto stretti con la famiglia Degennaro, che incontri “avvenivano non di rado” e che il sindaco di Bari avrebbe addirittura “richiesto un’assunzione” a una società del gruppo (Emiliano ha negato).

Le intercettazioni aggiungono informazioni: in una, scrive Repubblica, si sente Vito Degennaro “raccontare dell’incontro di suo figlio con il fratello” di Michele Emiliano, Alessandro, che “avrebbe accennato alla possibilità della sua azienda di fornire il proprio know how” per un’opera pubblica. Anche un assessore avrebbe chiesto un’assunzione al gruppo, mentre un altro ancora, l’ex assessore all’urbanistica, viene citato al telefono da uno dei dirigenti arrestati con la formula “e sono due, ci siamo fatti un altro assessore” dopo un incontro con Vito Degennaro. La Finanza parla anche di un’azienda di prefabbricati “il cui socio e presidente del consiglio era Michele Emiliano, cugino del sindaco”, che ha effettuato lavori in subappalto per 1.789.025,01 euro per conto della società dei Degennaro.

Le cozze pelose
E poi c’è il pesce, al centro delle cronache e delle battute di questi giorni. Nelle carte si apprende che il gruppo Degennaro a Natale inviava diversi regali al sindaco di Bari, Michele Emiliano, e altri dirigenti e politici comunali. Emiliano avrebbe ricevuto “champagne, vino e formaggi, quattro spigoloni, venti scampi, ostriche imperiali, cinquanta noci bianche, cinquanta cozze pelose, due chili di allievi locali di Molfetta e otto astici”. Stando alle carte, Emiliano avrebbe ringraziato ma si sarebbe lamentato di non avere il ghiaccio per conservarli, e Vito Degennaro avrebbe subito provveduto a inviarglielo (“le formette, mi raccomando, subito”).

La versione di Emiliano
Emiliano ha ripetuto più volte in questi giorni di avere accettato quel regalo “per leggerezza”, da persone all’epoca non indagate che “consideravo amici, compagni di battaglia politica e invece mi stavano accanto soltanto per calcolo”. Una “leggerezza”, ha ribadito intervistato da Curzio Maltese. Emiliano ha detto di essersi fidato per via della “buona fede del narcisista”.

Siccome sono una persona perbene, convinta di essere la Madonna del santuario, pensavo che chiunque mi fosse accanto non potesse non essere in buona fede. Al punto da non ascoltare quelli che mi avvertivano: guarda che quelli si chiamano Degennaro.

Emiliano si è difeso dicendo di essere “un fesso, non certo un corrotto” e aggiungendo che “i Degennaro non hanno avuto favori dalla mia giunta, nulla di nulla”. Il sindaco di Bari ha detto che, degli appalti contestati, solo uno è stato assegnato dalla sua giunta, che in altre occasioni avrebbe invece danneggiato gli interessi del gruppo Degennaro. Emiliano ha anche chiesto alla procura gli atti istruttori del procedimento allo scopo di avviare un’indagine interna in comune.

Intanto però la questione sta avendo risvolti politici, e non solo per le prevedibili conseguenze nell’opinione pubblica e nelle altrettanto prevedibili accuse provenienti dal centrodestra. Emiliano infatti è anche il presidente del PD della Puglia, di cui negli ultimi mesi è stato molto critico, ed è – è ancora? – il candidato favorito a succedere a Nichi Vendola alla presidenza della regione. “Basta con l’ipocrisia, più pelosa delle cozze. Emiliano era diventato la maschera di gruppi di interesse”. Non lo ha detto un esponente del centrodestra bensì Sergio Blasi, segretario del Partito Democratico in Puglia.

foto: LaPresse